Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2885 del 19/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 2885 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: ORILIA LORENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GRIMALDI CAROLINA N. IL 28/11/1951
avverso la sentenza n. 7861/2012 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
21/01/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LORENZO ORILIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ga u,A
che ha concluso per n i

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

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Data Udienza: 19/11/2013

RITENUTO IN FATTO
1 La Corte di Appello di Napoli con sentenza 21.1.2013 – per quanto ancora
interessa – dichiarate prescritte le contravvenzioni in materia edilizia e paesaggistica,
ha confermato la colpevolezza di Grimaldi Carolina per i delitti di cui ai residui capi di
imputazione avvinti dal vincolo della continuazione, costruzione in zona dichiarata di
notevole interesse pubblico (accertata il 21.5.2006), nonchè modificazione dello stato
dei luoghi (accertato il 9.8.2005), esercizio arbitrario delle proprie ragioni, violenza
privata, violazione di domicilio e danneggiamento (accertati il 29.6.2005), reati, questi,

commessi nel corso di una lite tra proprietari confinanti. Ha quindi rideterminato la
pena di giustizia e condannato l’imputata alla rifusione delle spese sostenute dalla
parte civile nel giudizio di impugnazione.
La Corte di merito ha motivato osservando che non ricorrevano le condizioni per la
rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, stante la competenza di quella compiuta in
primo grado, che dalle dichiarazioni della parte lesa e dalla documentazione acquisita
risultava la prova della responsabilità dell’imputata, non ravvisandosi nessuna causa di
giustificazione.
2 Contro questa decisione il difensore dell’imputata ha proposto ricorso per
cassazione deducendo plurime censure.
2.1 Col primo motivo, deduce ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. d) ed e) cpp,
l’omessa assunzione di una prova decisiva e il travisamento della prova, dolendosi in
particolare della mancata escussione degli agenti di Polizia autori dell’identificazione
della persona fotografata nell’atteggiamento intimidatorio finalizzato alla consegna del
rollino fotografico: trattasi, ad avviso della ricorrente, di prova decisiva per escludere
la condotta di cui all’art. 610 cp perché dimostra che la persona ritratta non era lei, ma
sua figlia Di Roberto Giovina.
2.2. Col secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. e) cpp, la
mancanza e contraddittorietà della motivazione in ordine ai reati di cui agli artt. 610,
392 e 632 cp rilevandosi che non vi è prova della violazione degli artt. 610 e 392
essendo oltretutto inverosimile l’introduzione nel sottostante immobile per commettere
la violenza privata e l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Ritiene poi che il reato di
violazione di domicilio debba ritenersi assorbito da quello di cui all’art. 392 cp. Si rileva
poi che per la realizzazione della fattispecie di reato di cui all’art. 632 cp sarebbe stata
necessaria una modificazione dei luoghi di entità tale da determinare conseguenze
dannose sull’integrità dell’immobile e sull’accertamento dei relativi diritti e che al
momento dell’acquisto il finestrino era già murato.
2.3. Col terzo motivo si deduce ancora, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. e) cpp,
la mancanza e contraddittorietà della motivazione in ordine al reato di cui all’art. 392
cp, al mancato riconoscimento della causa di giustificazione. Si rileva in particolare che
il comportamento posto in essere integra una legittima reazione volta a tutelare il

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possesso turbato dalla Ciaccia che, con vero e proprio atto di spoglio, aveva aperto
una vera e propria veduta.
2.4. Col quarto motivo la ricorrente denunzia l’inosservanza dell’art. 82 n. 2 cpp
rimproverando alla Corte di non avere estromesso la parte civile dal giudizio benché
quest’ultima avesse, successivamente alla costituzione
2.5 Con l’ultimo motivo la ricorrente propone il tema della prescrizione del reato
di cui all’art. 632 cp.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La fondatezza del quarto motivo di ricorso – di cui si dirà appresso – consente
di rilevare la prescrizione di tutte le residue condotte delittuose
Dalla sentenza impugnata risulta che l’ultima violazione rilevata, in ordine
cronologico, è quella di cui al capo d) della rubrica, cioè il reato di costruzione in zona
dichiarata di particolare valore paesaggistico (art. 181 comma

1 bis D. Lvo n.

42/2004) e risale al 21.5.2006.
Ebbene, le norme sulla prescrizione entrate in vigore per effetto della legge
5.12.2005 n. 251 (modificative degli artt. 157 e ss cp), senz’altro applicabili alla
fattispecie in esame – in quanto non contengono disposizioni meno favorevoli per
l’imputato, soprattutto con riferimento alla continuazione e al termine massimo per
effetto delle interruzione – prevedono che per i delitti il termine di prescrizione è pari al
massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque non inferiore a sei anni
che, con l’aumento di un quarto per l’interruzione, diventano 7 anni e mezzo (cfr. art.
161 comma 2 cp).
Poiché il delitto in questione è punito con la pena della reclusione da uno a quattro
anni, il termine di prescrizione è di 6 anni,che arriva a 7 anni e mezzo per effetto
dell’interruzione: la prescrizione deve quindi ritenersi maturata alla data odierna
perché al momento dell’accertamento (21.5.2006) l’opera si presentava ormai già
completa e quindi sicuramente ultimata in epoca precedente.
A maggior ragione deve dichiararsi la prescrizione degli altri reati contestati, in
quanto accertati in epoca anteriore alla violazione paesaggistica e soggetti anch’essi, in
base alle citate disposizioni, allo stesso termine di prescrizione in considerazione della
pena edittale per ciascuno di essi prevista.
Devono trovare applicazione i principi di recente ribaditi dalle Sezioni unite (cfr.
Sez. U., Sentenza n. 35490 del 28/05/2009 Ud. dep. 15/09/2009 Rv. 244274),
secondo cui, in presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a
pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 c.p.p., comma 2, soltanto
nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione
del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in
modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve
compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione

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ictu oculi, che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi
necessità di accertamento o di approfondimento. Nel caso di specie, non ricorrendo le
anzidette condizioni, va senz’altro applicata la causa estintiva.

2. Dispone l’art. 578 c.p.p. che il giudice di appello o la Corte di cassazione, nel
dichiarare estinto per amnistia o prescrizione il reato per il quale in primo grado è
intervenuta condanna, sono tenuti a decidere sull’impugnazione agli effetti delle
disposizioni dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili ed a tal fine i
motivi di impugnazione proposti dall’imputato devono essere esaminati

al risarcimento del danno dalla mancanza di prova della innocenza degli imputati
secondo quanto previsto dall’art. 129, secondo comma, cod. proc. pen. c. 2^ c.p.p. (v.
in proposito: cass. Sez. 6, Sentenza n. 3284 del 25/11/2009 Ud. dep. 26/01/2010;
cass. Sez. 6, Sentenza n. 31464 del 08/06/2004 Ud. dep. 16/07/2004; Cass. 3^, sent.
1067 del 20/4/01, Franzan; Cass. 4^, sent. 6742 del 28/5/99, Pizzagalli G. F.).
Nel caso di specie, però, la predetta disposizione non trova applicazione perché,
come si evince dagli atti – che la Corte di Cassazione ben può esaminare in
considerazione della natura procedurale del vizio dedotto col quarto motivo di ricorso la parte civile Ciaccio, durante la pendenza del presente giudizio, ha proposto una
domanda davanti al giudice civile per conseguire la riduzione in pristino e il
risarcimento di tutti i danni, non solo patrimoniali, ma anche morali e da stress: in
considerazione di una tale domanda, proposta sia per l’an che per il quantum, la
costituzione di parte civile si intende dunque revocata ai sensi dell’art. 82 comma 2
cpp, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’Appello che, invece, ha rigettato
l’eccezione applicando una massima giurisprudenziale relativa a tutt’altra ipotesi (cioè
al caso in cui il danneggiato dal reato, esercitata in sede penale l’azione civile ed ivi
ottenuto accoglimento della domanda risarcitoria per ran”, proponga poi davanti al
giudice civile domanda per il “quantum: cfr. Sez. 5, Sentenza n. 12744 del 07/10/1998
Ud. dep. 03/12/1998 Rv. 213416).

P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere i reati estinti per prescrizione.
Così deciso in Roma, il 19.11.2013.

compiutamente, non potendosi trovare conferma della condanna, anche solo generica,

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