Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28930 del 20/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28930 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: GENTILI ANDREA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GUZZARDI Sebastiano, nato a Siracusa il 20 ottobre 1964;

avverso la sentenza n. 10914 della Corte di appello di Reggio Calabria del 10
ottobre 2013;

letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;

sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Gabriele
MAZZOTTA, il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità del
ricorso;
sentito, altresì, per il ricorrente l’avv. Roberto DE ANGELIS, del foro di Roma, che
ha insistito per l’accoglimento del ricorso

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Data Udienza: 20/11/2015

RITENUTO IN FATTO
Adita in sede di rinvio, dopo che la Corte di cassazione, con sentenza n.
19383 del 2013 aveva annullato la sentenza resa a seguito della
impugnazione dell’imputato dalla Corte di appello di Messina, la Corte di
Reggio Calabria, ha confermato la sentenza con la quale il Gup del Tribunale
di Messina, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato Guzzardi
Sebastiano alla pena di giustizia, avendolo riconosciuto responsabile

1990, per avere importato dal Perù sostanza stupefacente del tipo cocaina per
grammi 79,4 di principio attivo, idonea per la preparazione di circo 530 dosi
medie singole.
Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Guzzardi,
deducendo il fatto che a suo carico non vi fossero elementi personalizzanti,
atteso che le intercettazioni telefoniche aventi un contenuto indiziante erano
intercorse fra il di lui cugino Guzzardi Giuseppe ed il fratello di quest’ultimo,
omonimo dell’odierno ricorrente, che operava in Perù; egli, in sostanza era
stato strumentalizzato dal cugino Giuseppe e dalla propria compagna, peraltro
mandata assolta nel giudizio a suo carico, i quali erano i reali organizzatori
della importazione; la Corte reggina avrebbe, pertanto, violato l’art. 627,
comma 3, cod. proc. pen. in quanto in sede di rinvio non avrebbe emendato i
vizi presenti nella sentenza della Corte di appello di Messina, evidenziati dalla
Corte di cassazione con la citata sentenza n. 18383 del 2013, ma si sarebbe
limitata a ribadire gli stessi argomenti già presenti nella sentenza di primo
grado senza dimostrare la valenza probatoria a carico dell’odierno ricorrente
delle comunicazioni telefoniche intercettate.
In data 23 ottobre 2015 la difesa dell’imputato ha depositato delle
memorie difensive nelle quali, insistendo per l’accoglimento del ricorso, ha
censurato ulteriormente la motivazione della sentenza impugnata, sostenendo
che la stessa fosse stata redatta in violazione di quanto prescritto dall’art.
627, comma 3, cod. proc. pen. in tema di giudizio di rinvio a seguito di
annullamento pronunziato dalla Corte di cassazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, lo stesse deve essere rigettato.
Rileva, infatti, la Corte che nessun vizio di motivazione è riscontrabile
nella sentenza impugnata, avendo la Corte di appello di Reggio Calabria
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unitamente al cugino Giuseppe del reato di cui all’art. 73 del dPR n. 309 del

congruamente desunto il pieno coinvolgimento dell’odierno ricorrente nel
traffico di sostanza stupefacente intercorso, ad opera anche dei correi Guzzardi
Giuseppe e Guzzardi Sebastiano, quest’ultimo agente dal Perù con compiti di
reperimento dello stupefacente e di trasmissione di esso in Italia, dalle
numerosi intercettazioni telefoniche operate sulle utenze intestate ai vari attori
della presente vicenda; attori certamente non ignari delle parti loro
rispettivamente spettanti, come emerge dalla plausibile interpretazione che è

Coerentemente, infatti, la Corte di Reggio Calabria ha riscontrato,
attraverso il tenore testuale di quanto pronunziato dal prevenuto nel corso delle
numerose e convulse conversazioni da lui intrattenute con il cugino Giuseppe
nella immediatezze temporali che hanno preceduto e seguito sia l’arresto della
D’Elia che quello dello stesso Guzzardi Giuseppe, il fatto che l’attuale ricorrente,
lungi dall’essere un mero strumento in mano del suo sodale, era, invece
pienamente e consapevolmente coinvolto nel traffico da quello organizzato.
Né può sostenersi che la Corte reggina, nel confermare la sentenza di
condanna pronunziata a carico del Guzzardi dal Gip del Tribunale di Messina
abbia violato la prescrizione contenuta nell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen.,
come sostenuto dalla difesa del ricorrente nelle proprie memorie difensive.
Premesso, infatti che in base alla disposizione normativa testé citata il
giudice del rinvio deve uniformarsi, con riferimento alle questioni di diritto ivi
decise, a quanto contenuto nella sentenza di annullamento pronunziata dalla
Corte di cassazione, deve rilevarsi che con la sentenza n. 19383 del 2013
questa Corte ebbe a stigmatizzare non tanto il contenuto intrinseco della
decisione allora assunta dalla Corte peloritana con la sentenza in quella
occasione annullata, quanto le modalità attraverso le quali detta Corte,
motivando in maniera assertiva, attraverso un modello

per relationem

immediatamente riferito agli argomenti spesi dal giudice di primo grado per
giustificare l’affermazione della penale responsabilità del Guzzardi, era, in
sostanza, venuta meno al suo dovere di replicare, a seguito della loroa
valutazione critica, alle ragioni di impugnazione dedotte di fronte al giudice di
secondo grado dall’odierno ricorrente.
Adeguandosi, pertanto, al principio di diritto affermato dalla Corte di
legittimità in relazione alle corrette modalità di redazione della sentenza di
appello, la Corte reggina non solo ha rivalutato integralmente ed analiticamente
il contenuto delle intercettazioni telefoniche che costituiscono il compendio
probatorio esistente a carico del Guzzardi, ma ha, altresì, evidenziato come lo
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stata compiuta dai giudici del merito dei contenuti delle dette intercettazioni.

stesso fosse sintomatico della piena aderenza dell’imputato alla azione
criminosa a lui contestata.
Tali elementi, costituiti dalle stesse dichiarazioni del Guzzardi o comunque
da dichiarazioni rese nel corso di conversazioni cui egli ha preso parte,
appaiono integrare gli estremi di quegli elementi individualizzanti richiesti dalla
Corte di cassazione in sede di annullamento con rinvio della sentenza emessa
dalla Corte di appello di Messina, idonei a ricondurre specificamente all’odierno

Privo di fondamento è anche il secondo motivo dedotto dal ricorrente
nella sua impugnazione principale; non è infatti, stato chiarito dal ricorrente, né
la questione appare di palmare comprensibilità, in quali termini avrebbe dovuto
incidere, in termini di quantificazione della pena da infliggere, il dictum della
sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale.
Invero, gli effetti di siffatta decisione, avendo essa comportato, secondo
l’oramai consolidato insegnamento di questa Corte, per i reati connessi alle
cosiddette droghe pesanti, la reviviscenza del più severo regime punitivo
originariamente previsto dalla versione dell’art. 73 del dPR n. 309 del 1990
anteriore alle modifiche ad esso apportate in sede di conversione del decreto
legge n. 272 del 2005, intervenuta con legge n. 49 del 2006, risultano essere
inapplicabili, in base al principio della lex mitior, ai fatti commessi nella vigenza
delle citate modifiche apportate al dPR n. 309 del 1990 e successivamente
dichiarate incostituzionali con la invocata sentenza della Corte costituzionale n.
32 del 2014, laddove gli stessi riguardino, come nel nostro caso, gli illeciti
aventi ad oggetto stupefacenti quali la cocaina (Corte di cassazione, Sezione I,
28 luglio 2015, n. 33373).
Al rigetto del ricorso proposto dal Guzzardi segue la condanna del
medesimo al pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 20 novembre 2015
Il Consigliere estensore

Il Presidente

imputato, a titolo di concorso, la condotta contestata nella rubrica.

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