Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28953 del 29/01/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 3 Num. 28953 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ACETO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Hysa Daniel, nato in Albania il 11/05/1974,

avverso l’ordinanza del 20/10/2015 del Tribunale di Roma;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Aldo
0LIce ■Go .
Policastro, che ha concluso chiedendo il rigetto del pfeweelfritert~tnete.

RITENUTO IN FATTO

1.11 sig. Daniel Hysa ricorre per l’annullamento dell’ordinanza di cui in
epigrafe che ha respinto l’appello avverso il provvedimento del 10/06/2015 del
Tribunale di Roma che ha rigettato la domanda di sostituzione della misura della
custodia cautelare in carcere, applicata il 21/05/2014, con quella degli arresti
domiciliari.
Sulla premessa che il ricorrente è stato nel frattempo condannato in primo
grado alla pena di sei anni di reclusione per il reato di favoreggiamento e
sfruttamento della prostituzione, i Giudici dell’appello cautelare hanno escluso

Data Udienza: 29/01/2016

che il mero decorso del tempo e il buon comportamento carcerario possano
essere considerati sicuri indici di affievolimento del pericolo di recidiva,
considerati: i) il precedente penale specifico; ii) il fatto che dall’attività illecita
l’imputato, attualmente privo di valide opportunità di lavoro, traeva i mezzi di
sostentamento; iii) la sua lunga latitanza (posto che la misura cautelare, emessa
12/06/2013, è stata eseguita il 21/05/2014). Nè possono essere valorizzati concludono – lo stato di salute dell’imputato (una cardiopatia congenita che, da
un lato, non gli ha impedito di delinquere, dall’altro non si è aggravato), e la

quali mezzi potrebbe provvedere alle esigenze di sostentamento del ricorrente.
1.1.Con unico motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod.
proc. pen., la violazione degli artt. 273, 274 e 299, cod. proc. pen., e vizio di
manifesta illogicità in punto di ritenuta persistenza delle esigenze cautelari.
Lamenta al riguardo che:
-il Tribunale del riesame non ha motivato sulla attualità e concretezza delle
esigenze cautelari, ma si è limitato a ribadire che il decorso del tempo non è
sufficiente a giustificare la revoca o la sostituzione della misura;
-la disponibilità all’alloggio – peraltro lontano dai luoghi del commesso reato
– non era stata offerta da un connazionale qualsiasi ma da suo cugino ed in ogni
caso il Tribunale avrebbe potuto disporre tutti gli accertamenti necessari a
dissipare i dubbi sulla concreta sostenibilità, anche finanziaria, di tale soluzione;
-il Tribunale non ha tenuto conto della documentazione sanitaria che attesta
l’aggravamento delle condizioni di salute e la loro incompatibilità con il regime
carcerario;
-è stata travisata la circostanza della propria latitanza perché egli era stato
arrestato nel proprio paese di origine nel gennaio dell’anno 2014 ed estradato
nel mese di maggio dello stesso anno.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.11 ricorso è infondato.

3.In termini generali va ricordato che, trattandosi di appello cautelare, la
cognizione del tribunale del riesame è limitata alle sole questioni devolute con i
motivi redatti ai sensi dell’art. 310, comma 1, cod. proc. pen., non applicandosi
in questo caso il disposto di cui all’art. 309, comma 9, cod. proc. pen., che
consente l’annullamento, la riforma o la conferma dell’ordinanza impugnata per
motivi o ragioni diversi da quelli enunciati in sede di ricorso o indicati nella
motivazione del provvedimento impugnato (Sez. 3, n. 30483 del 28/05/2015,

2

disponibilità di un alloggio da parte di un connazionale che non ha indicato con

Loffredo, Rv. 264818; Sez. 1, n. 43913 del 02/07/2012, Xu, Rv. 253786; Sez. 2,
n. 3418 del 02/07/1999, Moledda, Rv. 214261).
3.1.La “regiudicanda”, dunque, è circoscritta al contenuto del provvedimento
cautelare appellato e ai motivi di impugnazione, che – come detto – devono
essere necessariamente e contestualmente enunciati (art. 310, comma 1, cod.
proc. pen.), con la conseguenza che: i) con l’appello non possono proporsi motivi
nuovi rispetto a quelli avanzati nell’istanza sottoposta al giudice di primo grado,
né al giudice “ad quem” è attribuito il potere di estendere d’ufficio la sua

del 2015,cit.); il) quando si eccepisce, in sede di legittimità, il vizio di omessa o
carente motivazione è onere del ricorrente, in ossequio al principio di
autosufficienza del ricorso, indicare in modo preciso quali siano le questioni
specificamente devolute con i motivi di impugnazione a suo dire malamente
(oppure non) esaminate, sopratutto se essi, per come illustrati nel ricorso per
cassazione, paiono non coincidere con quelli compendiati nel provvedimento
impugnato.
3.2.A tale onere l’imputato si è sottratto non avendo riprodotto i motivi di
appello, ulteriori e diversi da quelli succintamente indicati nell’ordinanza
cautelare e che a suo dire sono stati inadeguatamente valutati dal Tribunale del
riesame.
3.3.Tra l’altro – fermo quanto oltre si dirà – non è affatto chiaro se e,
sopratutto, sotto quale profilo fattuale, la immediata applicabilità delle modifiche
introdotte con legge n. 47 del 2015 in ordine alla necessaria “attualità” delle
esigenze cautelari sia stata sottoposta al primo giudice (prima ancora che a
quello dell’appello cautelare).
3.4.0ccorre, dunque, stare alla ricognizione dei motivi del dedotto
affievolimento delle esigenze cautelari così come sintetizzati nel testo del
provvedimento impugnato, che li indica: nel fattore tempo, nella disponibilità di
un alloggio e nelle condizioni di salute.
3.5.Si deve pertanto verificare se le risposte fornite sul punto dal Tribunale
dell’appello cautelare siano conformi agli insegnamenti di questa Corte e se,
rispetto alle premesse fattuali indicate nel testo, la motivazione non sia
manifestamente illogica.
3.6.0rbene, costituisce principio costantemente ribadito da questa Suprema
Corte che il mero decorso del tempo trascorso dall’inizio dell’esecuzione di una
misura cautelare, qualunque essa sia, non è rilevante perché la sua valenza si
esaurisce nell’ambito della disciplina dei termini di durata massima della custodia
stessa, e quindi necessita di essere considerato unitamente ad altri elementi
idonei a suffragare la tesi dell’affievolimento delle esigenze cautelari (Sez. 1, n.
2443 del 26/04/1995, Rv. 202138; Sez. 1, n. 3958 del 05/06/1996, Rv. 205320;
3

cognizione a questioni non prese in esame dal giudice ” a quo” (Sez 3, n. 30483

Sez. 3, n. 1160 del 23/0371999, Rv. 214543; Sez. 2, n. 45213 del 08/11/2007,
Rv. 238518; Sez. 1, n. 24897 del 10/05/2013, Rv. 25583). Il “fatto nuovo”
rilevante ai fini della revoca ovvero della sostituzione della misura cautelare con
altra meno grave, deve perciò essere costituito da elementi di sicura valenza
sintomatica in ordine al mutamento delle esigenze cautelari apprezzate all’inizio
del trattamento cautelare. Da questo punto di vista la puntuale osservanza delle
prescrizioni inerenti la misura non ha di per sé alcuna valenza sintomatica (Sez.
6, n. 47819 del 24/11/2003, Rv. 227430; Sez. 4, n. 39531 del 17/10/2006, Rv.

09/10/2013, Rv. 258191).
3.7.La validità di tale principio va ribadita perché, a fronte di un fenomeno
neutro (il decorso del tempo) di per sé già produttivo di effetti sul piano giuridico
(artt. 303 e segg., cod. proc. pen.), essa costituisce ad un tempo baluardo
contro inammissibili valutazioni soggettive sulla persistente sussistenza delle
esigenze cautelari e contro possibili fughe verso motivazioni solo apparenti ma in
realtà sostanzialmente arbitrarie (rimanendo solo in seno all’insondabile
intuizione del giudice il perché, in assenza di altri elementi, il solo decorso del
tempo affievolisca le esigenze cautelari) e garanzia di un controllo effettivo della
motivazione dei provvedimenti destinati ad incidere sulla libertà personale. Tutte
le ordinanze cautelari (anche quelle modificative ed estintive dell’ordinanza
applicativa) soggiaciono, infatti, alla regola processuale generale imposta
dall’art. 187, comma 2, cod. proc. pen., secondo la quale sono oggetti di prova
anche i fatti dai quali dipende l’applicazione di norme processuali.
3.8.Ciò non equivale a dire che il giudice non abbia l’obbligo di effettuare
una costante verifica della perdurante idoneità della misura applicata a
fronteggiare le esigenze che concretamente permangano o residuino, secondo il
principio della minor compressione possibile della libertà personale che, insieme
con quello di proporzionalità e adeguatezza, operano come parametri di
commisurazione delle misure cautelari alle specifiche esigenze ravvisabili nel
caso concreto, tanto al momento della scelta e della adozione del provvedimento
coercitivo, che per tutta la durata dello stesso (Sez U, n. 16085 del 31/03/2011,
Khalil, Rv. 249324). A tal fine è necessario che il giudice effettui un costante
giudizio «”triadico” che faccia leva sul tipo della misura applicata, sulla relativa
durata in rapporto alla pena irrogata ed alla gravità del fatto, e sulle esigenze
che, alla luce del bilanciato apprezzamento dei diversi parametri coinvolti,
appaiono concretamente residuare» (così in motivazione, Sez. U, Khalil, cit.).
3.9.A seguito delle modifiche introdotte con legge 16 aprile 2015, n. 47 (in
vigore alla data dell’ordinanza impugnata), è stato previsto l’ulteriore requisito
della attualità delle esigenze cautelari (art. 2, legge n. 47, cit., che ha in tal
senso modificato l’art. 274, lett. c, cod. proc. pen.). Ne consegue che in tale
4

235391; Sez. 5, n. 16425 del 02/02/2010, Rv. 246868; Sez. 2, n. 1858 del

[

giudizio “triadico”, il giudice deve tener conto non solo della concretezza, ma
anche della attualità delle esigenze cautelari.
3.10.Tuttavia, come detto in premessa, da un lato non è chiaro se, ed in che
modo, il tema della “attualità” delle esigenze cautelari sia mai stato posto al
giudice dell’appello cautelare (e prima ancora al giudice dell’ordinanza appellata)
nei termini in cui viene (genericamente) proposto in questa sede, dall’altro il
Tribunale, con motivazione non manifestamente illogica (e non contraddetta sul
punto) ed in ossequio agli insegnamenti di questa Corte, ha escluso valenza

intramurario tenuto dall’imputato ed ha in ogni caso tratto dai precedenti penali
di quest’ultimo, dalle modalità professionali con cui è stata sfruttata e favorita la
prostituzione, dall’assenza di lecite fonti di reddito o di occasioni lavorative (tema
negletto nell’odierno ricorso), il ragionevole convincimento della persistente
sussistenza del pericolo di reiterazione del reato e, dunque, di occasioni prossime
favorevoli al delitto (il che priva di decisività l’eccezione relativa all’errato
computo del periodo di tempo trascorso in latitanza).
3.11.L’innputato non contesta i costituti fattuali del ragionamento, né ne
eccepisce il travisamento, sicché – confinando il thema decidendum alla sola
manifesta illogicità della motivazione – non v’è dubbio che tale vizio non sussiste.
3.12.Quanto alla possibilità del Tribunale dell’appello cautelare di disporre
accertamenti anche d’ufficio sulla idoneità degli arresti donniciliari (Sez. 2, n.
17795 del 11/04/2014, Arcidiacono, Rv. 259580, citata anche dal ricorrente),
occorre precisare da un lato che il rapporto di parentela dell’imputato con il
soggetto ospitante non toglie validità all’osservazione del Tribunale secondo cui
non è stato specificato «attraverso quali mezzi il connazionale che ha offerto la
disponibilità all’ospitalità possa provvedere alle esigenze dell’appellante»,
dall’altro che i poteri officiosi del Tribunale non possono spingersi fino ad
effettuare accertamenti sulle potenzialità reddituali dell’ospitante che nemmeno
siano stati dedotti con i motivi di appello.
3.13.11 che rimanda alla considerazione iniziale circa la violazione del
principio di autosufficienza del ricorso che non indica se ed in che modo tale
tema sia stato devoluto in sede di appello (e prima ancora al giudice
dell’ordinanza appellata).
3.14.L’eccezione relativa alle condizioni di salute è generica perché proposta
prescindendo dalla specifica osservazione effettuata al riguardo dai Giudici
dell’appello cautelare che, nel disattendere la richiesta difensiva, citano una
specifica perizia collegiale di cui l’imputato non fa menzione alcuna, essendosi
limitato ad allegare un certificato medico del 09/06/2015 redatto su richiesta del
Tribunale di Roma il 29/05/2015 per finalità che l’imputato nemmeno menziona.
3.15.Ne consegue che il ricorso deve essere respinto.

5

sintomatica dell’affievolimento delle esigenze cautelari al buon comportamento

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
La Corte inoltre dispone che copia del presente provvedimento sia trasmessa
al Direttore dell’Istituto Penitenziario competente a norma dell’art. 94, comma iter, Disp. Att. c.p.p.

Così deciso il 29/01/2016

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA