Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28936 del 10/02/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28936 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
Caragnano Antonio, nato a Bari il 22/6/1974
Maldarizzi Raffaele, nato a Mottola il 10/6/1954
avverso la sentenza del 26/5/2014 della Corte d’appello di Lecce, sezione
distaccata di Taranto
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni Liberati;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Paolo
Canevelli, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio limitatamente
all’ordine di demolizione, che va revocato, ed il rigetto del ricorso nel resto.
udito per la parte civile l’avv. Luigi Semeraro, che ha concluso chiedendo il
rigetto del ricorso;
udito per entrambi gli imputati l’avv. Rocco Maggi, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 26 maggio 2014 la Corte d’appello di Lecce, sezione
distaccata di Taranto, provvedendo sulla impugnazione proposta dagli imputati
Antonio Caragnano, Raffaele Maldarizzi e Pasquale Franchini nei confronti della
sentenza del 15 luglio 2011 del Tribunale di Taranto, che li aveva condannati alla
pena di giorni venti di arresto ed euro 8.000 di ammenda per il reato di cui

Data Udienza: 10/02/2016

all’art. 44 d.P.R. 380/2001 (limitatamente al mutamento di destinazione d’uso di
un locale insistente sul lastrico solare delle dimensioni di m. 1,8 x 3,3 e 3 di
altezza, che avrebbe dovuto contenere i vani tecnici e la seconda rampa di scale
ed era invece stato modificato, realizzandovi un servizio igienico ed un locale
abitabile, con accesso mediante scala a chiocciola dal piano sottostante),
disponendo anche la demolizione del manufatto abusivo costruito sul lastrico
solare e condannandoli al risarcimento dei danni in favore della parte civile, ha
dichiarato non doversi procedere in relazione a tale reato perché estinto per

impugnata e condannando gli imputati alla rifusione delle spese a favore della
parte civile.
Ha ritenuto la Corte territoriale che la realizzazione del vano in termini
difformi dalla prima DIA fosse avvenuta in epoca prossima al 6 aprile 2006 e non
nel dicembre 2005 come sostenuto dagli imputati (con la conseguenza che alla
data della pronunzia della sentenza di primo grado non si era compiuto il termine
di prescrizione del reato), e che lo stesso non fosse qualificabile come volume
tecnico, in considerazione della evidente destinazione residenziale del nuovo
manufatto, con la conseguente conferma dell’ordine di demolizione e delle
statuizioni in favore della parte civile.

2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso gli imputati Caragnano e
Maldarizzi, mediante il loro difensore, affidato a tre motivi, così riassunti entro i
limiti previsti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo hanno denunciato violazione di legge penale in
relazione alla erronea applicazione dell’art. 44 d.P.R. 380/2001, sulla base del
rilievo che il vano costruito sul lastrico solare non poteva essere considerato
abitabile in quanto non rispettava l’altezza minima prevista, come confermato
dal rilascio di concessione in sanatoria, resa possibile dall’accertamento della
inabitabilità di tale vano, con la conseguente erroneità della affermazione di
segno contrario contenuta nella motivazione della sentenza impugnata, che
aveva fatto riferimento alla potenziale abitabilità del manufatto.
Hanno inoltre denunciato vizio di motivazione per i riferimento a dati di fatto
non acquisiti al processo, tra cui la collocazione dell’immobile nel centro abitato
di Mottola e l’antichità delle volte sostituite per realizzare il vano tecnico sul
lastrico solare.
2.2. Con il secondo motivo hanno denunciato violazione di legge in relazione
all’art. 157 cod. proc. pen., avendo la Corte d’appello erroneamente collocato la
consumazione della contravvenzione in epoca prossima al 6 aprile 2006, mentre
sin dal 12 ottobre 2005 era già stata accertata la contestata variazione della
destinazione del manufatto, con il conseguente compimento del termine di

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prescrizione, eliminando le relative pene, confermando nel resto la sentenza

prescrizione dell’illecito anteriormente alla sentenza di primo grado (pronunciata
il 15 luglio 2011).
2.3. Con il terzo motivo hanno denunciato violazione di legge in relazione
alla omessa revoca dell’ordine di demolizione del manufatto ritenuto abusivo, in
quanto tale provvedimento, avente natura di sanzione amministrativa,
presuppone la pronuncia di sentenza di condanna o ad essa equiparata e non il
mero accertamento della commissione dell’abuso edilizio (come nel caso della
sentenza di non doversi procedere per prescrizione), con la conseguenza che tale
ordine doveva ritenersi anch’esso travolto dalla estinzione del reato per

prescrizione.

3. La parte civile ha depositato memoria, mediante la quale ha eccepito la
inammissibilità del ricorso degli imputati, in quanto fondato su elementi di fatto
già esaminati e disattesi dalla Corte d’appello, che aveva escluso la natura di
volume tecnico del manufatto realizzato in sopraelevazione dagli imputati, sulla
base del rilievo che è tale solo il vano privo di autonomia funzionale anche
potenziale, in quanto destinato a contenere impianti serventi di una costruzione
pon>ofvo
principale per esigenze tecniche della stessa e che non pesse essere ubicati
all’interno di questa.
Ha inoltre affermato la condivisibilità della valutazione della Corte d’appello
circa la data di consumazione del reato, individuata nel 6 aprile 2006 allorquando
era stato effettuato un sopralluogo da parte dei vigili urbani, cui aveva fatto
seguito la DIA in variante depositata il 10 aprile 2006, concludendo per
l’inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è fondato solo in relazione alla doglianza relativa alla omessalevoca
dell’ordine di demolizione.

1. Il primo motivo, mediante il quale è stata denunciata violazione dell’art. 44
d.P.R. 380/2001, sul base del rilievo che sarebbe stata erroneamente ravvisata
la sussistenza del reato contemplato da tale disposizione, nonostante il vano
realizzato sul lastrico solare del fabbricato di proprietà del Caragnano non
raggiunga l’altezza minima di m. 2,70, richiesta per l’ottenimento della
abitabilità, è manifestamente infondato, risultando del tutto corretta la
considerazione contenuta nella motivazione della sentenza impugnata (con cui,
tra l’altro, i ricorrenti hanno del tutto omesso di confrontarsi), circa l’assoluta
irrilevanza della idoneità dell’ampliamento realizzato ad ottenere il certificato di
abitabilità, a causa della insufficiente altezza (pari a m. 2,66), in quanto la

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nozione di abitabilità è diversa da quella di destinazione abitativa o residenziale,
sicché deve comunque ritenersi sussistente la realizzazione di opere difformi
dalla d.i.a. presentata (cioè la realizzazione di un locale abitabile delle dimensioni
di m. 7,00 x 2,70 ed altezza di m. 3 compreso il solaio, cui si accede mediante
scala a chiocciola dal piano sottostante, in luogo di un locale delle dimensioni di
m. 1,80 x 3,30 ed altezza di m. 3, che avrebbe dovuto contenere i vani tecnici e
la seconda rampa di scale) anche se tali opere non possiedono i requisiti per
l’ottenimento del permesso di abitabilità. Nella specie sono mutate, rispetto alla

realizzato sul lastrico solare, con la conseguente sussistenza della difformità
ravvisata dal Tribunale e dalla Corte d’appello ed irrilevanza della inidoneità al
conseguimento della licenza di abitabilità, non richiedendo la norma
incriminatrice anche l’effettiva utilizzabilità del bene difformemente realizzato,
ma solo la variazione dì destinazione con la realizzazione di opere.
Manifestamente infondato risulta anche il rilievo formulato con il primo
motivo, circa la considerazione da parte del Tribunale e della Corte d’appello di
dati di fatto non acquisiti nel corso del giudizio di merito (e cioè la collocazione
del fabbricato nel centro storico del Comune di Mottola ed il pregio architettonico
delle volte sostituite mediante l’intervento oggetto della contestazione),
trattandosi di elementi non rilevanti ai fini della decisione e che non incidono in
alcun modo né sulla sussistenza del reato né sul percorso argomentativo seguito
dai giudici di merito.

2. Manifestamente infondato risulta anche il secondo motivo, mediante il
quale è stata prospettata violazione dell’art. 157 cod. pen. e vizio di motivazione,
per l’omessa dichiarazione della prescrizione del reato anteriormente alla
pronuncia della sentenza di primo grado, sulla base del rilievo che il locale
realizzato sul lastrico solare sarebbe stato completato sin dal 12 ottobre 2005,
come si ricaverebbe da un verbale di sopralluogo della polizia municipale in tale

d.i.a. presentata dagli imputati, volumetria e destinazione del manufatto

data, in quanto la Corte d’appello ha collocato il completamento di tali lavori alla
data di un successivo sopralluogo eseguito dalla polizia giudiziaria, il 6 aprile
2009, allorquando venne riscontrata la realizzazione delle modifiche in
questione, ultimate successivamente a tale sopralluogo, mediante la collocazione
nel locale realizzato dagli imputati sul lastrico solare di un serbatoio.
Tale ricostruzione in punto di fatto dell’epoca di completamento dei lavori
risulta chiara, logica e coerente, oltre che corretta sul piano del diritto, facendo
riferimento al completamento dell’opera (cfr. Sez. 3, n. 29974 del 06/05/2014,
Sullo, Rv. 260498), e non è stata oggetto di specifica censura da parte dei
ricorrenti, che hanno solamente prospettato una diversa data di completamento
dell’opera, tendendo così ad ottenere una rivisitazione di tale accertamento di
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Lui,

fatto, inammissibile in questa sede in assenza di vizi della motivazione al
riguardo, nella specie non sussistenti.

3. Il terzo motivo di ricorso, mediante il quale è stata denunciata violazione
di legge per la mancata revoca dell’ordine di demolizione del fabbricato difforme
nonostante la declaratoria di prescrizione dell’illecito, è fondato.
L’art. 7, ultimo comma, I. 47 del 1985 disponeva che, per le opere abusive
eseguite in assenza di concessione o in totale difformità o con variazioni

gennaio 1977, n. 10, art. 17, lett. b), come modificato dal successivo art. 20
della presente legge, ordina la demolizione delle opere stesse se ancora non sia
stata altrimenti eseguita”; questa disposizione è stata poi riprodotta nell’art. 31,
comma 8, d.P.R. n. 380 del 2001, nel quale si afferma che “per le opere abusive
di cui al presente articolo (cioè interventi eseguiti in assenza di permesso di
costruire ovvero in totale difformità o con variazioni essenziali), il giudice, con la
sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 44, ordina la demolizione delle
opere stesse se ancora non sia stata altrimenti eseguita”.
Questo ordine costituisce un provvedimento accessorio rispetto alla condanna
principale, esplicitazione di un potere sanzionatorio non residuale o sostitutivo,
ma autonomo rispetto a quello dell’autorità amministrativa, attribuito dalla legge
al giudice penale (per tutte, Sez. U, n. 15 del 1996, Monterisi, Rv. 205336, a
mente della quale l’ordine di demolizione adottato dal giudice ai sensi dell’art. 7
legge 28 febbraio 1985, n. 47, al pari delle altre statuizioni contenute nella
sentenza definitiva, è soggetto all’esecuzione nelle forme previste da codice di
procedura penale, avendo natura di provvedimento giurisdizionale, ancorché
applicativo di sanzione amministrativa); si tratta di una sanzione amministrativa
di tipo ablatorio (non di una pena accessoria, né di una misura di sicurezza
patrimoniale), caratterizzata dalla natura giurisdizionale dell’organo al quale ne è
attribuita l’applicazione, la cui catalogazione fra i provvedimenti giurisdizionali

essenziali, “il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui alla L. 28

trova ragione giuridica proprio nella sua accessività alla “sentenza di condanna”
(vedi, in tal senso, Cass., Sez. U, Monterisi, cit.).
Ne consegue che tale ordine richiede comunque la pronuncia di una sentenza
di condanna (o ad essa equiparata), non risultando a ciò sufficiente l’avvenuto
accertamento della commissione dell’abuso, come nel caso di sentenza di
estinzione per prescrizione (così Sez. 3, n. 50441 del 27/10/2015, Franchi, Rv.
265616; conf., tra le altre, Sez. 3, n. 756 del 2/12/2010, Sicignano, Rv. 249154;
Sez 3, n. 8409 del 28/2/2007, Muggianu, non massimata; Sez. 3, n. 10/2/2006,
Cirillo, Rv. 233673).
La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata senza rinvio
limitatamente alla disposizione della demolizione delle opere abusive,
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40,1″1

disposizione che deve essere eliminata, ed il ricorso dichiarato inammissibile per
il resto.
La parziale fondatezza del ricorso determina una situazione di soccombenza
reciproca tra la parte civile ed i ricorrenti, che consente di disporre la
compensazione delle spese processuali del grado nei loro rapporti.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla mancata
revoca dell’ordine di demolizione, ordine che elide.
Dichiara il ricorso inammissibile nel resto.
Compensa le spese del grado relative all’azione civile.
Così deciso il 10/2/2016

.

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