Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28967 del 05/04/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28967 Anno 2016
Presidente: AMORESANO SILVIO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Mohamed Mahmoud El Said Jehia, nato in Egitto il 14 aprile 1948
avverso l’ordinanza del Tribunale di Latina del 9 luglio 2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
lette le conclusioni del pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore
generale Luigi Orsi, nel senso dell’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 05/04/2016

RITENUTO IN FATTO
1. – Con ordinanza del 9 luglio 2015, il Tribunale di Latina ha rigettato la
richiesta di riesame proposta dall’indagato avverso il decreto di sequestro preventivo
del Gip dello stesso Tribunale del 29 maggio 2015, con il quale era stato disposto il
sequestro preventivo di una struttura in legno di 18 m 2 , in corso di realizzazione in
forza di titoli abilitativi illegittimi, in area demaniale marittima, in zona sottoposta a
vincolo paesaggistico e facente parte di un parco nazionale.

cassazione, lamentando, con un primo motivo di doglianza, la violazione dell’art. 324,
comma 5, cod. proc. pen., sul rilievo che la decisione del collegio sarebbe pervenuta
successivamente alla scadenza del termine previsto di 10 giorni dalla ricezione degli
atti.
In secondo luogo, si lamenta che il Tribunale avrebbe ritenuto che
l’autorizzazione n. 10 del 2009 fosse illegittima perché non prevedeva il limite di
superficie massima di 9,25 m 2 per la realizzazione del chiosco. Non si sarebbe
considerato che tale autorizzazione aveva integralmente sostituito tutti gli atti
precedenti e che, in ogni caso, si sarebbe dovuta ritenere consentita per il chiosco una
superficie di 40 m 2 , con annessa zona d’ombra di 60 m 2 .
Con memoria depositata in prossimità della camera di consiglio davanti a
questa Corte, la difesa richiama una consulenza tecnica di parte dalla quale
emergerebbe la possibilità di realizzare l’opera poi effettivamente realizzata; opera
che sarebbe stata regolarmente autorizzata anche ai fini paesaggistici e del Parco
nazionale. Si sostiene, inoltre, che dal sito Internet del Comune emergerebbe che le
installazioni destinate ad una riapertura stagionale senza modifiche potrebbero essere
realizzate anche in mancanza di titolo edilizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo di doglianza – con cui si deduce la violazione dell’art. 324,
comma 5, cod. proc. pen., sul rilievo che la decisione del collegio sarebbe pervenuta
successivamente alla scadenza del termine di 10 giorni dalla ricezione della
documentazione – è formulato in modo itspecifico, perché non contiene alcun
riferimento alla successione degli atti del procedimento e alle date degli stessi. Esso è,
in ogni caso, anche manifestamente infondato, perché il Tribunale ha legittimamente
emesso la sua decisione il decimo giorno successivo all’acquisizione degli atti in copia
(30 giugno 2015).
2

2. – Avverso l’ordinanza l’indagato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per

Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, perché proposto al di fuori dei
limiti fissati dall’art. 325, comma 1, cod. proc. pen. Esso è infatti basato su una
censura che – al di là della sua intestazione formale – non è sostanzialmente riferita a
violazioni di legge, ma a pretesi vizi della motivazione in relazione alla valutazione
della legittimità dei titolo abilitativi.
Anche a prescindere da tali assorbenti considerazioni, deve comunque rilevarsi
che – contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso – il Tribunale ha evidenziato, con

2009, in forza della quale il ricorrente aveva installato ogni anno un chiosco estivo in
area destinata alla balneazione, è illegittima perché autorizza la realizzazione di un
manufatto sul demanio marittimo occupante una superficie abbondantemente più
estesa di quanto consentito dalla disciplina urbanistica applicabile, costituita dal piano
di utilizzazione degli arenili; disciplina non richiamata nel ricorso neanche a fini di
contestazione. L’opera realizzata é, inoltre, difforme per dimensioni rispetto a quanto
assentito con l’autorizzazione paesaggistica, perché la stessa era stata concessa
subordinatamente alla condizione del rispetto dei limiti massimi di superfici realizzabili
in base al piano di attuazione degli arenili; limiti che – come appena visto – sono stati
violati.
Né possono essere esaminate in questa sede le considerazioni svolte della
difesa con la memoria depositata in prossimità della camera di consiglio davanti a
questa Corte, perché le stesse fanno riferimento agli esiti di una consulenza di parte
mai prodotta di fronte al Tribunale; consulenza che non può comunque essere oggetto
di valutazione in sede di legittimità.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto
conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che,
nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità»,
alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod.
proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della
somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 1.500,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 5 aprile 2016.

chiare e coerenti argomentazioni, che nel caso di specie l’autorizzazione n. 10 del

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