Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 289 del 15/11/2013
Penale Sent. Sez. 2 Num. 289 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: FIANDANESE FRANCO
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
Marinelli
Domenico, nato a Napoli il 3.2.1964, e di Bonaparte
Giuseppe,
nato a Napoli 1’8.1.1977, avverso la
sentenza della Corte di Appello di Venezia, in data
7 gennaio 2013, di parziale riforma della sentenza
del Tribunale di Treviso, in data 14 febbraio 2012;
Visti gli atti, la sentenza denunziata e il
ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione svolta dal
consigliere dott. Franco Fiandanese;
Udito il pubblico ministero in persona del
sostituto
procuratore
generale
dott.
Mario
Fraticelli, che ha concluso per il rigetto di
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Data Udienza: 15/11/2013
entrambi i ricorsi;
Uditi i difensori, avv.ti Gritti Giorgio, per
Marinelli, e De rosa Domenico, per Bonaparte, che
hanno chiesto l’accoglimento dei motivi dei
rispettivi ricorsi.
La Corte di Appello di Venezia, con sentenza in
data 7 gennaio 2013, parzialmente riformando la
condanna pronunciata il 14 febbraio 2012 dal
Tribunale di Treviso nei confronti di Marinelli
Domenico e Bonaparte Giuseppe, in relazione a due
reati di rapina aggravata agli stessi contestati in
concorso fra loro, riduceva la pena detentiva ad
anni cinque di reclusione per Marinelli e ad anni
cinque e mesi sei di reclusione per Bonaparte.
Propongono ricorso per cassazione i difensori degli
imputati.
Il difensore di
Ma.rinelli Domenico
deduce
seguenti motivi:
l) erronea applicazione della legge penale.
Il ricorrente lamenta la mancata applicazione
dell’attenuante del risarcimento del danno e la
omessa motivazione
in ordine
alla mancata
applicazione delle attenuanti generiche,
che
avrebbero dovuto essere applicate in considerazione
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
della situazione personale e sociale dell’imputato.
2)
erronea applicazione della legge penale,
in
quanto la pena applicata sarebbe sproporzionata e
non si comprenderebbe perché al Bonaparte sia stata
ridotta in misura superiore rispetto al Marinelli.
Bonaparte Giuseppe
deduce
seguenti motivi:
l)
nullità del decreto di giudizio immediato e di
tutti gli atti successivi.
Il ricorrente osserva che, a seguito della notifica
del decreto di giudizio immediato, il Bonaparte
aveva effettuato una duplice richiesta: di
svolgimento del giudizio con le forme del rito
abbreviato condizionato e, in subordine, di
abbreviato semplice. Il G.I.P. su tali richieste
fissava udienza, nel corso della quale il Bonaparte
ritirava le istanze di rito speciale e, quindi, si
procedeva al giudizio immediato. Invece, secondo il
ricorrente, non sarebbe consentita la revoca
dell’istanza di rito abbreviato semplice e, quindi,
esclusa la richiesta di rito abbreviato
condizionato, il G.I.P. avrebbe dovuto emettere la
conseguente ordinanza di trasformazione del rito.
2)
erronea applicazione degli artt. 238 e 270,
comma 1, c.p.p., inosservanza dell’art. 270, comma
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Il difensore di
1, c.p.p. e conseguente inutilizzabilità delle
intercettazioni telefoniche.
Il ricorrente censura la sentenza impugnata che ha
ritenuto che le intercettazioni fossero state
in
assunte
un
procedimento
complesso
tratterebbe di procedimento diverso attinente
l’individuazione dei responsabili di una rapina in
danno di una banca avvenuta in Napoli, un
procedimento specifico e con soggetti indagati fra
i quali non vi era il Bonaparte. D’altro canto, la
stessa sentenza non indica alcun provvedimento di
stralcio.
Il ricorrente,
inoltre, denuncia il mancato
deposito dei verbali e delle registrazioni delle
intercettazioni e il mancato assolvimento delle
disposizioni di cui all’art. 268, commi 6, 7 e 8
c.p.p.
3)
erronea interpretazione dell’art. 493 c.p.p.,
violazione dell’art. 268, comma 7, c.p.p.
Le
intercettazioni
telefoniche
sarebbero
inutilizzabili in quanto non trascritte con le
forme e le garanzie delle perizie, tanto più che
agli atti sarebbero mancanti le bobine relative
alle registrazioni. D’altro canto, l’adesione data
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successivamente scisso, poiché in realtà si
dall’imputato
all’acquisizione
di
atti
del
fascicolo del P.M. a quello del dibattimento non
equivarrebbe ad una sanatoria generalizzata di vizi
e di omissioni.
illogicità della motivazione in ordine alla
ritenuta ammissione degli addebiti,
in quanto
l’imputato ha semplicemente dichiarato in udienza:
“non ho parole, ho quattro bambini”. Si tratterebbe
di una laconica espressione che non contiene alcun
riferimento ai fatti in contestazione.
5)
omessa
o
contraddittoria motivazione
in
relazione a molteplici censure formulate con l’atto
di appello e riguardanti: l) il riconoscimento da
parte delle persone offese che è relativo solo al
Marinelli; 2) la mancanza di elementi certi di
prova che il Bonaparte si sia recato da Napoli in
provincia di Venezia insieme ai coimputati; 3) la
mancanza di prova che colleghi in maniera
incontrovertibile
al
Bonaparte
l’utenza
intercettata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I motivi di ricorso di Marinelli Domenico sono
manifestamente infondati ovvero non consentititi
nel giudizio di legittimità e devono essere
dichiarati inammissibili.
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4)
Il motivo di ricorso concernente la richiesta di
applicazione dell’attenuante del risarcimento del
danno e delle attenuanti generiche è manifestamente
infondato, in quanto nella sentenza impugnata si fa
riferimento soltanto ad un “impegno a risarcire il
riferimento soltanto alla parte offesa Ricci, senza
che neppure si precisi – né il ricorrente lo
precisa – se tale risarcimento è avvenuto prima del
giudizio (art. 62, comma l, n. 6, c.p.). Per quanto
concerne le attenuanti generiche, esse sono state
concesse fin dal primo grado di giudizio.
Il motivo di ricorso con il quale si censura la
sproporzione della pena non è consentito nel
giudizio di legittimità, poiché, sotto l’apparente
deduzione di violazione di legge, in realtà si
pretende dal giudice di legittimità una
rivalutazione di merito del trattamento
sanzionatorio, peraltro già ampiamente ridotto dal
giudice di appello, il quale con motivazione
puntuale e corretta dal punto di vista logico e
giuridico ha ritenuto di “adeguare la sanzione al
caso concreto ed alla situazione personale e
sociale di entrambi i prevenuti”.
I motivi
di ricorso di
Bonaparte Giuseppe sono
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danno” e ad un risarcimento avvenuto con
infondati e devono essere rigettati.
E’ infondato il motivo di ricorso son il quale si
deduce la nullità del decreto di giudizio immediato
e di tutti gli atti successivi. Infatti, dal
verbale dell’udienza del 3 novembre 2011, fissata a
degli imputati, il giudice dava atto che le
richieste medesime erano state revocate e che “su
dette istanze questo giudice non aveva provveduto”.
Orbene, questo collegio aderisce al principio
giurisprudenziale secondo il quale “la richiesta di
giudizio abbreviato deve considerarsi revocabile
dall’imputato che l’ha presentata fino a che non
abbia prodotto i propri effetti e cioè finché non
sia stato emesso dal giudice il provvedimento
dispositivo del rito” (Sez. 4, n. 19528 del
28/03/2008, Gjieta , Rv. 239764; Sez. 6, n. 22480
del 08/05/2013, Bujor, Rv. 256645; contra: Sez. 6,
n. 28355 del 04/05/2004, Vicentini, Rv. 229590;
Sez. 6, n. 37022 del 23/09/2010, Rv. Monti
Condesnitt
r
248599) e, per “provvedimento
dispositivo del rito” deve intendersi non il
decreto di fissazione dell’udienza successivo alla
richiesta di giudizio abbreviato sia pure
incondizionato, ma l’ordinanza con cui si dispone
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seguito delle richieste di rito abbreviato da parte
il giudizio abbreviato, come si desume chiaramente
dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 30200 del
28/04/2011, Ohonba, Rv. 250348.
Il motivo di ricorso con il quale si deduce la
inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche
anch’esso infondato. Infatti, deve rilevarsi, in
primo luogo, che la diversità del procedimento
assume un rilievo soltanto sostanziale, non
ricollegabile a dati puramente formali, quali
l’apparente autonomia e la mancanza di collegamento
tra reati diversi (Sez. 6, n. 11472 del 02/12/2009
– 25/03/2010, Paviglianiti, Rv. 246524) e, nel caso
di specie, la sentenza impugnata nelle premesse in
fatto spiega ampiamente in cosa consista nella
sostanza il “procedimento complesso” di cui parla,
mentre le affermazioni del ricorrente sono prive
delle necessarie specifiche allegazioni; in secondo
luogo, la sentenza impugnata ha correttamente
rilevato che, comunque, troverebbe applicazione la
“salvezza” di cui al comma l dell’art. 270 c.p.p.
Le altre eccezioni di inutilizzabilità delle
intercettazioni telefoniche sono anch’esse
infondate in applicazione del seguente principio di
diritto: “La trascrizione delle registrazioni
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per violazione degli artt. 238 e 270 c.p.p. è
telefoniche si esaurisce in una serie di operazioni
di carattere meramente materiale, non implicando
l’acquisizione di alcun contributo tecnicoscientifico e l’attività trascrittiva è attinente
ad un mezzo di ricerca della prova e non
prova stessa; pertanto, il rinvio dell’art. 268,
comma settimo cod. proc. pen. all’osservanza delle
forme, dei modi e delle garanzie, previsti per le
perizie, è solo funzionale ad assicurare che la
trascrizione delle registrazioni avvenga nel modo
più corretto possibile. Di conseguenza, non può
essere sollevato un problema di utilizzabilità
delle trascrizioni, ma si può unicamente eccepire
la mancata corrispondenza tra il contenuto delle
registrazioni e quello risultante dalle
trascrizioni come effettuate (Sez. l, n. 7342 del
06/02/2007, Mangone, Rv. 236361).
I motivi con i quali il ricorrente deduce vizi
motivazionali in merito alla affermata
responsabilità con riferimento ai reati contestati
non sono consentiti nel giudizio di legittimità, in
quanto tendono ad ottenere una inammissibile
ricostruzione dei fatti – e delle dichiarazioni
dell’imputato
mediante
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criteri di valutazione
rappresenta un mezzo di assunzione anticipata della
diversi da quelli adottati dal giudice di merito,
il quale, con motivazione ampia ed esente da vizi
logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del
suo convincimento. Deve ribadirsi il costante
principio giurisprudenziale secondo il quale esula
“rilettura” degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione, la cui valutazione è,
in via esclusiva, riservata al giudice di merito,
senza che possa integrare il vizio di legittimità
la mera prospettazione di una diversa, e per il
ricorrente più adeguata, valutazione delle
risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/42/7/1997, n. 6402, Dessimone, riv. 207944; tra le
più recenti: Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 06/02/2004, Elia, Rv. 229369).
In definitiva, il ricorso di Marinelli Domenico
deve essere dichiarato inammissibile e quello di
Bonaparte Giuseppe deve essere rigettato, con la
conseguenza della condanna di entrambi al pagamento
delle spese processuali e del Marinelli anche, ai
sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di
colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità
emergenti
dal
ricorso,
al
versamento della somma, che si ritiene equa, di
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dai poteri della Corte di cassazione quello di una
euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso di Marinelli
Domenico e rigetta quello di Bonaparte Giuseppe e
condanna entrambi al pagamento delle spese
somma di euro 1000,00 alla cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 15 novembre 2013.
L’estensore
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processuali e il Marinelli anche al pagamento della