Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28948 del 29/01/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28948 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ACETO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Berkane Krachai Karim, nato in Francia il 05/06/1978,

avverso l’ordinanza del 27/10/2015 del Tribunale di Perugia;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Aldo
Policastro, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.11 sig. Berkane Krachai Karim ricorre per l’annullamento dell’ordinanza del
27/10/2015 del Tribunale di Perugia che ha respinto l’appello cautelare da lui
proposto avverso il provvedimento del 11/08/2015 con cui il Giudice per le
indagini preliminari di quello stesso Tribunale aveva rigettato la richiesta di
revoca dell’ordinanza del 09/10/2014 che aveva applicato nei suoi confronti la
misura della custodia cautelare in carcere per il reato di cui all’art. 74, d.P.R. 9

Data Udienza: 29/01/2016

ottobre 1990, n. 309 e per quello di cui agli artt. 81, cpv., cod. pen., 73, d.P.R. n.
309, cit., commessi in Perugia dal marzo al settembre 2012.
1.1.Con il primo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc.
pen., vizio di mancanza o comunque manifesta illogicità della motivazione in
ordine alla sussistenza dei presupposti di cui all’art. 274, cod. proc. pen..
Deduce, al riguardo, che a fronte di fatti temporalmente collocati nel 2012, è
ristretto in custodia cautelare in carcere dal 16 dicembre 2014, in conseguenza
di ordinanza emessa nell’ottobre di quello stesso anno. Lamenta, quindi, la

nell’ordinanza impugnata, di qualsiasi tipo di valutazione reale ed effettiva (e non
stereotipata o inammissibilmente ancorata alla gravità del reato) in ordine alla
sussistenza, concretezza e attualità del pericolo, imposta dalla recente legge n.
47 del 2015. Aggiunge che, diversamente da quanto affermato nell’ordinanza,
egli non si è mai dato alla fuga, come ipotizzato anche nell’ordinanza genetica,
poiché nel 2012 egli era un cittadino extracomunitario, libero di transitare nei
Paesi dell’Unione, che non era stato raggiunto da alcuna misura.
1.2.Con il secondo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e),
cod. proc. pen., vizio di mancanza o comunque manifesta illogicità della
motivazione in ordine alla sussistenza dei presupposti di cui all’art. 275, cod.
proc. pen. ed, in particolare, ai criteri di scelta dalla misura custodiale la cui
natura residuale è stata totalmente negletta dal Tribunale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.11 ricorso è inammissibile perché generico e manifestamente infondato.

3.11 ricorrente è ristretto in custodia cautelare in carcere in conseguenza di
ordinanza emessa dal G.i.p. del Tribunale di Perugia il 09/10/2014 sulla ritenuta
(e qui non contestata) sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza dei reati di cui
all’art. 74, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (perché ritenuto organizzatore e
finanziatore di un’associazione per delinquere finalizzata alla importazione,
trasporto, commercio, vendita e distribuzione di sostanze stupefacenti del tipo
eroina e cocaina) e agli artt. 81, cpv., cod. pen., 73, d.P.R. n. 309, cit. (per aver
trasportato e detenuto, per la successiva vendita, sostanza stupefacente del
medesimo tipo), commessi in Perugia dal marzo al settembre 2012, e in
considerazione del pericolo di fuga e di reiterazione dei reati.
3.1.Nel respingere l’appello cautelare, il Tribunale di Perugia ha desunto la
persistente sussistenza delle esigenze cautelari in base ai seguenti argomenti: a)
il ricorrente si è sottratto volontariamente all’ordinanza custodiale, rendendosi
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sopravvenuta mancanza di attualità della misura e la inevitabile assenza,

latitante sino all’arresto effettuato in Svizzera; b) quando ha reso le proprie
dichiarazioni al magistrato di sorveglianza, ha mentito sulle ragioni del suo
arresto, non essendo vero che egli si era spontaneamente presentato alle
autorità di polizia elvetica, perché era stato catturato in occasione di un controllo
doganale; c) egli ha rivestito un ruolo associativo apicale con solidi collegamenti
con ambienti criminali italiani e radicati anche in paesi esteri; d) non v’è alcuna
prova che l’attività delinquenziale sia cessata nel settembre 2012, come
genericamente dedotto in sede di appello; e) il pericolo di fuga molto elevato non

3.2.11 ricorrente prescinde dagli argomenti di fatto utilizzati dal Tribunale per
supportare le conclusioni da lui contestate, opponendo solo deduzioni generiche,
volte a proporre una verità alternativa a quella che emerge dalla lettura del
provvedimento impugnato. Secondo i Giudici dell’appello cautelare, invece, il
ricorrente era latitante al momento dell’arresto e ancora dedito alle attività
criminose imputategli a titolo associativo. Non sussiste, pertanto, l’eccepita
mancanza di motivazione e l’accusa di una sua presunta autoreferenzialità si
risolve nella profusione di deduzioni fattuali estrinseche al provvedimento
impugnato (come la mancanza di conoscenza del provvedimento cautelare e
dunque il suo stato di latitanza). Peraltro, essendo eccepita la mancanza di
motivazione, il ricorrente non si premura nemmeno di allegare o trascrivere i
motivi di appello erroneamente (o immotivatamente) disattesi.
3.3.Non v’è dubbio che il giudice ha l’obbligo di effettuare una costante
verifica della perdurante idoneità della misura applicata a fronteggiare le
esigenze che concretamente permangano o residuino, secondo il principio della
minor compressione possibile della libertà personale che, insieme con quello di
proporzionalità e adeguatezza, operano come parametri di commisurazione delle
misure cautelari alle specifiche esigenze ravvisabili nel caso concreto, tanto al
momento della scelta e della adozione del provvedimento coercitivo, che per
tutta la durata dello stesso (Sez U, n. 16085 del 31/03/2011, Khalil, Rv.
249324). A tal fine è perciò necessario che il giudice effettui un costante giudizio
«”triadico” che faccia leva sul tipo della misura applicata, sulla relativa durata
in rapporto alla pena irrogata ed alla gravità del fatto, e sulle esigenze che, alla
luce del bilanciato apprezzamento dei diversi parametri coinvolti, appaiono
concretamente residuare» (così in motivazione, Sez. U, Khalil, cit.) e che tenga
conto, a seguito delle modifiche introdotte con legge 16 aprile 2015, n. 47 (in
vigore alla data dell’ordinanza impugnata), anche della attualità delle esigenze
cautelari (art. 2, legge n. 47, cit., che ha in tal senso modificato l’art. 274, lett.
c, cod. proc. pen.).
3.4.Peraltro, proprio in tema di associazione per delinquere di cui all’art. 74,
d.P.R. n. 309 del 1990, questa Corte ha spiegato che ove siano emesse misure

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consente di applicare la misura degli arresti domiciliari.

coercitive per condotte esecutive risalenti nel tempo, la sussistenza delle
esigenze cautelari deve essere desunta da specifici elementi di fatto idonei a
dimostrarne l’attualità, in quanto tale fattispecie associativa è qualificata
unicamente dai reati fine e non postula necessariamente l’esistenza dei requisiti
strutturali e delle peculiari connotazioni del vincolo associativo tipiche del reato
di cui all’art. 416 bis cod. pen., di talché risulta ad essa inapplicabile la regola di
esperienza, elaborata per quest’ultimo, della tendenziale stabilità del sodalizio in
difetto di elementi contrari attestanti il recesso individuale o lo scioglimento del

3.5.Ma nel caso di specie, trattandosi di appello cautelare, tale onere andava
assolto nell’ambito delle sole questioni devolute (Sez. 3, n. 30483 del
28/05/2015, Loffredo, Rv. 264818), alla luce delle quali il Tribunale ha fatto leva
sulla permanenza del reato associativo, su una fuga reale e non ipotizzata, sulla
esistenza attuale di una rete di contatti del ricorrente con il mondo criminale, sul
comportamento processuale tenuto successivamente all’arresto (correttamente
valutato come sintomo di una persistente e attuale pericolosità sociale).
3.6.Dal che il Tribunale ha tratto il non manifestamene illogico (e perciò
insindacabile) convincimento della attualità delle esigenze cautelari e della
inidoneità della misura degli arresti domiciliari a farvi fronte.
3.7.0ccorre sul punto precisare che, trattandosi di uno dei delitti previsti
dall’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., il giudice non deve indicare le ragioni
per le quali ritiene inidonea la misura degli arresti domiciliari, posto che tale
inidoneità è presunta dalla legge, fino a prova contraria. Nè del resto, trattandosi
di appello cautelare, il ricorrente ha dedotto di aver sottoposto al giudice
elementi concreti dai quali poter desumere l’idoneità della misura meno afflittiva
che sono stati immotivatamente disattesi o trascurati.
Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen.,
non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost.
sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento nonché
del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa
equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di C 1000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

gruppo (Sez. 4, n. 26570 del 11/06/2015, Flora, Rv. 263871).

La Corte inoltre dispone che copia del presente provvedimento sia trasmessa
al Direttore dell’Istituto Penitenziario competente a norma dell’art. 94, comma Iter, Disp. Att. c.p.p.

Così deciso il 29/01/2016

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