Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2882 del 19/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 2882 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: ORILIA LORENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
APOLLONI GIANLUIGI N. IL 16/01/1963
avverso la sentenza n. 1351/2012 CORTE APPELLO di L’AQUILA,
del 15/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LORENZO ORILIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per –

at

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

2

Data Udienza: 19/11/2013

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’Appello di L’Aquila, adita su appello del Pubblico Ministero e
dell’imputato Apolloni Gianluigi, con sentenza 15.3.2013, rigettando parzialmente
l’impugnazione dell’imputato e in accoglimento di quella del Pubblico Ministero, ha
riformato in parte la pronunzia del Tribunale di Chieti, escludendo la circostanza
attenuante di cui all’art. 13 del D. Lvo n. 74/2000 e, concesse all’imputato le
attenuanti generiche, ha rideterminato la pena in mesi quattro di reclusione. Ha

l’imputato era stato ritenuto responsabile per omesso versamento IVA relativa
all’anno 2005, quale legale rappresentante della Lamiere Tecnologiche srl.
Per giungere a tale conclusione la Corte di merito ha rilevato che VIVA relativa al
2005 non fu versata nei termini e che la comunicazione del 2009 fatta all’Erario per
informarlo dell’errore sulla detrazione di un credito già utilizzato per compensare
altre imposte del credito, così come il versamento integrativo delle somme relative
ad IRES e IRAP, costituiva un escamotage per rimediare ad una situazione che
avrebbe avuto risvolti penali. Secondo la Corte di merito non era affatto erronea la
compensazione del credito IVA 2004 con l’IRES e IRAP 2005, ma rispose ad una
scelta effettuata dal gestore della contabilità societaria, non esistendo agli atti
nessuna disposizione con cui l’Apolloni indicò al commercialista di utilizzare il credito
di imposta solo per compensare VIVA del 2005: di conseguenza il consulente non
fece nessun errore di diritto e che si trattò di errore di fatto (nel senso che si fece ciò
che in realtà non si voleva) non risultava dimostrato in alcun modo.
Ha rilevato inoltre che in mancanza di una delega formale non aveva nessun
rilievo scriminante il fatto che il legale rappresentante della società si fosse rivolto ad
uno studio professionale per la gestione della contabilità e delle incombenze
tributarie.
Ha poi ritenuto di accogliere la richiesta di concessione dei doppi benefici di
legge, formulata in subordine dall’appellante.
Esaminando l’appello del pubblico ministero, ha ritenuto che correttamente
dovesse escludersi l’attenuante speciale, non risultando provato che il debito IVA
2005 e le relative sanzioni vennero pagate dalla società dell’imputato.
Conseguentemente, ha disposto le pene accessorie.
2. L’Apolloni tramite il difensore ricorre per cassazione deducendo quattro
motivi
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Evidenti ragioni di priorità logica inducono il Collegio a partire dall’esame del
quarto motivo di ricorso, con cui si deduce l’inosservanza degli artt. 591 e 582 cpp per
omessa presentazione dell’impugnazione del Pubblico Ministero nella cancelleria del

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applicato altresì le pene accessorie in relazione al reato di cui all’art. 10 ter, di cui

giudice (Tribunale di Chieti) che aveva emesso il provvedimento impugnato, mancando
qualunque attestazione in tal senso.
Il motivo è infondato.
Certamente, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il procuratore
della Repubblica, che non intenda avvalersi della possibilità – offerta a tutte le parti
dall’art. 583 – di spedire l’atto di appello, proposto in materia cautelare, a mezzo
telegramma o raccomandata, deve – a pena di inammissibilità – presentarlo nella

circoscrizione è compreso l’ufficio del giudice che ha emesso l’ordinanza, perché solo le
parti private ed i loro difensori hanno, ai sensi del secondo comma dell’art. 582 cod.
proc. pen., la possibilità di presentare l’impugnazione anche nel luogo in cui essi si
trovano (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 38504 del 13/10/2010 Cc. dep. 02/11/2010 Rv.
248917; Sez. 4, Sentenza n. 15674 del 10/02/2004 Cc. dep. 02/04/2004 Rv. 228046;
Sez. 4, Sentenza n. 3265 del 01/06/2000 Cc. dep. 10/08/2000 Rv. 217128).
Nel caso di specie, però, dagli atti del giudizio – il cui esame è senz’altro
consentito in ragione della natura procedurale del vizio dedotto – risulta che l’appello è
stato depositato presso la cancelleria del giudice a quo in data 23.6.2010, come da
timbro apposto sull’originale dell’atto. L’impugnazione era, dunque, ammissibile.
2.1 Passando all’esame degli altri motivi di ricorso rileva la Corte che con il
primo di essi di denunzia la nullità della sentenza per inosservanza o erronea
applicazione degli artt. 43 e 47 cp nonché 10 ter del D. Lvo n. 74/2000 e 2 del DPR n.
322/1998.
Afferma il ricorrente che il superamento della soglia di punibilità (per poco più di
1.000,00 euro) era stato determinato da un errore materiale del proprio
commercialista e che quindi la propria condotta non era sorretta da coscienza e
volontà. Infatti, a fronte di un debito IVA di C. 51.181,00 (quindi di poco superiore alla
soglia di punibilità), la società Lamiere Tecnologiche srl (di cui egli era il legale
rappresentante) vantava un credito IVA di C. 16.781,00 sempre nel 2005 e che tale
credito era stato utilizzato erroneamente dal commercialista per compensare l’IRES e
l’IRAP nonostante la volontà della società fosse nel senso di impiegare l’importo per
compensare parzialmente il debito IVA. Osserva che dopo la notifica della cartella di
pagamento si era venuti a scoprire detto errore e pertanto il commercialista aveva
provveduto nel 2009 a presentare una dichiarazione integrativa predisponendo ed
eseguendo il pagamento degli importi delle imposte sui redditi erroneamente
compensati col credito IVA.
In tal modo – prosegue il ricorrente – il debito IVA per il 2005 da versare entro
il 27.12.2006 si riduceva da C. 51.181,00 a C. 34.400,00, per effetto, appunto, di
compensazione parziale.

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cancelleria del tribunale del luogo nel quale ha sede la corte di appello nella cui

Mancando quindi l’elemento soggettivo del reato, oltre che quello oggettivo, la
punibilità doveva essere esclusa ai sensi dell’art. 47 cp, anche perché sarebbe illogico
ritenere che l’imputato, per appena 1.000,00 euro, abbia deciso di dare rilievo penale
alla propria condotta.
2.2 Con un secondo motivo si denunzia la nullità ò della sentenza per violazione
degli artt. 187, 192 e 194 cpp nonché l’omessa motivazione e/o travisamento dei fatti:
la Corte d’Appello, a dire del ricorrente, avrebbe completamente tralasciato di

ammesso che per un errore del proprio ufficio il credito IVA di C. 16.871,00 era stato
utilizzato in compensazione con il debito relativo alle imposte dirette e che l’intenzione
della società era invece quella di utilizzare detto credito per compensare il debito IVA
scaturente dalle liquidazioni mensili dell’anno 2005. Secondo il ricorrente, dunque, la
prova dell’errore di fatto era stata fornita nel giudizio, contrariamente a quanto
affermato dalla Corte di merito.
2.3 Col terzo motivo il ricorrente deduce la nullità ai sensi dell’art. 606 lett. c)
cpp e la contraddittorietà della motivazione per divergenza tra dispositivo e
motivazione osservando che nella parte motiva conteneva il riferimento alla
concessione dei doppi benefici di legge, mentre invece nel dispositivo nulla si afferma e
rileva che – trattandosi di pronuncia emessa con motivazione contestuale – non era
possibile accertare la reale volontà del giudice, per cui il provvedimento doveva
considerarsi assolutamente anomalo e quindi soggetto ad annullamento con rinvio.
I primi due motivi sono fondati.
Il vizio della motivazione deducibile in cassazione ai sensi del testo novellato
dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen. può essere desunto non solo dal testo del
provvedimento impugnato ma anche da altri atti del processo specificamente indicati,
con la conseguenza che assume rilievo il travisamento della prova, da ritenersi
configurato quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non
esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della
pronuncia (cfr. tra le varie, Sez. 7, Ordinanza n. 27518 del 11/05/2006 Cc. dep.
02/08/2006 Rv. 234604 ; Sez. 2, Sentenza n. 13994 del 23/03/2006 Cc. dep.
20/04/2006 Rv. 233460).
Nel caso di specie, già col secondo motivo di appello era stato dedotto l’errore
del commercialista precisandosi che la circostanza era stata confermata in aula dal
medesimo il quale aveva dichiarato che il proprio ufficio per errore aveva generato una
delega in compensazione utilizzando i 16.781 euro del credito relativo all’anno
precedente per pagare imposte dirette relative al 2004, e che nella relazione a firma
del dott. Ruscetta si affermava l’intenzione della società di utilizzare il credito di C.
16.781,00 indicato in dichiarazione per compensare il debito IVA scaturente dalle
dichiarazioni mensili dell’anno 2005.
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considerare la deposizione resa dal commercialista dott. Ruscetta il quale aveva

La circostanza era senz’altro decisiva perché finalizzata ad escludere l’elemento
psicologico del reato di cui all’art. 10 ter del D. Lvo n. 74/2000, che è costituito dalla
coscienza e volontà dell’agente di sottrarsi all’adempimento dell’obbligazione tributaria
entro la scadenza del termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di
imposta dell’anno successivo.
La Corte d’Appello, però, senza prendere in esame tale circostanza, ha
affermato che non è stato dimostrato in alcun modo l’errore di fatto (nel senso che si

della prova: la sentenza va pertanto annullata con rinvio alla Corte d’Appello di Perugia
che esaminerà la prova rappresentata dalla dichiarazione del commercialista e ne
valuterà la rilevanza.
Resta logicamente assorbita la trattazione del restante motivo (il terzo), anche
se è opportuno chiarire in ogni caso che la regola generale secondo cui, in caso di
difformità, il dispositivo prevale sulla motivazione della sentenza incontra una deroga
nel caso in cui l’esame della motivazione stessa consenta di ricostruire chiaramente ed
inequivocabilmente il procedimento seguito dal giudice, sì da condurre alla conclusione
che la divergenza dipende da un errore materiale, obiettivamente riconoscibile,
contenuto nel dispositivo (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 19462 del 20/02/2013 Ud. dep.
06/05/2013 Rv. 255478; sez. 5, Sentenza n. 8363 del 17/01/2013 Ud. dep.
20/02/2013 Rv. 254820; Sez. 6, Sentenza n. 25704 del 23/05/2003 Cc. dep.
12/06/2003 Rv. 226048).
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Perugia.
Così deciso in Roma, il 19.11.2013.

fece ciò che in realtà non si voleva), incorrendo in tal modo nel vizio di travisamento

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