Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28973 del 08/04/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28973 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: DI NICOLA VITO

sul ricorso proposto da:
ci
BAROVERO ANGELA nato il 04/04/1972 a CUNEO

avverso l’ordinanza del 14/09/2015 del TRIB. LIBERTA’ di TORINO
sentita la relazione svolta dal Consigliere VITO DI NICOLA;
lette/seMte le conclusioni del PG

Udit i difensor Avv.;

Data Udienza: 08/04/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Angela Barovero ricorre per cassazione impugnando l’ordinanza indicata
in epigrafe con la quale il tribunale del riesame di Torino ha confermato il decreto
di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari presso lo
stesso tribunale che aveva respinto l’istanza, presentata dalla difesa il 18 maggio
2015, volta ad ottenere il dissequestro dell’immobile sito in Volvera e di

2. Per la cassazione dell’impugnata ordinanza, la ricorrente, tramite il
difensore, articola due motivi di impugnazione, qui enunciati ai sensi dell’articolo
173 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale nei limiti
strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’ art. 606,
comma 1, lett. b), del codice di procedura penale per l’erronea applicazione della
legge penale in riferimento all’art. 321 cod. proc. pen. sul rilievo della carenza
del periculum, muovendo dalla considerazione che l’oggetto del sequestro in atto
è un bene immobile, ormai ultimato, che non grava sull’assetto del territorio e
sul carico urbanistico e che, quindi, non sarebbe ormai riscontrabile alcuna
conseguenza antigiuridica ulteriore rispetto all’ormai avvenuta consumazione del
reato derivante dall’uso del bene.
A sostegno di ciò, la ricorrente sottolinea che trattasi di un immobile
ultimato (prefabbricato m 6,5 per 10,0 per 3 circa), ubicato a 154 mt. dal
torrente Ghisola, che si tratta di una piccola casetta, recintata ed integrata con il
paesaggio, alla periferia del paese, in un’area circondata da orti ed altre piccole
abitazioni, ove il Comune non è in grado di garantire ai propri cittadini sinti una
situazione alternativa che tenga conto loro dei diritti fondamentali come
minoranza storico-linguistica che vuole integrarsi.

2.2. Con il secondo motivo, la ricorrente denunzia la violazione dell’art. 606,
comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’art. 2 d.lgs. 9 luglio 2003 n. 215
in attuazione della direttiva 2000\43\CE e dell’art. 6) legge regionale
10\06\1993 n. 26, in relazione all’art. 8 della C.E.D.U.
Assume la ricorrente che il Tribunale ha ritenuto di non valutare la sentenza
del Consiglio di Stato prodotta agli atti, per un caso ritenuto del tutto analogo, di
una cittadina di etnia sinti.
Sostiene pertanto che l’ordinanza impugnata sarebbe illegittima per
violazione delle norme che prescrivono la parità di trattamento tra le persone
indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica. In particolare, ritiene che il

proprietà della ricorrente.

provvedimento impugnato violi il principio di discriminazione indiretta, introdotto
dall’art. 2) del D.Lgs. n. 215 del 2003 sul rilievo che il sequestro preventivo, di
per sé anche quando è lecito, diventa illegittimo se rivolto nei confronti di
minoranze discriminate, a cui non vengono offerte sistemazioni alternative in
luoghi che soddisfino i criteri di alloggio adeguato e che, soprattutto, consentano
ai nuclei familiari di rimanere uniti. Là dove vi siano situazione di degrado, grave
pregiudizio alla salute, all’igiene pubblico od al carico urbanistico è giusto che si
proceda al sequestro preventivo. Nel caso in cui, invece, come nel caso de quo,

paesaggio, in un’area circondata da orti e da altre piccole abitazioni abusive,
allora il sequestro assume carattere illegittimo.
L’art. 6) comma 1 della Legge Regionale del Piemonte per la “Tutela delle
popolazioni zingare” sarebbe perciò rimasto assolutamente disapplicato.

CONDIDEFtATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato per le ragioni che seguono.

2. Quanto al primo motivo, il Tribunale, con logica ed adeguata motivazione,
ha ritenuto che le caratteristiche dell’opera realizzata (un caseggiato in lamiera
adibito ad unità abitativa), in uno con la particolare natura del terreno ove
ubicata (trattarsi di un terreno agricolo, non destinato all’edificazione a scopi
abitativi e classificato come a rischio esondazione), fossero tali da consentire di
ravvisare quel “concreto ed attuale pericolo di protrarre le conseguenze del
reato” cui fa riferimento l’art. 321, comma 1, cod. proc. pen., posto che la libera
disponibilità della struttura abusiva, realizzata per scopi dichiaratamente abitativi
e ubicata in un terreno che gli strumenti urbanistici qualificano come non
edificabile, in quanto destinato ad attività agricole, rappresenti un concreto
pericolo di aggravamento delle conseguenze antigiuridiche, proprio perché in
grado di alterare la staticità e l’intrinseca natura agricola del luogo,
determinando con l’uso un carico urbanistico che il luogo sul quale l’immobile
insiste non sarebbe in grado di sopportare e derivandone un aggravamento ed
una protrazione delle conseguenze del reato.
E’ pertanto errata la convinzione della ricorrente secondo la quale, essendo
l’immobile ormai ultimato, esso non graverebbe sull’assetto del territorio e sul
carico urbanistico e che, quindi, non sarebbe riscontrabile alcuna conseguenza
antigiuridica ulteriore rispetto all’ormai avvenuta consumazione del reato
derivante dall’uso del bene.

2

si sia in presenza di una piccola abitazione, recintata ed integrata con il

E’ solo il caso di ricordare poi che, in presenza, come nella specie, di un
logico apparato argomentativo, non sono consentite, in materia di impugnazioni
cautelari reali, censure sul vizio di motivazione.

3. Anche il secondo motivo è infondato.
In presenza di una condotta sussumibile in un fatto di reato, il cui fumus
non è neppure contestato, la questione sollevata, circa l’asserita discriminazione,
è estranea alle competenze del giudice penale e, alla tutela dei diritti

l’autorità amministrativa, tanto che la ricorrente stessa ha agitato pronunce dei
giudici amministrativi al riguardo.
E’ pertanto corretta l’affermazione del tribunale secondo la quale alcuna
pertinenza, ai fini della valutazione circa la legittimità del mantenimento del
sequestro preventivo in atto, assumono le considerazioni formulate circa il diritto
all’abitazione con riferimento alle peculiarità dell’etnia Sinti (e dei relativi doveri
del Comune nei confronti della stessa), trattandosi di questione che potrà
assumere rilievo sul piano amministrativo della vicenda, soprattutto se l’art. 6,
comma 1, della Legge Regionale del Piemonte per la “Tutela delle popolazioni
zingare” sia rimasto effettivamente disapplicato.
Né sono state segnalate o risultano pronunce dei Giudici Europei che
abilitano i giudici nazionali a disapplicare, in siffatti casi, le norme penali dello
Stato.

4. Da ciò consegue il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 08/04/2016

fondamentali della ricorrente ai quali, se ritenuti sussistenti, deve provvedere

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