Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28960 del 10/02/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28960 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Giorgio Luigi, nato a San Valentino Torio il 1/2/1958
avverso l’ordinanza del 26/6/2015 del Tribunale di Salerno
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni Liberati;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Paolo
Canevelli, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 26 giugno 2015 il Tribunale di Salerno ha respinto la
richiesta di riesame presentata da Luigi Giorgio, Carolina Caldieri e Filomena
Marrazzo nei confronti della ordinanza del 11 maggio 2015 del Giudice per le
indagini preliminari del Tribunale di Nocera Inferiore, con cui era stato disposto il
sequestro preventivo di due corpi di fabbrica in corso di costruzione e di una
piscina con spogliatoio e tettoia in San Valentino Torio, in relazione ai quali erano
stati ipotizzati i reati di cui agli artt. 48 e 479 cod. pen e 44, comma 1, lett. c)
d.P.R. 380/2001.
Nel disattendere la richiesta di riesame, il Tribunale ha sottolineato che il
progettista dei lavori relativi ai due corpi di fabbrica (destinati ad ospitare uffici,
studi professionali ed autorimesse serninterrate) aveva redatto ed allegato alla
richiesta di permesso di costruire una planimetria generale della zona non

Data Udienza: 10/02/2016

corrispondente al reale stato di fatto, in quanto non riportante la presenza della
piscina, dello spogliatoio e della tettoia (opere già realizzate in assenza di
permesso di costruire), ottenendo in tal modo il rilascio del permesso di costruire
per una superficie edificabile superiore a quella realmente disponibile e l’assenso
ad una volumetria di progetto superiore a quella realizzabile. Sulla base di tale
ricostruzione dello stato dei luoghi e della vicenda il Tribunale ha disatteso la
prospettazione dei ricorrenti circa l’indicazione nelle istanze presentate della
presenza delle tettoie e di un bagno, con la conseguente sussistenza dei gravi

tendente a ricondurre la piscina e la tettoia a meri volumi tecnici, affermando di
conseguenza la ravvisabilità dell’illecito edilizio in relazione a questi ultimi ed ai
due fabbricati in corso di costruzione (realizzati in forza di un permesso di
costruire rilasciato sulla base di una falsa rappresentazione della realtà, con
superamento del volume massimo e della superficie massima realizzabili).
E’ stato, poi, ravvisato dal Tribunale anche il pericolo di prosecuzione
dell’illecito, mediante completamento delle opere, con la conseguente
sussistenza dei presupposti per disporre il sequestro preventivo dell’area.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il solo Luigi Giorgio, mediante il
suo difensore, affidato a due motivi, così riassunti entro i limiti previsti dall’art.
173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo ha denunciato vizio di motivazione, per la mancata
risposta da parte del Tribunale al primo motivo della istanza di riesame, con il
quale era stata prospettata l’illegittimità del sequestro in quanto la superficie
della tettoia e dello spogliatoio non poteva concorrere al calcolo della superficie
fondiaria, non incidente sul carico urbanistico, trattandosi di manufatti
pertinenziali e privi di incidenza sul carico urbanistico. Ha pertanto affermato che
la superficie occupata dalla piscina doveva essere detratta da quella posta a base
del calcolo per la determinazione della volumetria massima realizzabile e che il
permesso di costruire (anche se basato su una rappresentazione grafica non del
tutto precisa) doveva essere considerato legittimo, avendo assentito una
volumetria entro i limiti di quella assentibile sulla scorta della vigente normativa
urbanistica.
Ha inoltre eccepito la non corretta qualificazione giuridica dell’illecito edilizio,
in quanto l’area non era gravata da vincoli idrogeologici e paesaggistici e quindi
non poteva essere ravvisato il reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R.
380/2001, bensì quello di cui all’art. 44, comma 1, lett. b), del medesimo testo
normativa, di minore gravità.
2.2. Con il secondo motivo ha denunciato violazione di legge sostanziale e
processuale, in relazione agli artt. 129 e 321 cod. proc. pen. e 44, lett. b), d.P.R.

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indizi di commissione del reato di cui all’art. 479 cod. pen., ed anche la tesi

380/2001, sulla base del rilievo che la piscina con annessi spogliatorio e
gabinetto erano stati edificati in epoca notevolmente anteriore a quella di
costruzione dei due fabbricati sequestrati (dal 2006 al 2013), con la conseguente
prescrizione degli illeciti relativi alla realizzazione di tali manufatti, che non
avrebbero di conseguenza potuto essere inclusi nella contestazione di cui al capo
b) della rubrica.

Il ricorso è infondato.

1. Per quanto riguarda il primo motivo, mediante il quale sono stati
denunciati vizio di motivazione, per la mancata risposta da parte del Tribunale
alle doglianze fondate sulla natura di vani tecnici dello spogliatoio e della tettoia
non contemplati dal permesso di costruire, e violazione dell’art. 44, lett. c),
d.P.R. 380/2001, per l’inesatta qualificazione giuridica delle condotte, va
ricordato che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di
sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale
nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”,
sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere il complesso
argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo
dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, e quindi inidoneo
a rendere comprensibile il percorso logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 5876
del 28/1/2004, Bevilacqua, Rv. 226710. V. anche Sez. 3, Sentenza n. 29084 del
2015, Favazzo, Rv. 264121; Sez. 3, n. 28241 del 18/02/2015, Baronio, Rv.
264011; Sez. 6, n. 6589 del 10/1/2013, Gabriele, Rv. 254893; Sez. 5, n. 35532
del 25/6/2010, Angelini, Rv. 248129; Sez. 6, n. 7472 del 21/1/2009, Vespoli,
Rv. 242916; Sez. 5, n. 8434 del 11/1/2007, Ladiana, Rv. 236255).
Ora, nella vicenda in esame, il Tribunale di Salerno ha esaminato il rilievo
dei richiedenti, fondato sulla menzione della tettoia e dello spogliatoio nella
istanza di parte del 27 febbraio 2006 (nella quale erano stati indicati come
manufatti da demolire) e sulla natura di volumi tecnici di tali manufatti (come
tali da non considerare nella determinazione della volumetria massima
edificabile), disattendendolo, evidenziando che negli allegati alla domanda di
permesso di costruire non vi era l’indicazione della piscina e dello spogliatoio
preesistenti (con la conseguente ravvisabilità del falso e della induzione in errore
al fine del rilascio del permesso di costruire) e che quest’ultimo non poteva
essere considerato volume tecnico e doveva essere computato nella
determinazione della volumetria massima assentibile: tale motivazione risulta
completa e coerente, con la conseguente inammissibilità della censura di vizio di

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CONSIDERATO IN DIRITTO

motivazione formulata dal ricorrente, non essendosi in presenza né di carenza
assoluta di motivazione, avendo il Tribunale fornito esauriente risposta ai rilievi
formulati dal ricorrente, né di vizi radicali della motivazione nel senso anzidetto.
1.1. Per quanto riguarda la denuncia di violazione di legge, formulata con il
medesimo motivo e fondata sulla errata qualificazione giuridica dei fatti, da
ricondurre alla meno grave ipotesi di cui all’art. 44, lett. b), d.P.R. 380/2001,
non avendo i lavori interessato un’area sottoposta a vincolo storico, artistico,
archeologico, paesistico, ambientale, occorre rilevare che tale argomento non

cassazione, stato sottoposto al Tribunale per il riesame, con la conseguenza che
ne risulta ora preclusa la sua deduzione mediante il ricorso di legittimità, perché
la relativa indagine implicherebbe un accertamento in fatto (circa la sussistenza
o meno di detti vincoli), che non è stato compiuto dai giudici del merito e che è
precluso a quello di legittimità, in assenza del quale non può essere verificata la
sussistenza o meno della violazione di legge denunciata.
Va comunque considerato che anche la diversa qualificazione giuridica dei
fatti prospettata dal ricorrente, quale violazione dell’art. 44, lett. b), anziché
della lett. c) della medesima disposizione, non avrebbe significativa incidenza sul
mantenimento del sequestro, permanendo comunque l’illiceità delle condotte e
rimanendo inalterate le ragioni poste a fondamento del sequestro impugnato,
con la conseguente inammissibilità anche sotto questo profilo, e cioè per carenza
di interesse, della censura, che non tende a conseguire, attraverso la diversa
qualificazione giuridica del fatto, alcun risultato utile per il ricorrente, elemento
che costituisce presupposto ineludibile del suo interesse a ricorrere (cfr. Sez. 6,
n. 41003 del 07/10/2015, Mazzariello, Rv. 264762; Sez. 6, n. 24608 del
02/04/2015, K, Rv. 264166; Sez. 6, n. 6692 del 16/12/2014, Rv. 262393; Sez.
5, n. 7468 del 28/11/2013, Pisano, Rv. 258984).

2. Analogo ordine di considerazioni può essere svolto per quello che
riguarda il secondo motivo di ricorso, mediante il quale è stata denunciata
violazione di legge penale per l’omesso rilievo della prescrizione dell’illecito
urbanistico, sia perché il punto relativo all’epoca di realizzazione dei manufatti
abusivi non risulta essere stato sottoposto al Tribunale, con la conseguente
preclusione alla verifica di tale aspetto nel giudizio di legittimità, implicante
anch’esso indagini in punto di fatto al riguardo; sia perché l’illecito urbanistico è
stato contestato in relazione a tutto il complesso edilizio realizzato e non solo
alla piscina ed all’annesso spogliatoio, sul rilievo che il permesso a costruire dei
due edifici ancora in corso di costruzione sarebbe stato rilasciato sulla base di
una falsa rappresentazione della realtà (senza indicazione dei manufatti
preesistenti e quindi senza computo della loro superficie, peraltro abusivamente
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era, secondo quanto si ricava dalla ordinanza impugnata e dal ricorso per

realizzata), e dunque tale permesso sarebbe illegittimo e come tale non
produttivo di effetti, con la conseguente illegittimità di tutto il nuovo complesso,
ancora non ultimato, presentandosi allo stato grezzo, da cui deriva l’infondatezza
della censura in ordine alla prescrizione del reato.
In conclusione il ricorso deve essere respinto, stante l’infondatezza di
entrambi i motivi cui è stato affidato, ed il ricorrente condannato al pagamento
delle spese processuali.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 10/2/2016

P.Q.M.

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