Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28968 del 05/04/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28968 Anno 2016
Presidente: AMORESANO SILVIO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Cinque Arcangelo, nato a Positano il 20 settembre 1946
avverso l’ordinanza del Tribunale di Salerno del 28 ottobre 2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
lette le conclusioni del pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore
generale Paola Filippi, nel senso dell’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 05/04/2016

RITENUTO IN FATTO
1. — Con ordinanza del 28 ottobre 2015, il Tribunale di Salerno ha rigettato la
richiesta di riesame proposta dall’indagato avverso il decreto di sequestro preventivo
del Gip dello stesso Tribunale del 3 settembre 2015, con il quale era stato disposto il
sequestro preventivo di un immobile, in relazione ai reati di cui agli artt. 44, comma
1, lettera b) , 64, 65, 72, 93, 95 del d.P.R. n. 380 del 2001, 181, comma 1, del d.lgs.
n. 42 del 2004, 349 cod. pen.

cassazione, deducendo, con unico motivo di doglianza, l’erronea applicazione dell’art.
321 cod. proc. pen. e vizi della motivazione, sul rilievo della mancanza di un concreto
ed attuale pericolo come presupposto di legittimità del provvedimento. La difesa
sostiene, in particolare, che i beni non avrebbero potuto essere sottoposti a sequestro
perché si trovavano già sotto sequestro, cosicché essi erano già sottratti alla libera
disponibilità del titolare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile, perché proposto al di fuori dei limiti fissati
dall’art. 325, comma 1, cod. proc. pen. Esso è infatti basato su una censura che – al
di là della sua intestazione formale – non è sostanzialmente riferita a violazioni di
legge, ma a pretesi vizi della motivazione. La censura è, inoltre, del tutto generica,
perché nel ricorso non si indicano gli elementi concreti sulla base dei quali la conforme
valutazione dei presupposti di fatto della misura, operata dal Gip e dal Tribunale,
dovrebbe essere disattesa.
Anche a prescindere da tali assorbenti considerazioni, deve comunque rilevarsi
che – contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso – il Tribunale ha evidenziato, con
chiare e coerenti argomentazioni, che nel caso di specie sussiste il pericolo concreto e
attuale di protrazione delle conseguenze dannose del reato, perché si procede per
ulteriori reati urbanistici e paesaggistici che, secondo l’ipotesi accusatoria, sono stati
commessi proprio violando i sigilli disposti con il precedente sequestro preventivo del
2012; con la conseguenza che è del tutto evidente la piena legittimità del nuovo
vincolo teso a sottrarre nuovamente i beni in questione alla libera disponibilità
dell’indagato, che non solo ha continuato ad utilizzarli malgrado il sequestro, ma ha
addirittura realizzato ulteriori opere edilizie abusive, con violazione del vincolo
paesaggistico e della disciplina antisismica. E non sussiste, in ogni caso, alcun divieto
normativo di sottoporre a sequestro uno stesso bene in forza di due diversi titoli,

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2. – Avverso l’ordinanza l’indagato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per

dovendosi procedere caso per caso alla valutazione della sussistenza della concretezza
ed attualità delle esigenze cautelari.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto
conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che,
nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità»,
alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod.
proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della
somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 1.500,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 5 aprile 2016.

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