Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28957 del 02/02/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28957 Anno 2016
Presidente: GRILLO RENATO
Relatore: RICCARDI GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto dal
Tremante Giovanni, nato a Napoli il 01/06/1969

avverso l’ordinanza del 11/11/2015 del Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Roma

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Giuseppe Riccardi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Paola
Filippi, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio limitatamente
all’omessa motivazione in ordine alle eccezionali esigenze che consentono la
rinnovazione della misura;
udito il difensore, avv. Lelio Della Pietra, che ha concluso chiedendo
l’annullamento senza rinvio.

RITENUTO IN FATTO

1.

Con ordinanza del 30/09/2015 il Gip del Tribunale di Napoli non

convalidava il fermo di Tremante Giovanni disposto dal P.M. della D.D.A. di Roma

Data Udienza: 02/02/2016

il 25/09/2015, applicava la misura cautelare degli arresti domiciliari,
contestualmente dichiarando la propria incompetenza.
Il 16/10/2015 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma
emetteva, ai sensi dell’art. 27 cod. proc. pen., ordinanza di custodia cautelare in
carcere nei confronti di Tremante Giovanni.
Il 10/11/2015 il Tribunale del riesame di Roma dichiarava la perdita di
efficacia, ai sensi dell’art. 309, comma 10, cod. proc. pen., dell’ordinanza
cautelare a far data dal 11/11/2015.

del Tribunale di Roma rinnovava la misura della custodia cautelare in carcere nei
confronti di Tremante Giovanni.
In particolare, il titolo cautelare veniva emesso in ordine al reato di
associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico (capo A), in relazione alla
partecipazione di Tremante Giovanni al sodalizio, promosso e diretto da Crupi
Vincenzo e Crupi Rocco Natale — entrambi ritenuti legati alla cosca di ‘ndrangheta
dei Commisso di Siderno -, nonché da Macrì Vincenzo e Barranca Domenico,
finalizzato al traffico di sostanze stupefacenti; il procedimento, che riguardava
altresì sei ipotesi di importazione e trasporto di cocaina dall’Olanda (capi B, C, D,
E, F, G), ed una ipotesi di ricettazione di 175 tonnellate di cioccolato marca Lindt
(capo H), riguardava la stabile organizzazione di un traffico di ingenti quantità di
cocaina dall’Olanda, che si articolava mediante raccolta del denaro contante
necessario per l’acquisto, e trasporto del denaro occultato all’interno di camion
adibiti al trasporto di fiori, adoperati poi per la successiva importazione dello
stupefacente acquistato in Olanda.
Tremante Giovanni, dipendente della società Fresh con sede in Olanda,
avente ad oggetto attività di import-export, veniva ritenuto, sulla base di una
serie di conversazioni telefoniche ed ambientali, appartenente al sodalizio, con il
ruolo di collettore del denaro trasportato dall’Italia, ed organizzatore dei
successivi trasporti di cocaina, occultata nei camion apparentemente utilizzati
per il commercio di fiori.
L’attività di commercio dei fiori, mera copertura del traffico di stupefacenti,
veniva dissimulata, in particolare, tramite due società, la Krupy s.r.I., con sede in
Latina, ove venivano convogliate le somme di denaro raccolte per il successivo
trasporto in Olanda, e la Fresh, con sede in Olanda, che fungeva da schermo per
la ricezione delle somme.

2. Avverso tale provvedimento il difensore dell’indagato, Avv. Lelio Della
Pietra, ha proposto ricorso per cassazione per saltum, ai sensi dell’art. 311,
comma 2, cod. proc. pen., deducendo il vizio di violazione di legge sostanziale.

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Con ordinanza del 11 novembre 2015 il Giudice per le indagini preliminari

Il ricorrente ha articolato cinque motivi di censura, di seguito enunciati nei
limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc.
pen..
2.1. Con un primo motivo deduce l’inosservanza o erronea applicazione
della legge penale ex art. 606, lett. b), in relazione all’art. 309, comma 10, cod.
proc. pen.: in particolare, sul presupposto che l’ordinanza impugnata è stata
emessa in seguito alla perdita di efficacia dell’ordinanza custodiale genetica del
16/10/2015, dichiarata dal Tribunale del riesame di Roma con ordinanza del

(come modificato dalla legge 16 aprile 2015, n. 47) il divieto di reiterazione della
misura in caso di inefficacia dell’ordinanza genetica, “salvo eccezionali esigenze
cautelari specificamente motivate”, l’ordinanza rinnovata in data 11/11/2015 non
contenga alcuna specifica motivazione in ordine alla sussistenza delle eccezionali
esigenze cautelari. Al riguardo, il paragrafo 6 del titolo custodiale (p. 69) è la
mera copia delle prime nove righe del par. 6 (p. 67) del decreto di fermo
adottato il 25/09/2015, e, per il resto, dell’ordinanza cautelare del 10/10/2015.
2.2. Con un secondo motivo deduce l’inosservanza o erronea applicazione
della legge penale ex art. 606, lett. b), in relazione agli artt. 292, comma 2, lett.
c) e c bis), e 274, cod. proc. pen.: nella motivazione delle esigenze cautelari
manca una “esposizione e autonoma valutazione” delle esigenze concrete, degli
indizi, e della irrilevanza delle argomentazioni difensive; il titolo cautelare è la
copia pedissequa del fermo del P.M. e del titolo custodiale del 16/10/2015, e alla
riproduzione materiale non segue alcuna autonoma valutazione.
Inoltre, manca qualsiasi motivazione individualizzante in ordine all’esigenza
cautelare del pericolo di recidiva, sulla base di elementi concreti: nonostante il
divieto di desumere l’esigenza cautelare esclusivamente dalla gravità del reato,
l’ordinanza omette qualsiasi valutazione in ordine alla personalità di Tremante
Giovanni, incensurato, non indagato per altri reati, ed in posizione gregaria
rispetto a Crupi Giovanni.
La motivazione è assente anche con riferimento all’esposizione ed autonoma
valutazione in ordine all’inadeguatezza di misure cautelar’ meno afflittive (art.
292, comma 2, lett. c bis), cod. proc. pen.); al di là di frasi di stile, alcuna
argomentazione prende in esame la circostanza che la misura degli arresti
domiciliari applicata dal Giudice per le indagini preliminari di Napoli, in sede di
convalida del fermo disposto dal P.M., si era rivelata idonea a salvaguardare le
esigenze cautelari individuate, in assenza di segnalazioni di trasgressioni. Inoltre,
alcuna motivazione viene spesa in ordine ai fatti esposti a propria difesa nel
corso dell’interrogatorio di garanzia.

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10/11/2015, censura che, pur prevedendo l’art. 309, comma 10, cod. proc. pen.

2.3. Con un terzo motivo deduce l’inosservanza o erronea applicazione della
legge penale ex art. 606, lett. b), in relazione agli artt. 273 cod. proc. pen. e 73
d.P.R. 309 del 1990: la partecipazione di Giovanni Tremante alla associazione
finalizzata al narcotraffico è fondata sulle conversazioni con Alfio Fichera,
intercettate dal 16 al 19 settembre 2013 (richiamate alle p. 21-22 del titolo
custodiale); dall’interessamento a far consegnare la somma di C 1.500,00 al
coindagato Giovanni Beretta l’ordinanza impugnata desumerebbe il ruolo di
raccolta e trasporto del denaro destinato all’acquisto della sostanza

Tuttavia, non si considera che Alfio Fichera, non indagato, è un imprenditore
del settore florovivaicolo, in rapporti commerciali con l’azienda della quale
Tremante è dipendente, e la condotta non appare connotata da alcun requisito di
illiceità. Inoltre, le conversazioni con Alfio Fichera sono state intercettate nel
settembre 2013, allorquando il titolo di reato a fondamento delle intercettazioni
erano reati tributari e di riciclaggio e reimpiego; soltanto al 12/09/2014 risale
l’iscrizione del reato associativo.
Pertanto, chiede l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata.
2.4. Con un quarto motivo deduce l’inosservanza o erronea applicazione
della legge penale ex art. 606, lett. b), in relazione all’art. 15 della Convenzione
europea di assistenza giudiziaria tra gli Stati in materia penale, e agli artt. 727 e
729 cod. proc. pen.: eccepisce la nullità dell’ordinanza cautelare per
inutilizzabilità degli atti acquisiti mediante rogatoria internazionale in Olanda, in
quanto nel fascicolo sono contenute solo le richieste di rogatoria internazionale e
gli atti acquisiti, senza alcuna documentazione dei provvedimenti emessi
dall’autorità straniera.
2.5. Con un quinto motivo deduce l’inosservanza o erronea applicazione
della legge penale ex art. 606, lett. b), in relazione all’art. 6 CEDU, all’art. 111
Cost., e agli artt. 178, 116, 268 e 294 cod. proc. pen.: nonostante la richiesta di
ascoltare la voce captata nel corso delle intercettazioni, che gli viene attribuita,
l’indagato non ha avuto la possibilità di ascoltare i file audio delle conversazioni,
per indisponibilità fisica degli atti.
2.6.

Con memoria pervenuta il 20/01/2016 il ricorrente ha prodotto

documentazione ritenuta rilevante per la decisione (decreto di fermo, ordinanza
cautelare genetica, informativa conclusiva della p.g., iscrizione della notizia di
reato, richiesta di autorizzazione alle intercettazioni, ecc.).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.11 ricorso è infondato e va rigettato.

ttf4

stupefacente.

2. Il primo motivo di ricorso è infondato.

2.1. Il ricorrente lamenta che l’ordinanza con la quale, in seguito alla
declaratoria di estinzione della misura da parte del Tribunale del riesame, è stata
rinnovata la custodia in carcere sia stata emessa in assenza delle “eccezionali
esigenze cautelari” che consentono il ripristino della misura ai sensi dell’art. 309,
comma 10, cod. proc. pen.
Al riguardo, il requisito delle “eccezionali esigenze cautelari”, quale

inosservanza dei termini di trasmissione degli atti al riesame o di decisione dello
stesso, è stato introdotto dall’art. 11, comma 5, I. 16 aprile 2015, n. 47.
Della norma – che pure solleva perplessità in ordine alla compatibilità
costituzionale (essenzialmente) con il principio di ragionevolezza, tant’è che
risulta pendente questione di legittimità costituzionale (sollevata dal Gip del
Tribunale di Nola, ordinanza 28/05/2015, n. 206, pubblicata in G.U. n. 42 del
21/10/2015) – va nondimeno proposta, ove consentito dal tenore letterale della
disposizione, una interpretazione sistematica costituzionalmente conforme,
potendo altrimenti la questione di costituzionalità essere dichiarata inammissibile
(per il consolidato principio, Corte Cost., sentenze
n. 17/2010, n. 276/2009, n. 165/2008, n. 379/2007, ordinanze n. 341/2008, n.
268/2008 e n. 115/2005).
Invero, il divieto di rinnovazione della misura coercitiva, salva la ricorrenza
di “eccezionali esigenze cautelari”, consegue alla declaratoria di inefficacia
determinata dall’inosservanza dei termini per la celebrazione o per la decisione
dell’udienza di riesame, situazione che, pur a salvaguardia dell’esigenza del
destinatario della misura cautelare di ottenere un tempestivo controllo
giurisdizionale sulla legittimità della sua detenzione (art. 5, comma 4,
Convenzione europea dei diritti dell’Uomo), è già presidiata dalla caducazione
dell’atto limitativo della libertà.
Il profilo di irragionevolezza intrinseca, dunque, risiederebbe nella opzione
normativa di ritenere invariabilmente prevalenti le esigenze di tempestività del
controllo rispetto alle esigenze cautelari suscettibili di fondare la privazione della
libertà personale nei casi determinati dalla legge; in altri termini, i valori oggetto
del bilanciamento legislativo non sarebbero omogenei, in quanto l’inosservanza
dei termini per la celebrazione o la decisione del riesame, che determina
l’inefficacia della misura, non ha alcun rilievo ai fini della valutazione delle
esigenze cautelari, che, se sussistenti, restano inalterate e non incise dal vizio
procedimentale.

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presupposto per la rinnovazione della misura cautelare dichiarata estinta per

Del resto, l’irragionevolezza intrinseca, per l’incidenza attribuita ad un fatto
processuale sulla valutazione del fatto storico – in quanto comprensivo, ai fini del
giudizio di ‘pericolosità cautelare’, del fatto-reato e della personalità dell’accusato
– sottoposto all’attenzione del giudice nel sub-procedimento cautelare, è altresì
corroborata, nella sua significatività, dalla ricognizione, quali

tertia

comparationis, delle norme che prevedono la rinnovazione della misura in caso di
dichiarazione di incompetenza (art. 27 cod. proc. pen.) o, in una situazione del
tutto analoga a quella disciplinata dall’art. 309, comma 10, cod. proc. pen., in

cod. proc. pen.): in tali ipotesi, infatti, il potere di rinnovazione della misura è
subordinato alla sussistenza degli ‘ordinari’ requisiti dei gravi indizi di
colpevolezza e delle esigenze cautelari.
L’irragionevolezza della previsione è altresì evidenziata dal rilievo che le
“eccezionali esigenze cautelari” sono previste, nell’ordinamento processuale
penale, per legittimare l’adozione della sola misura della custodia in carcere non, come nell’ipotesi disciplinata dall’art. 309, di tutte le misure coercitive – in
situazioni particolari, ricollegabili a condizioni soggettive dell’indagato (legate
all’età, alle esigenze di assistenza alla prole, e alle condizioni di salute, ex art.
275, commi 4, 4 bis e 4 ter, cod. proc. pen., ovvero alla condizione di
tossicodipendenza, ex art. 89 d.P.R. 309 del 1990): in tali ipotesi, infatti, il
bilanciamento normativo dei valori in gioco è stato operato sulla base di beni
omogenei, non rilevando soltanto la tutela della condizione soggettiva in sé,
bensì l’incidenza che le condizioni di età, salute, famiglia, possono avere sulla
valutazione delle esigenze cautelari; la scelta legislativa, infatti, risponde al
giudizio, formulato in astratto ed ex ante, che le persone in età avanzata, o in
condizioni personali o di salute precarie, o con esigenze di assistenza della prole,
possano, per tali condizioni, essere suscettibili di una valutazione di minore
‘pericolosità cautelare’; tale giudizio fonderebbe la necessità, per l’adozione della
misura di maggior rigore, di esigenze di eccezionale rilevanza.
2.2. Alla luce delle considerazioni che precedono, va dunque esperito un
tentativo di interpretazione costituzionalmente conforme, che, sulla scorta
dell’elaborazione formatasi a proposito delle “esigenze cautelari di eccezionale
rilevanza” (art. 275, commi 4, 4 bis e 4 ter, cod. proc. pen., art. 89 d.P.R. 309
del 1990), fornisca un’esegesi della norma compatibile con il quadro di valori
costituzionali coinvolti nella materia cautelare.
Al riguardo, con particolare riferimento ai reati concernenti gli stupefacenti,
è stato affermato che le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza che
impongono il mantenimento della misura custodiale carceraria pur in presenza
delle condizioni considerate dall’art. 89, comma secondo, d.P.R. n. 309 del 1990,

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caso di estinzione per omesso interrogatorio di garanzia nei termini (art. 302

non coincidono con una normale situazione di pericolosità, ma si identificano in
una esposizione al pericolo per la collettività di tale consistenza da non risultare
compensabile con il recupero del soggetto tossicodipendente, valutato anche in
termini di probabilità (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione
impugnata che aveva ravvisato le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza in
considerazione dei precedenti penali specifici, della recidiva ex art. 99, comma
quarto, cod. pen. e del possesso di gr. 160 di cocaina) (Sez. 3, n. 27075 del
19/03/2014, Gueli, Rv. 259649; in senso analogo, Sez. 6, n. 18969 del

automaticamente legata alla gravità del reato, in quanto le esigenze cautelari di
eccezionale rilevanza, ostative alla sostituzione della custodia cautelare in
carcere con il programma terapeutico di recupero, non possono essere ritenute
sussistenti in ragione della mera contestazione del reato associativo di cui all’art.
74 d.P.R. n. 309 del 1990, occorrendo comunque una valutazione comparativa
del giudice tra l’obiettivo sociale della tutela della collettività e quello individuale
del recupero della persona dipendente (Sez. 6, n. 1694 del 20/12/2013, dep.
2014, Tancona, Rv. 258350).
Nel medesimo senso si è espressa Sez. 6, n. 10329 del 23/01/2008, Reale,
Rv. 238928, secondo cui la revoca della misura cautelare, richiesta ai sensi
dell’art. 89, comma secondo, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, nei confronti del
tossicodipendente sottoposto a custodia cautelare in carcere che abbia scelto di
sottoporsi ad un programma terapeutico di recupero, è subordinata alla
valutazione del giudice che escluda la sussistenza di esigenze cautelari di
eccezionale rilevanza. Siffatte esigenze non coincidono con una normale
situazione di pericolosità, ma si identificano in una esposizione al pericolo
dell’interesse di tutela della collettività di tale consistenza da non risultare
compensabile rispetto al valore sociale rappresentato dal recupero del soggetto
tossicodipendente, valutato anche in termini di probabilità (Fattispecie in cui
sono state ravvisate le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza nei gravi
precedenti penali dell’imputato, nel dato ponderale – kg 30 di hashish – della
sostanza stupefacente detenuta ed importata, e nella sua qualità di persona
sottoposta a misura di prevenzione) (in senso analogo, Sez. 6, n. 33807 del
12/07/2007, Scrivano, Rv. 237420, che ha ritenuto corretta la decisione del
giudice di merito che aveva negato la revoca della misura cautelare in carcere,
ravvisando le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza nei precedenti penali
specifici degli imputati, nel dato ponderale – kg. 3,200 di cocaina – e nell’entità
della pena inflitta; cfr., altresì, Sez. 4, n. 13302 del 30/01/2004, Fadda, Rv.
228037, che ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito che aveva
negato la revoca della misura cautelare ravvisando le esigenze cautelari di

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17/01/2013, Gullotta, Rv. 255123); si è altresì chiarito che la valutazione non è

eccezionale rilevanza nel dato ponderale e nella eterogeneità della sostanza
stupefacente sequestrata – gr. 250 di eroina e gr. 16,50 di cocaina -, nonché nei
consolidati rapporti tra l’imputato e i committenti il trasporto della droga).
A proposito del parametro di valutazione del concetto di eccezionale
rilevanza, è stato evidenziato che nei confronti del tossicodipendente che abbia
scelto di sottoporsi ad un programma terapeutico di recupero, la prosecuzione
della custodia in carcere è consentita soltanto qualora ricorrono, ex art. 89 d.p.r.
9 ottobre 1990, n.309, esigenze cautelari di eccezionale rilevanza da valutare in

rilevanza non riguarda la natura delle esigenze cautelari, nè le modalità di
rilevazione e di valutazione, bensì la graduazione dell’intensità che deve essere
tale da fare ritenere insostituibile il carcere (Sez. 6, n. 22122 del 20/02/2002,
Quaranta, Rv. 222243).
La giurisprudenza formatasi in ordine alle esigenze cautelari di eccezionale
rilevanza previste dall’art. 275 cod. proc. pen., analogamente, ha affermato che
in tema di incompatibilità dello stato di salute dell’indagato con la detenzione in
carcere, l’art. 275, comma quarto-bis cod. proc. pen. pone una presunzione “in
bonam partem” che, ai sensi del successivo comma quarto-ter, può essere
superata soltanto in presenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza,
risultanti da concreti, specifici ed attuali elementi, altamente indicativi
dell’esistenza di un’eccezionale, oggettivo pericolo che deriverebbe alla comunità
sociale dallo stato di libertà del soggetto (Sez. 6, n. 14571 del 18/03/2011,
Ngedere, Rv. 250036), aggiungendo che le esigenze cautelari di eccezionale
rilevanza possono riguardare delitti della stessa specie di quello per cui si
procede, purché si tratti di delitti per i quali sia prevista la pena della reclusione
non inferiore nel massimo a quattro anni, anche se non di estrema gravità o di
criminalità organizzata, poiché l’art. 275, comma quarto, cod. proc. pen. si limita
a richiedere una pericolosità che superi la semplice concretezza richiesta dall’art.
274 cod. proc. pen., connotandosi come sostanziale certezza che l’indagato, se
sottoposto a misure cautelari diverse dalla custodia in carcere, continuerà a
commettere delitti tra quelli indicati nel suddetto art. 274, lett. c). (Fattispecie
nella quale le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza consistevano
nell’elevato pericolo che una nomade incinta, madre di figli minori di età
superiore ad anni tre, indagata per ricettazione di centinaia di monili ed oggetti
preziosi detenuti presso la propria abitazione, commettesse reiterati reati contro
il patrimonio) (Sez. 2, n. 32472 del 08/06/2010, Bozidarevic, Rv. 248352).
In termini sostanzialmente analoghi, si è affermato che è immune da
censure l’ordinanza del Tribunale del riesame che ravvisa la sussistenza delle
esigenze cautelari di eccezionale rilevanza – atte a giustificare l’adozione della

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base ai criteri stabiliti dall’art. 274 cod. proc. pen., giacché il concetto di

custodia cautelare in carcere nei confronti di una madre con prole di età inferiore
a tre anni – nella quantità di precedenti penali e giudiziari per delitti della stessa
specie (furti anche in abitazione) che ne evidenzino l’esclusiva e sistematica
abitualità alla commissione di delitti contro il patrimonio, di guisa che sia
impossibile fronteggiare l’eccezionale pericolosità sociale con misure diverse
dalla custodia in carcere; infatti, tali qualificate esigenze cautelari si distinguono
da quelle ordinarie solo per il grado del pericolo, nella specie di reiterazione – che
deve superare la semplice concretezza richiesta dall’art. 274 cod. proc. pen., per

misure cautelari diverse dalla custodia in carcere, continui nella commissione di
delitti della stessa specie di quello per cui si procede – e sono desumibili dagli
stessi elementi indicati per le ordinarie esigenza cautelari e, pertanto, dalle
specifiche modalità e circostanze del fatto e dalla personalità dell’indagato
desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali (Sez. 5, n.
2240 del 05/12/2005, dep. 2006, Bacalanovic, Rv. 233026); che le “esigenze
cautelari di eccezionale rilevanza”, di cui al quarto comma dell’art. 275 cod. proc.
pen., possono riguardare i delitti della stessa specie di quello per cui si procede,
purché si tratti di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non
inferiore nel massimo a quattro anni, non dovendo, la previsione dell’art. 275,
quarto comma. cod. proc. pen., necessariamente riguardare delitti di estrema
gravità e più precisamente reati di criminalità organizzata. Ed invero, la
previsione suddetta si distingue dalle “normali” esigenze cautelari solo per il
grado di pericolo che deve oltrepassare l’estremo della semplice concretezza
richiesto dall’art. 274 cod. proc. pen. per assumere, in pratica, quello di una
sostanziale certezza che l’indagato, se sottoposto a misure cautelari diverse dalla
custodia in carcere, continuerà a commettere delitti tra quelli indicati nell’art.
274 lett. c), cod. proc. pen. (Fattispecie relativa a custodia cautelare in carcere
per il delitto di furto pluriaggravato, punito con la pena edittale fino a dieci anni
di reclusione, commesso da persona ritenuta di assoluta pericolosità sociale che
compie sistematicamente delitti contro il patrimonio costituenti per lei statuto di
vita e che si sottrae ad una corretta identificazione) (Sez. 5, n. 599 del
04/02/1999, Nikolic, Rv. 213344).
2.3. Alla luce dell’elaborazione giurisprudenziale formatasi sulla nozione di
“esigenze caute/ari di eccezionale rilevanza”, è

possibile ritenere, quanto alla

dimensione ‘quantitativa’ delle esigenze, che il grado del pericolo debba superare
la semplice concretezza richiesta dall’art. 274 cod. proc. pen., per raggiungere la
soglia della sostanziale certezza che l’indagato, ove sottoposto a misure cautelari
diverse dalla custodia in carcere, continui nella commissione di delitti della stessa
specie di quello per cui si procede; quanto ai criteri fattuali dai quali desumere la

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raggiungere la soglia della sostanziale certezza che l’indagato, ove sottoposto a

sussistenza delle eccezionali esigenze, si è sottolineato che esse sono desumibili
dagli stessi elementi indicati per le ‘ordinarie’ esigenze cautelari e, pertanto,
dalle specifiche modalità e circostanze del fatto e dalla personalità dell’indagato
desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali; infatti, il
concetto di rilevanza non riguarda la natura delle esigenze cautelari, nè le
modalità di rilevazione e di valutazione, bensì la graduazione dell’intensità che
deve essere tale da fare ritenere insostituibile il carcere (Sez. 6, n. 22122 del
20/02/2002, Quaranta, Rv. 222243).

soprattutto allorquando siano indice di una esclusiva e sistematica abitualità alla
commissione di delitti (Sez. 5, n. 2240 del 05/12/2005, dep. 2006, Bacalanovic,
Rv. 233026), alla recidiva, al dato ponderale della sostanza stupefacente oggetto
di traffico illecito, ovvero, sempre in materia di stupefacenti, ai consolidati
rapporti tra l’imputato e i committenti del trasporto della droga (Sez. 4, n. 13302
del 30/01/2004, Fadda, Rv. 228037).
Sulla base di tali criteri interpretativi, dunque, è possibile enucleare una
nozione di “eccezionali esigenze caute/ari” rilevanti ai fini della rinnovazione della
misura coercitiva ex art. 309, comma 10, cod. proc. pen.
Con una doverosa precisazione, che consiste nel rilievo che il parametro di
valutazione è diverso nelle due ipotesi: infatti, mentre nel caso delle “esigenze
caute/ari di eccezionale rilevanza”

(artt. 275 cod. proc. pen. e 89 d.P.R.

309/1990), il parametro è rappresentato dalla insostituibilità della misura
maggiormente severa della custodia in carcere, nel caso delle

“eccezionali

esigenze caute/ari” di cui all’art. 309, comma 10, cod. proc. pen., il parametro è
costituito dalla imprescindibilità di una misura coercitiva; in altri termini, se la
privazione o la limitazione della libertà personale (nella sua più ampia
dimensione attinta dalle diverse misure cautelari personali previste dagli artt.
281-286 cod. proc. pen.) costituisce, nella dimensione normativa e
costituzionale, sempre extrema ratio, la previsione della necessità di “eccezionali
esigenze cautelari”, nei casi di rinnovazione della misura, sta ad indicare un
grado di intensità delle stesse necessariamente superiore a quello ‘ordinario’;
nondimeno, essendo parametro di valutazione più ampio, il grado di intensità
può ritenersi inferiore a quello richiesto nei casi di “esigenze cautelari di
eccezionale rilevanza” (artt. 275 cod. proc. pen. e 89 d.P.R. 309/1990), che
fondano l’esclusiva necessità della custodia in carcere.
Trattandosi di concetti giuridici dotati di una fisiologica elasticità, nel senso
che compete all’apprezzamento di merito il compito di riempire di contenuto
‘fattuale’ il perimetro astrattamente individuato dalla legge, con valutazione che,
se immune dai vizi di contraddittorietà o illogicità, è insindacabile in sede di

10

Pertanto, si è attribuita rilevanza ai precedenti penali e alle pendenze,

legittimità, l’individuazione in concreto del

grado di intensità delle esigenze

cautelari necessario a fondare la rinnovazione della misura coercitiva ai sensi
dell’art. 309, comma 10, cod. proc. pen., deve essere rimesso al giudice della
cautela.
Non appare, al riguardo, ridondante sottolineare le differenze tra le
categorie logiche dell’

“interpretazione”,

individuazione dei confini astratti della

quale attività di ricostruzione ed
norma

applicabile nel rapporto di

interazione tra fattispecie astratta e fatto concreto, della

“discrezionalità”,

c.d. elastici della norma applicabile al caso concreto, e della “valutazione” delle
prove, relativa alla fase di accertamento del fatto concreto: ebbene, nel caso
della rinnovazione della misura coercitiva, ai sensi dell’art. 309, comma 10, cod.
proc. pen., se la dimensione dell’ “interpretazione” della nozione di “eccezionali
esigenze cautelari” è rimessa alla funzione nomofilattica attribuita a questa
Corte, ed è dunque suscettibile di sindacato di legittimità – nella precipua
dimensione della violazione di legge (art. 606, lett. b), cod. proc. pen.), la
dimensione della “valutazione” della sussistenza in concreto delle “eccezionali
esigenze cautelari” è rimessa al giudice della cautela, nell’esercizio di un
momento di “discrezionalità” giurisdizionale inserito nell’ambito del procedimento
penale, finalizzato all’apprezzamento dei requisiti richiesti per la rinnovazione
della misura; tale dimensione è suscettibile di sindacato di legittimità nei limiti
della mancanza, della contraddittorietà o della manifesta illogicità della
valutazione espressa nella motivazione (art. 606, lett. e), cod. proc. pen.).
Ebbene, concludendo sul profilo del grado di intensità idoneo a raggiungere
la soglia delle “eccezionali esigenze cautelari”, va evidenziato che, anche alla
luce della riforma operata con la I. 47 del 2015, le ‘ordinarie’ esigenze cautelari
(art. 274 cod. proc. pen.), nella triplice declinazione del pericolo di inquinamento
probatorio, del pericolo di fuga, e del pericolo di ‘recidiva’, sono integrate da un
pericolo concreto e attuale; le “esigenze cautelari di eccezionale rilevanza” (artt.
275 cod. proc. pen. e 89 d.P.R. 309/1990), che fondano l’esclusiva necessità
della custodia in carcere, sono integrate dalla “sostanziale certezza” che
l’indagato, se sottoposto a meno afflittiva misura cautelare, reitererà la
commissione di reati, ovvero si darà alla fuga, ovvero inquinerà le fonti di prova.
Se, dunque, il grado delle “eccezionali esigenze cautelari”, necessario ai
sensi dell’art. 309, comma 10, cod. proc. pen., deve ritenersi ‘intermedio’
rispetto ai due estremi individuati, esso può essere individuato, a livello
interpretativo, nella “elevata probabilità” del pericolo, in una prognosi che abbia
ad oggetto non soltanto la commissione delle condotte che si intende prevenire

11

q-)

relativa alla fase di ricostruzione, individuazione e/o concretizzazione dei concetti

(reiterazione di ulteriori reati, fuga, inquinamento probatorio), ma altresì la
sussistenza di concrete occasioni per la commissione di tali condotte.
Va, al riguardo, osservato che, nell’interpretazione della nuova formulazione
dell’art. 274, lett. b) e c), cod. proc. pen. (come modificato dalla I. 16 aprile
2015, n. 47), sono emersi, nella giurisprudenza di legittimità, due orientamenti:
l’uno ritiene che l’espressa previsione del requisito dell’attualità del pericolo di
reiterazione del reato, in aggiunta a quello della concretezza, normativizza il
principio giurisprudenziale, preesistente alla novella, secondo cui la nozione di

necessaria per l’applicazione della misura cautelare (ex multis, Sez. 6, n. 44605
del 01/10/2015, De Lucia, Rv. 265350); il secondo orientamento, invece, ritiene
che dalla previsione dell’attualità del pericolo derivi che non è più sufficiente
ritenere – in termini di certezza o di alta probabilità – che l’imputato torni a
delinquere qualora se ne presenti l’occasione, ma è anche necessario, anzitutto,
prevedere – negli stessi termini di certezza o di alta probabilità – che all’imputato
si presenti effettivamente un’occasione per compiere ulteriori delitti (Sez. 3, n.
37087 del 19/05/2015, Marino, Rv. 264688; Sez. 3, n. 43113 del 15/09/2015,
K., Rv. 265653); pertanto, il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del
reato è individuabile nella riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli
alla commissione di nuovi reati, non meramente ipotetiche ed astratte, ma
probabili nel loro vicino verificarsi (Sez. 3, n. 49318 del 27/10/2015, Barone, Rv.
265623).
Tuttavia, è stato condivisibilmente sostenuto che proprio perché “il codice
continua a distinguere tra «esigenze caute/ari» ed «eccezionali esigenze
caute/ari», a dimostrazione che l’attualità non è «nell’immediatezza»” (Sez. 6, n.
50027 del 29/10/2015, Aurisicchio), il requisito della attualità non può essere
equiparato all’imminenza del pericolo di commissione di un ulteriore reato (o di
fuga, o di inquinamento probatorio), ma sta invece ad indicare la continuità del
periculum libertatis nella sua dimensione temporale, che va apprezzata sulla
base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale
dell’indagato, ovvero della presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar
conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura
cautelare è chiamata a neutralizzare (Sez. 6, n. 3043 del 27/11/2015, dep.
2016, Esposito, Rv. 265619, non massimata sul punto).
Dunque, è proprio la considerazione sistematica delle norme – che
prevedono i distinti concetti di

“esigenze caute/ari”, “eccezionali esigenze

caute/ari”, ed “esigenze caute/ari di eccezionale rilevanza” – ad imporre una
interpretazione che fornisca ‘linfa ermeneutica’ alle diverse previsioni astratte,
non essendo ipotizzabile una interpretatio abrogans delle stesse per l’eccessiva

12

attualità è insita in quella di concretezza ed entrambe costituiscono condizione

estensione semantica attribuita all’ipotesi base; i concetti giuridici, infatti, oltre
alla ‘vitalità’ concreta che assumono nel necessario intreccio con il

fatto, sono

dotati, nella dimensione astratta, anche di una duttilità ed elasticità legata agli
spazi ermeneutici delimitati dalla presenza di una pluralità di fattispecie astratte
previste per regolare le aree di confine.
In tal senso, pertanto, le “eccezionali esigenze cautelari” possono essere
individuate, a livello interpretativo, nella “elevata probabilità”, intesa come
“imminenza”, del pericolo, in una prognosi che abbia ad oggetto non soltanto la

reati, fuga, inquinamento probatorio), ma altresì la sussistenza di concrete
occasioni per la commissione di tali condotte.
Come già evidenziato, peraltro, l’astratta delimitazione di concetti quali
“attuale probabilità”, “elevata probabilità” e “sostanziale certezza”, sconta
l’inevitabile grado di incertezza applicativa, insito nella stessa funzione
giurisdizionale (che solo ingenue o interessate opinioni possono ricorrentemente
ritenere semplice bouche de la li), deputata al processo di concreta integrazione
della fattispecie astratta.
2.4. Giova, infine, evidenziare che tra i parametri di valutazione della
sussistenza delle “eccezionali esigenze cautelari” va annoverata anche la ‘doppia’
presunzione relativa (ovvero, nei casi residui, assoluta), di sussistenza delle
esigenze e di adeguatezza, prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
(ribadisce la duplice dimensione della presunzione Corte Cost., n. 231 del
22/07/2011, proprio a proposito dell’associazione finalizzata al narcotraffico,
laddove parla, con riferimento alla disciplina precedente alla declaratoria di
parziale illegittimità costituzionale pronunciata con la stessa sentenza, di

“una

duplice presunzione: relativa, quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari;
assoluta, quanto alla scelta della misura, reputando il legislatore adeguata, ove
la presunzione relativa non risulti vinta, unicamente la custodia cautelare in
carcere, senza alcuna possibile alternativa” (§ 3.1.)).
Invero, nelle ipotesi di “esigenze cautelari di eccezionale rilevanza”, nelle
quali il parametro di valutazione è la misura della custodia in carcere, e la
presunzione rileva solo nella dimensione dell’adeguatezza, non anche in quella,
inalterata, della sussistenza delle esigenze cautelari, si è affermato che

“la

presunzione di cui all’art. 275, comma quarto, cod. proc. pen., che esclude
l’applicabilità della custodia in carcere nei confronti di determinate persone che
versino in particolari condizioni salvo che ricorrano esigenze cautelari di
eccezionale rilevanza, prevale rispetto alla presunzione di adeguatezza della
custodia cautelare in carcere di cui al comma terzo del medesimo articolo

13

commissione delle condotte che si intende prevenire (reiterazione di ulteriori

prevista ove si proceda per determinati reati” (ex multis, Sez. 2, n. 11714 del
16/03/2012, Ruoppolo, Rv. 252534).
Nel caso della rinnovazione della misura ex art. 309, comma 10, c.p.p.,
invece, è la stessa presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari e di
adeguatezza della custodia in carcere, salvo ‘prova contraria’, sancita dall’art.
275, comma 3, cod. proc. pen., a fondare un giudizio, formulato in astratto ed
ex ante dal legislatore, di “eccezionalità”; tale, cioè, da fondare una valutazione
di costante ed invariabile pericolo ‘cautelare’, salvo ‘prova contraria’.

proc. pen., infatti, non viene in rilievo la presunzione di sussistenza delle
esigenze cautelari, ma soltanto la presunzione di adeguatezza; in tal senso, le
disposizioni che escludono, salvo “esigenze cautelari di eccezionale rilevanza”, la
custodia in carcere dando rilievo a particolari condizioni soggettive dell’indagato,
sono speciali, e dunque derogatorie, rispetto alla disposizione (anch’essa
speciale) che sancisce l’adeguatezza della sola custodia in carcere per taluni titoli
di reato; ciò anche alla luce della collocazione topografica delle disposizioni,
inserite consecutivamente nel medesimo articolo.
Viceversa, 1″antinomia’ tra l’art. 275, comma 3, e l’art. 309, comma 10,
cod. proc. pen., non può essere risolta, interpretativamente, in favore della
prevalenza della seconda norma, che è generale, laddove la prima norma, che
sancisce la presunzione relativa, è speciale; secondo il tradizionale criterio
interpretativo cronologico

lex specialis derogat legi generali, lex posterior

generalis non derogat priori speciali, dunque, la presunzione di cui all’art. 275,
comma 3, cod. proc. pen., in particolare nella dimensione della ‘sussistenza delle
esigenze cautelari’, deve ritenersi prevalente sulla norma di cui all’art. 309,
comma 10, cod. proc. pen., nel senso che l’ “eccezionalità” delle esigenze
cautelari deve intendersi, salvo ‘prova contraria’, insita proprio nel giudizio di
astratta e costante ‘pericolosità cautelare’ formulato ex ante dal legislatore.
Di conseguenza, nel caso in cui il titolo cautelare riguardi i reati indicati
nell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (tra i quali l’associazione per delinquere
finalizzata al narcotraffico), la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari
deve ritenersi, salvo ‘prova contraria’ (recte, salvo che emergano elementi di
segno contrario), integrare le “eccezionali esigenze cautelari” richieste dall’art.
309, comma 10, cod. proc. pen. per la rinnovazione della misura estinta.
2.5. Tanto premesso, in ordine alla sussistenza ed allo spessore delle
esigenze cautelari che hanno fondato la rinnovazione della misura cautelare di
maggior afflittività, l’ordinanza impugnata ha evidenziato l’estrema gravità dei
fatti, desumibile dall’esistenza di una stabile organizzazione dedita
all’importazione di ingenti quantitativi di cocaina dall’Olanda, con contatti e

14

Nell”antinomia’ tra il comma 3 ed i commi 4, 4 bis e 4 ter dell’art. 275 cod.

collegamenti con esponenti di vertice della criminalità organizzata campana e
calabrese, il contesto criminale, la capacità dimostrata dai diversi membri
dell’organizzazione dinanzi agli interventi delle forze dell’ordine di modificare le
strategie operative e l’assoluta noncuranza manifestata nel proseguire le
condotte illecite; tutti elementi ritenuti dimostrativi dell’intensa capacità
criminale dei sodali e della estrema pervicacia delle loro condotte, dai quali trarre
il giudizio di adeguatezza della sola misura custodiale in carcere, che, escludendo
in maniera assoluta la libertà di movimento e di contatto del soggetto, è in grado

specie e di recidere i forti e intensi legami con il contesto criminale di
appartenenza.
Alla luce degli elementi e delle valutazioni espresse, dunque, può ritenersi
che l’ordinanza abbia legittimamente rinnovato la misura estinta, sussistendo
quelle “eccezionali esigenze cautelari” richieste dalla norma.
In tal senso, premesso che è immune da censure l’ordinanza del Tribunale
del riesame che ravvisi la sussistenza delle esigenze cautelari di eccezionale
rilevanza sulla base di un complessivo argomentare, a nulla rilevando che non
sia stato adoperato in motivazione l’aggettivo “eccezionale” (Sez. 4, n. 27252 del
14/06/2011, Sigigliano, Rv. 250722), va innanzitutto rilevato, richiamando
quanto osservato nel precedente § 2.4., che, essendo il titolo cautelare costituito
dalla partecipazione ad un’associazione armata finalizzata al narcotraffico,
aggravata peraltro dal carattere transnazionale (artt. 74, commi 3 e 4, d.P.R.
309 del 1990 e 4 I. 146 del 2006), opera la presunzione relativa di sussistenza
delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere, che integra l’
“eccezionalità” delle esigenze cautelari in ragione dei giudizio, formulato in
astratto ed ex ante, dal legislatore.
Va nondimeno osservato che l’articolazione internazionale del sodalizio
criminale, il dato ponderale dello stupefacente oggetto di illecito traffico, il
contributo significativo, sebbene non apicale, fornito dal Tremante
all’associazione, nella raccolta del denaro destinato all’acquisto della droga, il suo
ruolo attivo anche nel coinvolgere ulteriori finanziatori del traffico (come emerge
in maniera eloquente dall’intercettazione ambientale del 27/01/2015, richiamata
a p. 9 dell’ordinanza), in tal senso evidenziandone i compiti non meramente
esecutivi, i consolidati rapporti con i committenti dell’acquisto e del trasporto
delle sostanze stupefacenti, e l’inserimento nel circuito criminale del traffico
internazione di cocaina, connotano in termini di elevata probabilità il pericolo che
l’indagato, ove non sottoposto alla misura di maggior afflittività, reiteri
concretamente reati della stessa specie, integrando tale inserimento, stabile e
continuativo, nel contesto criminale del traffico internazionale di stupefacenti

15

di evitare il concreto e attuale pericolo del ripetersi di condotte della stessa

quelle altamente probabili, e non meramente astratte, occasioni prossime
favorevoli alla commissione di nuovi reati da parte dell’imputato.

3. Il secondo motivo di ricorso, con il quale si deduce che nella motivazione
delle esigenze cautelari manchi una “esposizione e autonoma valutazione” delle
esigenze concrete, degli indizi, e della irrilevanza delle argomentazioni difensive,
nonché dell’inadeguatezza di misure meno afflittive, è infondato.
In particolare, la doglianza concernente l’assenza di una autonoma

per essersi limitato a richiamare per relationem, l’ordinanza genetica, o il decreto
di fermo, non è meritevole di accoglimento, non soltanto per quanto appena
evidenziato in fra § 2, a proposito della presunzione di sussistenza delle esigenze
cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere, ma anche per l’erronea
lettura che si intende attribuire al requisito dell’ “autonoma valutazione”.

3.1. Al riguardo, la previsione della necessità di una “autonoma valutazione”
del giudice sui gravi indizi, sulle esigenze cautelari e sugli elementi forniti dalla
difesa operata dalla legge 16 aprile 2015, n. 47 che ha novellato l’art. 292,
comma 2, lett. c e c bis, cod. proc. pen., risponde alla finalità, espressa dal
legislatore storico, di sottolineare la dimensione

autonoma

della decisione

giudiziaria in materia cautelare personale rispetto alla richiesta del P.M.;
l’esigenza di ‘positivizzazione’ di un obbligo intrinseco alla stessa funzione
giurisdizionale, peraltro, è stata riferita, nel corso dei lavori preparatori, alle
prassi diffusesi, con l’uso e l’implementazione degli strumenti informatici,
soprattutto nell’adozione di provvedimenti cautelari di dimensioni significative,
per la presenza di una pluralità di indagati e/o di imputazioni; in tali ipotesi, le
tecniche di redazione dei provvedimenti si sono progressivamente modificate,
tanto che l’elaborazione, dottrinale e giurisprudenziale, formatasi sulla
motivazione per relationem è stata mutuata per i nuovi ‘modelli’ di motivazione
“per incorporazione” (o, nel gergo giudiziario, con il c.d. “copia e incolla”).
In tal senso, soprattutto nel caso di ordinanze cautelari personali, il giudice
richiama, sovente in maniera diretta (con l’utilizzo delle virgolette), altre in
maniera indiretta (provvedendo ad una sostanziale parafrasi), l’esposizione delle
fonti di prova proposta dal P.M., adoperando una tecnica di redazione che,
seppur ‘esteticamente’ non ‘bella’ (secondo i canoni dell’estetica, appunto), può
rivelarsi efficace, anche nell’ottica precipua del difensore, che ha la possibilità di
esaminare direttamente, ad esempio, le intercettazioni poste a fondamento
dell’affermazione di gravità indiziaria, senza dover necessariamente accedere ai
‘brogliacci’ delle singole conversazioni solo sinteticamente richiamate.

16

valutazione da parte del giudice che ha emesso la seconda ordinanza cautelare,

Il richiamo delle fonti di prova, e, talvolta, la condivisione della stessa
valutazione proposta dal P.M. in maniera argomentata, non può dunque inficiare
in alcun modo l’essenza dell’autonomia decisionale.
Il problema si è posto, e si pone, allorquando la c.d. motivazione “per
incorporazione” riproduca refusi, stilemi o improprietà terminologiche proprie
della richiesta del P.M. (ad es., “ad avviso di questo P.M.”), che indiziano un
controllo superficiale da parte dell’organo giudicante.
Questa la ratio del legislatore storico.

volta emanate, si distaccano dalla voluntas ‘soggettiva’ del legislatore storico,
per assumere una propria dimensione oggettiva nell’ordinamento giuridico.
In tal senso, concernendo l’adozione di un provvedimento giurisdizionale e la
produzione di effetti giuridici, l’introduzione del requisito

dell’autonoma

valutazione deve essere inteso non già quale mero attributo “estetico”, o
“stilistico”, trattandosi di profilo estraneo alla celebre ragion pratica, bensì in
senso epistemologico: l’autonoma valutazione, in altri termini, deve consistere in
una autonoma decisione,

essendo il provvedimento giurisdizionale un atto

d’autorità, non già un atto di scienza (come, ad es., un’opera letteraria)
Tuttavia, l’autonomia della valutazione, e quindi della decisione, non può
ritenersi compromessa semplicemente dalla riproduzione, più o meno fedele,
della richiesta del P.M., in quanto ciò che rileva ai fini dell’integrità
dell’autonomia del giudice è la conoscenza degli atti del procedimento e la
volontà che sostiene il giudizio.
In altri termini, prescindendo dai profili ‘estetici’, o anche ‘etici’, della
decisione, irrilevanti ai fini della produzione degli effetti giuridici e della
legittimità dell’atto, sotto il profilo epistemologico il provvedimento che
riproduca, più o meno fedelmente, o comunque richiami, la richiesta del P.M.
(ma il discorso è analogo anche per altri atti) assume una propria oggettiva
consistenza, e, in assenza di affidabili criteri di classificazione del pensiero
autonomo, non può ritenersi per ciò solo indiziante una valutazione, e quindi una
decisione, priva di

autonomia,

o, come pure si è detto, una cessione di

imparzialità.
A prescindere dai casi in cui la c.d. motivazione “per incorporazione”
riproduca refusi, stilemi o improprietà terminologiche proprie della richiesta del
P.M. (ad es., “ad avviso di questo P.M.”), che indiziano un controllo superficiale
da parte dell’organo giudicante, ed una valutazione non sufficientemente
‘meditata’, o comunque autonoma, la decisione cautelare che richiami, in
maniera più o meno estesa, la richiesta del P.M., condividendo altresì le
valutazioni in esse eventualmente proposte, deve ritenersi frutto di

17

autonoma

Tuttavia, secondo i canoni ermeneutici tradizionali, le norme di legge, una

valutazione in quanto assunta da un diverso organo giudiziario, sulla base della
conoscenza degli atti del procedimento e della formulazione di un giudizio
autonomo.
L’alternativa sarebbe o una inammissibile (in quanto irrilevante per il diritto)
pretesa di

autonomia ‘stilistica’,

che si risolverebbe in una mera, e solo

dispendiosa, parafrasi del testo altrui, magari pienamente ed autonomamente
condiviso, ovvero nella altrettanto inammissibile pretesa di una valutazione
necessariamente diversa rispetto a quella proposta dal P.M.: in tale seconda

aderente alle risultanze processuali, e proponga una valutazione degli stessi
logica e conforme al diritto, il giudice sarebbe costretto o ad uno sforzo
argomentativo in grado di formulare una valutazione conforme, ma diversa,
ovvero a formulare una valutazione difforme, con il solo proposito di dimostrare
una autonomia decisionale.
È evidente che una lettura ragionevole, ed epistemologicamente corretta,
della nuova formulazione della norma impone di ritenere che

valutazione

autonoma non vuoi dire valutazione diversa o difforme.
L’autonoma valutazione, dunque, è compatibile con la tecnica di redazione
“per incorporazione” allorquando dal contenuto complessivo del provvedimento
emerga una conoscenza degli atti del procedimento e, ove necessario, una
rielaborazione critica o un vaglio degli elementi sottoposti all’esame
giurisdizionale, eventualmente anche sotto il profilo della graduazione delle
misure o del rigetto parziale di alcune richieste; soprattutto nei casi di richiamo
diretto (evidenziato dall’utilizzo delle virgolette), “per incorporazione”, della
richiesta del P.M., e allorquando questa contenga prevalentemente, come
sovente si registra, una esposizione delle fonti di prova, la cui valutazione è
rimessa all’efficacia c.d. `autoevidente’, il controllo giurisdizionale del giudice
della cautela deve consistere in una argomentata, per quanto succinta,
valutazione in ordine alla connessione degli elementi probatori ed alla loro
efficacia dimostrativa.
3.2. Nel medesimo senso si è espressa la giurisprudenza di questa Corte
che ha affrontato la questione, affermando che la previsione della necessità di
una “autonoma valutazione” del giudice sui gravi indizi, sulle esigenze cautelari e
sugli elementi forniti dalla difesa operata dalla legge 16 aprile 2015, n. 47 che ha
novellato l’art. 292, comma 2, lett. c e c bis, cod. proc. pen., non ha carattere
innovativo, trattandosi della sottolineatura di un obbligo già sussistente per il
giudice di manifestare all’esterno in modo percepibile il proprio convincimento,
obbligo correlato ai principi di terzietà ed imparzialità che sovrintendono alla
funzione giudicante (Sez. 1, n. 5787 del 21/10/2015, dep. 2016, Calandrino, Rv.

18

ipotesi, supponendo che la richiesta contenga una ricostruzione dei fatti del tutto

265983, che ha precisato che la necessità di un’autonoma valutazione è
compatibile con una tecnica redazionale

“per relationem”,

sempre che dal

contenuto complessivo del provvedimento emerga in modo chiaro che si sia
presa cognizione dei contenuti dimostrativi dell’atto richiamato o incorporato e li
si abbia autonomamente rapportati ai parametri normativi di riferimento).
Nello stesso senso si sono pronunciate altre decisioni di questa Corte: Sez.
6, n. 45934 del 22/10/2015, Perricciolo, Rv. 265068, che ha precisato che la
necessità di un’autonoma valutazione è compatibile con il rinvio –

“per

alla esposizione dei presupposti di fatto, ma non anche quanto alle
prospettazioni e valutazioni delle ragioni che giustificano l’applicazione della
misura cautelare; Sez. 6, n. 47233 del 29/10/2015, Moffa Andrea, Rv. 265337,
che ha precisato che la necessità di un’autonoma valutazione è compatibile con il
rinvio –

“per relationem” o per incorporazione – alla richiesta del pubblico

ministero, salvo che l’ordinanza recepisca la richiesta del P.M. aggiungendovi
mere clausole di stile senza una necessaria rielaborazione critica.
È stato, al riguardo, aggiunto che la prescrizione della necessaria autonoma
valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza è osservata
anche quando il giudice riporti nella propria ordinanza le acquisizioni e le
considerazioni svolte dagli investigatori e dal pubblico ministero, anche mediante
il rinvio per relationem al provvedimento di richiesta, purché, per ciascuna
contestazione e posizione, svolga un effettivo vaglio degli elementi di fatto
ritenuti decisivi, senza il ricorso a formule stereotipate, spiegandone la rilevanza
ai fini dell’affermazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari
nel caso concreto (Sez. 3, n. 840 del 17/12/2015, dep. 2016, Tinnirello, Rv.
265645), ed è compatibile con un rinvio per relationem o per incorporazione
della richiesta del PM che non si traduca in un mero recepimento del contenuto
del provvedimento privo dell’imprescindibile rielaborazione critica (Sez. 2, n.
3289 del 14/12/2015, dep. 2016, Astolfi, Rv. 265807, che ha ritenuto immune
da censure l’ordinanza del GIP che aveva richiamato la richiesta del PM ed aveva
graduato, altresì, le misure cautelari applicate ai ricorrenti, così evidenziando
una autonoma valutazione circa la rilevanza delle emergenze investigative e
delle esigenze cautelari inerenti ciascun indagato).
Dunque, il requisito dell’autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei
gravi indizi di colpevolezza impone al giudice l’obbligo del vaglio critico delle
risultanze investigative tramite un’attività ricostruttiva ed esplicativa, che,
tuttavia, non implica, con riferimento all’esposizione della parte narrativa del
provvedimento, la necessità di una riscrittura originale del testo della richiesta
del P.M. (Sez. 3, n. 48962 del 01/12/2015, D R, Rv. 265611).

19

relationem” o per incorporazione – alla richiesta del pubblico ministero, quanto

3.3.

Tanto premesso, va osservato che l’ordinanza impugnata, nel

richiamare per relationem l’ordinanza genetica (p. 4), quanto alla individuazione
dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, ha comunque formulato
una valutazione autonoma rispetto alla richiesta del P.M. ed alle precedenti
ordinanze cautelari, come già evidenziato infra § 2.5. .
Dunque, appare immune da vizi l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 309,
comma 10, cod. proc. pen., che ha richiamato per relationem

l’originaria

ordinanza cautelare, che operava una diffusa ed ampia esposizione e valutazione

propria del sodalizio criminale oggetto di contestazione, dai quali la posizione
dell’odierno ricorrente non poteva essere enucleata mediante operazione di
parcellizzazione narrativa e valutativa, che avrebbe compromesso la stessa
comprensibilità e tenuta logica della decisione cautelare.
Peraltro, nel caso in esame, oltre ad aver formulato considerazioni anche
stilisticamente autonome, il rinvio per relationem è operato non già (o non solo)
alla richiesta di una parte processuale, bensì all’ordinanza genetica già emessa
da un giudice, e contenente un autonomo vaglio critico e valutativo del
compendio probatorio raccolto e sottoposto dal P.M. .
Va inoltre aggiunto che l’obbligo di autonoma valutazione prescritto dall’art.
292 cod. proc. pen. risulta osservato anche con riferimento alle dichiarazioni rese
dall’indagato in sede di interrogatorio di garanzia, che, lungi dall’integrare gli
“elementi forniti dalla difesa” (comma 2, lett. c bis), costituiscono, a quanto
consta, una mera negazione della portata accusatoria delle fonti di prova, ed una
lettura alternativa (il carattere lecito dell’attività di commercio dei fiori) del
compendio probatorio.
Al riguardo, infatti, gli “elementi” richiamati dalla norma – che devono
essere oggetto di autonoma valutazione di irrilevanza – devono consistere in
elementi di fatto, o, comunque, su di essi fondati, non in mere deduzioni, o
dichiarazioni che si limitino ad esporre ricostruzioni alternative, magari
fantasiose o del tutto avulse dalle risultanze probatorie; chè, al contrario, l’onere
motivazionale si disperderebbe in inutili e defatiganti considerazioni prive di
riferimenti fattuali, costrette a confrontarsi, nell’ambito di una sterile dialettica
declinata sulle supposizioni, con rilievi totalmente avulsi dalla realtà fenomenica
oggetto di prova, e con pregiudizio per la stessa comprensibilità della
motivazione, requisito necessario per il controllo logico-giuridico del percorso
seguito dal giudice.
Infine, oltre a sottolineare che la motivazione censurata è stata
adeguatamente espressa (p. 69), va ribadito che il titolo di reato fonda la
presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della

20

delle fonti di prova, del contenuto delle intercettazioni, e della rete di legami

custodia in carcere, e non sono emersi elementi di segno contrario tali da far
ritenere insussistenti o affievolite le esigenze cautelari.

4. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
Viene infatti dedotto il vizio di violazione di legge in relazione alla ritenuta
erroneità dell’affermazione di gravità indiziaria posta a fondamento della misura
cautelare, lamentando l’insufficienza probatoria degli elementi richiamati
(soprattutto le intercettazioni telefoniche ed i rapporti con imprenditori del

Le doglianze, proponendo una diversa lettura del compendio probatorio, e
sollecitandone una rivalutazione, concernono, all’evidenza, esclusivamente profili
di merito, oggetto di apprezzamento di fatto, di per sé insindacabile in sede di
legittimità, al di fuori dei casi di contraddittorietà o manifesta illogicità

(ex

multis, Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
Peraltro, pur prescindendo dal rilievo che la sola intercettazione ambientale
del 27/01/2015 (richiamata alle p. 9-10 dell’ordinanza) evidenzia la piena e
consapevole partecipazione del Tremante al sodalizio criminale, la censura è
ancor più inammissibile, in quanto, pur sotto le spoglie della violazione di legge,
deduce un vizio di motivazione: nel caso in esame, il ricorso, essendo stato
proposto per saltum, ai sensi dell’art. 311, comma 2, cod. proc. pen., è
consentito soltanto per violazione di legge.
Anche la doglianza relativa all’utilizzabilità delle intercettazioni precedenti
all’iscrizione del reato associativo è manifestamente infondata, non
considerando, a tacer d’altro, che, essendo l’associazione finalizzata al
narcotraffico un reato per il quale è previsto l’arresto in flagranza obbligatorio,
opera comunque l’art. 270 cod. proc. pen.

5.

Il quarto motivo, con il quale il ricorrente eccepisce la nullità

dell’ordinanza cautelare per inutilizzabilità degli atti acquisiti mediante rogatoria
internazionale in Olanda, in quanto nel fascicolo sarebbero contenute solo le
richieste di rogatoria internazionale e gli atti acquisiti, senza alcuna
documentazione

dei

emessi

provvedimenti

dall’autorità

straniera,

è

inammissibile.
Invero, la doglianza è innanzitutto generica, in quanto non indica in alcun
modo gli atti che sarebbero viziati dalla pretesa inutilizzabilità (con riferimento al
vizio di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., Sez. 2, n. 25315 del
20/03/2012, Ndreko, Rv. 253073; Sez. 4, n. 3360 del 16/12/2009, dep. 2010,
Mutti, Rv. 246499).

21

settore floro-vivaistico).

Peraltro, nel rilevare che non risulta violata alcuna norma in materia, va
osservato, trattandosi di procedimento fondato in maniera significativa sugli esiti
delle intercettazioni telefoniche, eseguite anche all’estero (in particolare in
Olanda), che, al riguardo, è stato sovente ribadito che “in tema di utilizzabilità di
atti assunti per rogatoria, le intercettazioni telefoniche ritualmente compiute da
un’Autorità di Polizia straniera e da questa trasmesse di propria iniziativa, ai
sensi dell’art. 3, comma 1, della Convenzione Europea di assistenza giudiziaria
firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959, ratificata con I. 23 febbraio 1961 n. 215,

388, senza l’apposizione di “condizioni all’utilizzabilità”, alle Autorità italiane
interessate alle informazioni, rilevanti ai fini dell’assistenza per la repressione di
reati commessi sul loro territorio, possono essere validamente acquisite al
fascicolo del pubblico ministero, ai sensi dell’art. 78, comma 2, disp. att. c.p.p.,
trattandosi di atti non ripetibili compiuti dalla polizia straniera” (Sez. 1, n. 42478
del 31/10/2002, Moio D, Rv. 222984), e che “possono essere utilizzate in un
procedimento italiano le intercettazioni disposte in procedimenti penali svoltisi
all’estero, acquisite per rogatoria dall’autorità giudiziaria italiana, purché siano
rispettate le condizioni eventualmente poste dall’autorità estera all’utilízzabilità
degli atti richiesti e sempre che le intercettazioni stesse siano avvenute nel
rispetto delle regole formali e sostanziali che le disciplinano e altresì nel rispetto
dei fondamentali principi di garanzia, aventi rilievo di ordine costituzionale,
propri del nostro ordinamento” (Sez. 1, n. 4048 del 06/07/1998, Bonelli, Rv.
211301, in tema di intercettazioni disposte dall’autorità giudiziaria tedesca; in
senso analogo, Sez. 5, n. 5170 del 26/11/1996, dep. 1997, Lavorato, Rv.
207867, secondo cui “in tema di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni
telefoniche in altri procedimenti, possono essere utilizzate in un procedimento
italiano le intercettazioni telefoniche disposte in procedimenti penali esteri,
acquisite per rogatoria dall’autorità giudiziaria italiana, purché siano rispettate le
condizioni eventualmente poste dall’autorità estera all’utilizzabilità degli atti
richiesti, come previsto dall’art. 729 cod. proc. pen.”).
Nel caso in esame, a prescindere dal rilievo che il ricorrente non ha dedotto
quali siano state le modalità delle rogatorie espletate, non risulta siano state
poste condizioni all’utilizzabilità degli atti richiesti, né tale profilo è stato dedotto.
Del resto, l’art. 15 della Convenzione europea di assistenza giudiziaria
(firmata a Strasburgo il 20/04/1959, e ratificata in Italia con L. n. 215 del
23/02/1961), la cui violazione viene lamentata dal ricorrente, non prevede la
trasmissione dei provvedimenti con i quali si dà corso alla richiesta di rogatoria;
al contrario, l’art. 7 della Convenzione invocata prevede che “La Parte richiesta
procederà alla consegna degli atti procedimentali e delle decisioni giudiziarie che

22

e dell’art. 46 dell’Accordo di Schengen, ratificato con L30 settembre 1993 n.

le siano stati inviati a questo scopo dalla Parte richiedente. Questa consegna
potrà effettuarsi con semplice trasmissione dell’atto o della decisione al
destinatario”.

6. Il quinto motivo di ricorso, concernente la violazione del diritto di difesa
per l’indisponibilità dei

files

audio delle intercettazioni è manifestamente

infondato.
6.1. Giova al riguardo rammentare che la Corte Costituzionale, con sentenza

268 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che, dopo la notificazione o
l’esecuzione dell’ordinanza che dispone una misura cautelare personale, il
difensore possa ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni
di conversazioni o comunicazioni intercettate, utilizzate ai fini dell’adozione del
provvedimento cautelare, anche se non depositate.
Il Giudice delle leggi ha ricordato che, alla stregua del diritto vivente, in tal
senso essendo orientata la costante ed uniforme giurisprudenza di legittimità, “in
caso di incidente cautelare, se il pubblico ministero presenta al giudice per le
indagini preliminari richiesta di misura restrittiva della libertà personale, può
depositare, a supporto della richiesta stessa, solo i brogliacci e non le
registrazioni delle comunicazioni intercettate”;

e che “la trascrizione (anche

quella peritale) non costituisce la prova diretta di una conversazione, ma va
considerata solo come un’operazione rappresentativa in forma grafica del
contenuto di prove acquisite mediante la registrazione fonica”.
considerato come

Ha, quindi,

“l’ascolto diretto delle conversazioni o comunicazioni

intercettate non possa essere surrogato dalle trascrizioni effettuate, senza
contraddittorio, dalla polizia giudiziaria, le quali possono essere, per esplicito
dettato legislativo (art. 268, comma 2, cod. proc. pen,), anche sommarie”,
rilevando che

“la possibilità per il pubblico ministero di depositare solo i

brogliacci a supporto di una richiesta di custodia cautelare dell’indagato, se
giustificata dall’esigenza di procedere senza indugio alla salvaguardia delle
finalità che il codice di rito assegna a tale misura, non può limitare il diritto della
difesa di accedere alla prova diretta, allo scopo di verificare la valenza probatoria
degli elementi che hanno indotto il pubblico ministero a richiedere ed il giudice
ad emanare un provvedimento restrittivo della libertà personale”.
considerato che,

Ha, altresì,

“in caso di richiesta ed applicazione di misura cautelare

personale …, le esigenze di segretezza per il proseguimento delle indagini e le
eventuali ragioni di riservatezza sono del tutto venute meno in riferimento alle
comunicazioni poste a base del provvedimento restrittivo, il cui contenuto è stato
rivelato a seguito della presentazione da parte del pubblico ministero, a corredo

23

del 10 ottobre 2008, n. 336, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art.

della richiesta, delle trascrizioni effettuate dalla polizia giudiziaria”: e dunque, “la
lesione del diritto di difesa garantito dall’art. 24, secondo comma, Cost., si
presenta quindi nella sua interezza, giacché la limitazione all’accesso alle
registrazioni non è bilanciata da alcun altro interesse processuale riconosciuto
dalla legge”. Ha, quindi, sottolineato che “l’interesse costituzionalmente protetto
della difesa è quello di conoscere le registrazioni poste alla base del
provvedimento eseguito, allo scopo di esperire efficacemente tutti i rimedi
previsti dalle norme processuali”; ne consegue, conclusivamente, che “i difensori

registrazioni poste a base della richiesta del pubblico ministero e non presentate
a corredo di quest’ultima, in quanto sostituite dalle trascrizioni, anche sommarie,
effettuate dalla polizia giudiziaria”;

ed

“il diritto all’accesso implica, come

naturale conseguenza, quello di ottenere la trasposizione su nastro magnetico
delle registrazioni medesime”. Il conseguimento di tale diritto, ha ulteriormente
rilevato la Corte, non può essere assicurato con il ricorso all’art. 116 cod. proc.
pen., giacché

“la suddetta norma, vista congiuntamente all’art. 43 delle

disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, non attribuisce,
secondo la giurisprudenza di legittimità, un diritto incondizionato alla parte
interessata ad ottenere copia degli atti, ma solo una mera possibilità”.
6.2. La questione sottoposta a questa Corte, dunque, deriva dal rilievo che è
legittimo che, a supporto della richiesta di misura cautelare, il pubblico ministero
possa presentare al giudice per le indagini preliminari solo i “brogliacci” relativi
alle conversazioni captate e non anche le relative trascrizioni, in un contesto in
cui si è pacificamente ritenuto che la trascrizione delle intercettazioni telefoniche
non costituisce prova o fonte di prova, ma solo un’operazione meramente
rappresentativa in forma grafica del contenuto della prova acquisita con la
registrazione fonica, della quale il difensore può far eseguire la trasposizione su
nastro magnetico, ai sensi dell’art. 268, ottavo comma, cod. proc. pen.
Si è costantemente affermato, infatti, che il giudice per le indagini
preliminari ben può porre a fondamento dell’ordinanza cautelare il contenuto
delle intercettazioni telefoniche, anche se contenute in “brogliacci” o riportate in
forma riassuntiva, pur se non trascritte, altrettanto costantemente rilevandosi
che la sanzione di inutilizzabilità prevista dall’art. 271 cod. proc. pen. consegue
solo nelle ipotesi ivi tassativamente indicate, riguardanti l’inosservanza delle
disposizioni previste dagli artt. 267 e 268, primo e terzo comma, cod. proc. pen.
(cfr., ex multis, Sez. 4, 26 maggio 2004, n. 39469; Sez. 5, 9 luglio 2003, n.
34680; Sez. 6, 28 marzo 2002, n. 20715/2003; Sez. 1, 23 gennaio 2002, n.
7406; Sez. 6, 3 marzo 2000, n. 1106; Sez. 1, 26 novembre 1998, n.

24

devono avere il diritto incondizionato ad accedere, su loro istanza, alle

5903/1999; il principio è stato da ultimo ribadito da Sez. 6, 23 ottobre 2009, n.
2930/2010).
In tale contesto, si è altresì chiarito che “il deposito di cui al quarto comma
dell’art. 268 cod. proc. pen. rientra nella procedura finalizzata alle successive
operazioni di stralcio eventuale e di trascrizione da effettuarsi in contraddittorio
delle parti, ai fini dell’inserimento nel fascicolo per il dibattimento, come tale del
tutto distinta dalla procedura incidentale de libertate, ove non di deposito è a
parlarsi, ma di allegazione agli atti posti a fondamento della misura. Trattasi,

(l’epoca del deposito, invero, prescinde del tutto da quella di celebrazione del
procedimento cautelare di regola anteriore) e con oggetti non necessariamente
coincidenti (il deposito riflette tutto il materiale relativo alle operazioni, nel
mentre la allegazione ai fini cautelari può riguardare solamente le trascrizioni
sommarie del contenuto delle comunicazioni o gli appunti raccolti durante le
intercettazioni)” (Sez. U, n. 3 del 27/03/1996, Monteleone, Rv. 204811; Sez. U,
n. 21 del 20/11/1996, dep. 1997, Glicora, Rv. 206954; Sez. 6, 8 ottobre 1998,
n. 2911; Sez. 6, 3 giugno 2003, n. 35090).
È stato anche puntualizzato che non solo è da escludere la necessità del
deposito, ex art. 268 cod. proc. pen., in vista della utilizzazione a fini cautelari,
dei risultati delle registrazioni, ma anche la necessità che il pubblico ministero
alleghi alla richiesta di emissione del provvedimento cautelare il verbale e la
registrazione relativi alle operazioni di intercettazione, ravvisandosi, in sostanza,
una sorta di “presunzione d’esistenza e di conformità”, senza la necessità di un
controllo giurisdizionale sulla effettiva sussistenza di tale documentazione, dalla
quale discende la validità della prova; ciò sul rilievo che l’art. 271 cod. proc. pen.
non menziona l’art. 89 disp. att. cod. proc. pen., essendo, perciò, consentito
utilizzare a fini cautelari i dati conoscitivi tratti dalle captazioni effettuate, senza
che il pubblico ministero sia tenuto a produrre, né al giudice per le indagini
preliminari, né, eventualmente, al tribunale del riesame, la relativa
documentazione (id est, i verbali contenenti le trascrizioni sommarie e le bobine
registrate) (Sez. 6, n. 2911/1998, cit.; Sez. 6, 21 gennaio 1999, n. 208; sulla
esclusione della sanzione di inutilizzabilità per l’inosservanza del precitato art. 89
disp. att. cod. proc. pen., v., da ultimo, Sez. U, n. 36359 del 26/06/2008, Carli).
In definitiva, si è ritenuto che il pubblico ministero non sia tenuto a
trasmettere al tribunale del riesame anche le registrazioni delle conversazioni
intercettate, posto che, ai sensi dell’art. 309, quinto comma, cod. proc. pen., egli
è tenuto a trasmettere solo gli atti da lui prodotti con la richiesta di applicazione
della misura cautelare; la difesa poteva accedere a tale documentazione, ma non
anche alle registrazioni delle comunicazioni intercettate, giacché il deposito di

25

perciò, di incombenti a finalità diverse, con scansioni temporali non coincidenti

queste è disciplinato dall’art. 268, quarto comma, cod. proc. pen., con la
predeterminazione delle sequenze temporali

ivi indicate e la possibilità di

proroga.
La Corte Costituzionale, dichiarando la parziale illegittimità costituzionale
dell’art. 268 cod. proc. pen, nei termini sopra ricordati, ha stabilito il diritto della
parte ad accedere alle registrazioni effettuate, utilizzate ai fini cautelari, anche
prima del loro deposito ai sensi del quarto comma della stessa norma; così
stabilendo, in sostanza, un obbligo per il pubblico ministero, a richiesta della
discovery

del mezzo di prova utilizzato ai fini della

imposizione della misura cautelare.

6.3. Sulle modalità ed i tempi di esercizio del diritto riconosciuto con la
sentenza costituzionale si sono peraltro espresse, risolvendo un contrasto
interpretativo successivamente insorto, le Sezioni Unite di questa Corte, che
hanno chiarito che “in tema di riesame, la richiesta del difensore volta ad
accedere, prima del loro deposito ai sensi del quarto comma dell’art. 268 cod.
proc. pen., alle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate e
sommariamente trascritte dalla polizia giudiziaria nei c. d. brogliacci di ascolto,
utilizzati ai fini dell’adozione di un’ordinanza di custodia cautelare, deve essere
presentata al pubblico ministero e non al giudice per le indagini preliminari che
ha emesso il provvedimento cautelare”

(Sez. U, n. 20300 del 22/04/2010,

Lasala, Rv. 246906).
Le Sezioni Unite hanno, innanzitutto, chiarito che il diritto di accesso, così
come configurato dalla Corte Costituzionale, è riconosciuto solo al difensore:
soltanto a questo, difatti, l’art. 268, sesto comma, cod. proc. pen., riconosce “la
facoltà di esaminare gli atti e ascoltare le registrazioni ovvero di prendere
cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche”;

e, quanto al

procedimento di riesame, l’art. 309, comma 8, cod. proc. pen., ancora una volta
riconosce solo al difensore la facoltà di esaminare gli atti e di estrarne copia; solo
al diritto di accesso del difensore ha fatto riferimento la sentenza della Corte
Costituzionale (§ 7.1.).
In ordine all’autorità giudiziaria cui spetta il rilascio della copia, si è
aggiunto, non può sorger dubbio che questa vada identificata nel pubblico
ministero che procede. Nella sua disponibilità materiale e giuridica, difatti, si
trovano i documenti in questione nella fase delle indagini, e solo il pubblico
ministero è in grado di procedere alla selezione delle registrazioni all’uopo
rilevanti, nell’intero contesto di tutte quelle effettuate, ad individuare solo quelle
poste a fondamento della richiesta della misura cautelare ed a verificare, quindi,
gli eventuali limiti al rilascio delle copie richieste, in relazione alla tutela della
riservatezza di altri soggetti estranei ai fatti, le cui conversazioni siano state

26

parte, di completa

captate, o a contenuti delle registrazioni che non siano rilevanti ai fini che
occupano (§ 7.2.).
È stato infine precisato che, al fine di porre il pubblico ministero in grado di
adempiere tale obbligo, è del pari necessario che la richiesta del difensore venga
tempestivamente proposta rispetto alle cadenze temporali indicate dalle norme
processuali, e che l’illegittima compressione del diritto di difesa, derivante dal
rifiuto o dall’ingiustificato ritardo del pubblico ministero nel consentire al
difensore, prima del loro deposito ai sensi del quarto comma dell’art. 268 cod.

sommariamente trascritte dalla polizia giudiziaria nei cosiddetti brogliacci di
ascolto, utilizzati ai fini dell’adozione di un’ordinanza di custodia cautelare, dà
luogo ad una nullità di ordine generale a regime intermedio, ai sensi dell’art.
178, lett. c), cod. proc. pen., in quanto determina un vizio nel procedimento di
acquisizione della prova, che non inficia l’attività di ricerca della stessa ed il
risultato probatorio, in sé considerati. Ne consegue che, qualora tale vizio sia
stato ritualmente dedotto in sede di riesame ed il Tribunale non abbia potuto
acquisire il relativo supporto fonico entro il termine perentorio di cui all’art. 309,
nono comma, cod. proc. pen., le suddette trascrizioni non possono essere
utilizzate come prova nel giudizio “de libertate” (Sez. U, n. 20300 del
22/04/2010, Lasala, Rv. 246907).
6.4. Tanto premesso, nel caso in esame alcuna violazione del diritto di
difesa risulta integrata, in quanto, pur avendo i difensori dell’indagato avuto
avviso del deposito degli atti allegati alla richiesta cautelare in data 12/11/2015,
prima dell’interrogatorio di garanzia svoltosi il 14/11/2015, non hanno ritenuto di
esercitare la facoltà, riconosciuta dall’art. 268, commi 6 e 8, cod. proc. pen.,
nella formulazione seguita alla sentenza n. 336 del 2008 della Corte
Costituzionale, di ascoltare le registrazioni, ed eventualmente di estrarre copia e
far eseguire la trasposizione delle registrazioni su nastro magnetico.
Soltanto in sede di udienza di convalida l’indagato, contestando
l’attribuzione di una conversazione (del 27/01/2015), ne ha chiesto l’ascolto,
reiterando analoga richiesta avanzata dinanzi al Gip del Tribunale di Napoli, in
sede di udienza di convalida del fermo celebrata il 30/09/2015; tuttavia, l’avviso
di deposito degli atti a sostegno della richiesta cautelare consentiva all’indagato,
per il tramite dei propri difensori, di prendere cognizione diretta delle captazioni,
eventualmente estraendone copia, mediante richiesta tempestivamente proposta
al P.M. rispetto alle scansioni procedimentali previste in questa fase.
Al contrario, nel rammentare che il diritto di accesso è riconosciuto al solo
difensore, non risulta che sia stata presentata richiesta di ascolto o di
trasposizione delle registrazioni al P.M., unico organo legittimato a ricevere

27

proc. pen., l’accesso alle registrazioni di conversazioni intercettate e

l’istanza, secondo quanto chiarito dalle Sezioni Unite, avendo la disponibilità,
materiale e giuridica, delle registrazioni.

7. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.

P.Q.M.

processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa
al Direttore dell’Istituto Penitenziario competente a norma dell’art. 94 comma 1
ter Disp. Att. cod. proc. pen.

Così deciso in Roma il 02/02/2016

Il Consigliere estensore

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

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