Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28925 del 05/07/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 28925 Anno 2016
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: D’ISA CLAUDIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
BEN EL HASSAN MOHAMED N. IL 03/12/1982
ZEMZEMI FETHI N. IL 15/02/1986
avverso la sentenza n. 3765/2015 TRIBUNALE di SAVONA, del
29/10/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CLAUDIO D’ISA;

Data Udienza: 05/07/2016

osserva
1. Gli imputati Ben El Hassan Mohamed e Zemzemi Fethi ricorrono per cassazione
contro la sentenza di applicazione concordata della pena in epigrafe indicata, deducendo
entrambi carenza di adeguata valutazione della gravità del reato agli effetti della
determinazione della pena.
2. I ricorsi sono inammissibili, ex articolo 606, comma 3, c.p.p., perché proposti per
motivi manifestamente infondati e, ex articolo 591, comma 1, lettera c), c.p.p., perché i
motivi sono privi del requisito della specificità, consistendo nella generica esposizione
della doglianza senza alcun contenuto di effettiva critica alla decisione impugnata.
Come questa Corte ha ripetutamente affermato (cfr. ex plurímis Cass. S.U. 27
settembre 1995, Serafino), l’obbligo della motivazione della sentenza di applicazione
concordata della pena va conformato alla particolare natura della medesima e deve
ritenersi adempiuto qualora il giudice dia atto, ancorché succintamente, di aver
proceduto alla delibazione degli elementi positivi richiesti (la sussistenza dell’accordo
delle parti, la corretta qualificazione giuridica del fatto, l’applicazione di eventuali
circostanze ed il giudizio di bilanciamento, la congruità della pena, la concedibilità della
sospensione condizionale della pena ove la efficacia della richiesta sia ad essa
subordinata) e di quelli negativi (che non debba essere pronunciata sentenza di
proscioglimento a norma dell’articolo 129 c.p.p.).
Non è consentito, dunque, all’imputato, dopo l’intervenuto e ratificato accordo, proporre
questioni in ordine alla quantificazione della pena a meno che la stessa non risulti
essere illegale, cioè non prevista dalla legge, circostanza questa non dedotta per il caso
di specie.
La pena – come si è detto – è stata applicata nella misura richiesta e la valutazione in
ordine alla congruità della medesima risulta effettuata, con la declaratoria della
correttezza della qualificazione del fatto.
Resta, pertanto, preclusa ogni successiva doglianza al riguardo.
3. Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento in
solido delle spese del procedimento e di ciascuno al pagamento a favore della Cassa
delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di euro 2.000,00
(duemila/00) a titolo di sanzione pecuniaria.
Per questi motivi
La Corte dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento spese del
procedimento e ciascuno al pagamento a favore della Cassa delle ammende della
somma di euro 2.000,00 (duemila/00).
Così deciso in Roma il 5 LUGLIO 2016.

f

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