Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2881 del 19/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 2881 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Iozza Francesco, nato a Gela 1’8.7.1973;
avverso la sentenza emessa il 6 maggio 2013 dalla corte d’appello di Torino;
udita nella pubblica udienza del 19 novembre 2013 la relazione fatta dal
Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Sante Spinaci, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Svolgimento de/processo
Il 20/12/2002 Iozza Francesco venne sorpreso dalla Polizia Giudiziaria in
possesso di 50,5 grammi di cocaina e tratto in arresto. In sede di interrogatorio
di garanzia ammise il possesso dello stupefacente, ma precisò di averlo acquistato per uso personale.
Il Gip del tribunale di Tortona, a seguito di giudizio abbreviato, lo condannò alla pena di anni 3 e mesi 8 di reclusione ed € 12.000,00 di multa per il reato
di cui all’art. 73 d.p.R. 309 del 1990.
Il difensore propose appello chiedendo che venisse riconosciuta la fattispecie di cui al V comma dell’art. 73 Legge 309/90 ed in subordine la concessione delle attenuanti generiche e la riduzione della pena ai minimi edittali. In
sede di dibattimento l’altro difensore chiese che preliminarmente, a sensi
dell’art. 129 c.p.p., l’imputato venisse assolto perché il fatto non sussiste.
La Corte di Appello di Torino, con sentenza del 23.4.2004, riconobbe l’attenuante di cui al V comma e ridusse la pena ad anni 1 e mesi 4 di reclusione ed
€ 2.000,00 di multa.
L’imputato propose personalmente ricorso per cassazione deducendo che
mancava la dimostrazione della destinazione illecita della sostanza stupeface

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Data Udienza: 19/11/2013

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La IV sezione di questa Corte, con sentenza del 14 novembre 2008, annullò con rinvio la sentenza impugnata, osservando: – che nel caso di specie il richiamo al quantitativo della sostanza non aveva una sua rilevanza dimostrativa,
in quanto la finalità della detenzione a scopo di cessione risultava contraddetta
da altri elementi di segno contrario desumibili proprio dalla motivazione della
decisione; – che la determinazione della finalità della detenzione non può che
avvenire in chiave indiziaria e quindi valutando tutte le contingenze del caso
concreto; – che a tal fine l’indagine ricostruttiva, pur dovendo attribuire forte rilievo al dato ponderale ed al numero di dosi ricavabili, non può non attribuire
rilievo ad eventuali emergenze probatorie che spieghino in modo concludente le
ragioni per cui l’agente si sia indotto a detenere, per uso personale, stupefacente
che eccede i bisogni di un breve arco temporale; – che nella specie il riferimento
alle “floride” condizioni economiche del prevenuto e l’assenza di qualsiasi indizio dimostrativo di una potenziale destinazione a terzi della sostanza stupefacente rendeva l’apprezzamento operato dai giudici di merito in senso contrario
del tutto illogico o, quanto meno, gravemente deficitario.
La corte d’appello di Torino, in sede di rinvio, con la sentenza in epigrafe,
confermò la dichiarazione di responsabilità penale dell’imputato e, con le attenuanti generiche, lo condannò alla pena di mesi 6 di reclusione ed € 1.400,00 di
multa, con i doppi benefici.
L’imputato, a mezzo dell’avv. Agostino Goglino, propone ricorso per cassazione deducendo:
1) violazione dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen. Lamenta che la sentenza impugnata ha disatteso il principio di diritto enunciato dalla sentenza di
annullamento, secondo cui il dato ponderale, nel caso di specie, non era di per
sé significativo dell’attività di spaccio, affermando anche che nel caso in esame
la finalità della detenzione a scopo di cessione, risultava contraddetta da altri
elementi di segno contrario desumibili proprio dalla motivazione della decisione. La sentenza di rinvio, invece, ha di nuovo attribuito un significato decisivo
ai fini della determinazione di colpevolezza al dato ponderale e al numero delle
dosi ricavabili ed al fatto che l’imputato non era apparso credibile nella giustificazione della detenzione di un siffatto dato ponderale. Gli unici indizi che, come imposto dalla sentenza di annullamento, il giudice del merito avrebbe dovuto rinvenire ed indicare a sostegno del dato ponderale per ritenere, al di là di
ogni ragionevole dubbio che la cocaina fosse anche destinata a terzi, sono indicati dalla sentenza impugnata nel fatto che la vendita sarebbe avvenuta da parte
di un cittadino extracomunitario “appena conosciuto” che aveva proposto a Tozza l’affare dell’acquisto in blocco e nel fatto che questi non avrebbe chiesto assicurazione “sulla bontà della sostanza”. Si tratta ictu ocu/i di indizi quantomeno
neutri che sono ben lontani da quei gravi, precisi e concordanti indizi richiesti
dalla sentenza di annullamento.
2) inosservanza dell’art. 129, comma 1, cod. proc. pen. Lamenta che la corte d’appello è nuovamente incorsa nell’errore di ritenere che per potersi far luogo all’applicazione dell’art. 129 sarebbe stata necessaria l’evidenza della prova
dell’innocenza dell’imputato. Al contrario, secondo la giurisprudenza, “l’obblig

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te.

del giudice di assolvere, per motivi di merito, l’imputato
a norma dell’art. 129
— non esige che la di lui innocenza risulti evidente prima facie; infatti “il criterio dell’evidenza della ragione di proscioglimento rileva, ai sensi del capoverso
della citata disposizione, solo allorché, ricorrendo già una causa di estinzione
del reato, si possa fare luogo all’assoluzione nel merito”.
Motivi della decisione
Il ricorso è fondato perché effettivamente la sentenza impugnata ha, in violazione dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen., disatteso il principio di diritto
enunciato dalla sentenza di annullamento, la quale aveva statuito che nel caso di
specie il dato ponderale non era di per sé significativo dell’attività di spaccio, ed
aveva affermato altresì che la finalità della detenzione a scopo di cessione risultava nel caso in esame contraddetta da altri elementi di segno contrario desumibili proprio dalla motivazione della decisione. Non erano infatti emersi altri elementi che potessero comprovare l’esercizio di attività di spaccio da parte
dell’imputato, quali il possesso di materiale da confezionamento o bilancini; dichiarazioni accusatorie od indizianti di terzi od esiti di intercettazioni od appostamenti. Inoltre, la stessa sentenza impugnata aveva fatto riferimento alle «floride» condizioni economiche dell’imputato, ed al fatto che questi aveva destinato all’acquisto della droga la somma di € 3.000,00, cioè i due terzi dei suoi introiti mensili. La sentenza di annullamento aveva quindi evidenziato che il richiamo al quantitativo della sostanza non aveva «in questo caso, una sua rilevanza dimostrativa in grado di reggere al vaglio di legittimità, in quanto la finalità della detenzione a scopo di cessione risulta contraddetta da altri elementi di
segno contrario».
Al giudice del rinvio, quindi, era demandato di individuare degli indizi che
avessero criteri di certezza che addirittura contrastassero quelli segnalati dalla
precedente sentenza di appello che erano stati ritenuti “di segno contrario” rispetto all’ipotesi della detenzione finalizzata alla cessione.
Sennonché, nella sentenza impugnata, in contrasto col detto principio di
diritto, il dato ponderale e il numero delle dosi ricavabili hanno nuovamente assunto, come per la precedente, un significato decisivo ai fini della determinazione di colpevolezza. Nella sentenza impugnata infatti si legge (pag. 4) « … la
rilevanza dell’elevato dato ponderale detenuto, sia in termini assoluti di principio attivo, sia di dosi giornaliere ricavabili…» ed ancora, apoditticamente «né
l’imputato appare credibile nella giustificazione della detenzione di un siffatto
dato ponderale», e poi «il dato ponderale ed il contesto fattuale in cui si colloca la vicenda…».
La sentenza impugnata pone quindi in rilievo la sproporzione tra la quantità di stupefacente acquistata ed il modesto consumo riconosciuto dall’imputato
senza considerare l’assunto difensivo che il fatto era avvenuto il 20 di dicembre
e che si prospettavano in prosieguo numerosi giorni di vacanza e possibili viaggi.
Gli unici indizi che, come imposto dalla sentenza di annullamento, la corte
d’appello avrebbe dovuto rinvenire ed indicare a sostegno del dato ponderale
per ritenere provato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la cocaina fosse
anche destinata a terzi sono indicati nel fatto che la vendita sarebbe avvenuta da

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-4 parte di un cittadino extracomunitario “appena conosciuto” che aveva proposto
a Tozza l’affare dell’acquisto in blocco e nel fatto che l’imputato non avrebbe
chiesto assicurazione “sulla bontà della sostanza”. Si tratta di motivazione manifestamente illogica perché tali indizi sono, con tutta evidenza, quanto meno
neutri e non già gravi, precisi e concordanti. Non è del resto spiegato perché costituirebbe una rilevante (e decisiva) stranezza il fatto che l’imputato, intendendo fare scorta di stupefacente, quella sera si fosse munito di una somma rilevante ed avesse acquistato la cocaina da un soggetto prima sconosciuto. E’ poi manifestamente illogico il riferimento alla mancata verifica della bontà della sostanza, quasi che, se destinata al proprio consumo, la sostanza avrebbe potuto
anche essere pessima.
Inoltre, dalla sentenza di primo grado si ricavavano sia le capacità economiche dello Tozza, sia che questi era un consumatore di stupefacenti, laddove a
pag. 3 si afferma che egli era già conosciuto dalla polizia «quale assuntore di
sostanze stupefacenti».
In conclusione, esattamente il ricorrente lamenta che la corte d’appello non
si è attenuta a quella cornice probatoria delineata dalla sentenza di annullamento.
E’ fondato anche il secondo motivo perché la sentenza di rinvio è nuovamente incorsa nell’errore commesso dalla precedente sentenza, laddove ha ritenuto che, poiché i motivi di appello non contenevano la richiesta di assoluzione,
per potersi far luogo all’applicazione dell’art. 129 cod. proc. pen. sarebbe stata
necessaria l’evidenza della prova dell’innocenza dell’imputato. La sentenza impugnata invero afferma ( a pag. 5) «sicché nella vicenda non è certo possibile
assumere una decisione di NdP ex art 129 c.p.p. cpv, come richiesto dall’odierno appellante, rispetto ad una asserita evidenza della prova di insussistenza de/fatto di spaccio, nella consapevolezza che l’originaria impugnazione era
limitata alla richiesta del riconoscimento della lievità del fatto ed al trattamento sanzionatorio, non estendendosi ad una richiesta di assoluzione».
Si tratta di affermazione erronea, perché la giurisprudenza di questa Corte
ha precisato che «Il proscioglimento nel merito, a norma dell’art. 129 cpv. cod.
proc. pen. si impone non solo quando, in presenza di una causa estintiva del
reato, già sia acquisita la prova dell’imputato, ma anche qualora manchi del
tutto la prova della colpevolezza» (Sez. VI, 3.5.1992, n. 9527, Giambartolomei,
m. 188191); che «In tema di immediata declaratoria di determinate cause di
non punibilità ex art. 129 cod. proc. pen., deve ritenersi che l’obbligo di assolvere per motivi di merito l’imputato non esige che la sua innocenza risulti del
tutto evidente “prima facie”, perché l’estraneità dell’imputato al fatto può anche
costituire la conclusione logico-giuridica dell’esame degli atti, esame che è pur
sempre indispensabile per pervenire al riconoscimento di una conforme situazione processuale» (Sez. V, 10.4.1992, n. 7245, Brotto, m. 190985); invero, «il
criterio dell’evidenza della ragione di proscioglimento rileva, ai sensi del capoverso della citata disposizione, solo allorché, ricorrendo già una causa di estinzione del reato, si possa fare luogo all’assoluzione nel merito» (Sez. IV,
28.3.1995, n. 5084, Lencioni, m. 201627).
La sentenza impugnata deve dunque essere annullata con rinvio ad altra

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sezione della corte d’appello di Torino.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Torino.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 19
novembre 2013.

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