Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28804 del 22/06/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 28804 Anno 2016
Presidente: DE CRESCIENZO UGO
Relatore: SGADARI GIUSEPPE

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
Maiorano Vittorio, nato a Campagna il 29/03/1950,
avverso l’ordinanza del 26/05/2015 della Corte di Appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione della causa svolta dal consigliere Giuseppe Sgadari;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto
Procuratore generale M.Francesca Loy, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità
del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1.Con l’ordinanza in epigrafe, la Corte di Appello di Napoli dichiarava
inammissibile la richiesta di revisione ex art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc.
pen., avanzata nell’interesse del ricorrente in relazione alla sentenza emessa nei
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Data Udienza: 22/06/2016

suoi confronti dalla Corte di Appello di Salerno il 30/11/2011, irrevocabile il
25/10/2013, che lo aveva condannato per il reato di estorsione continuata ed
aggravata ai sensi dell’art. 629, commi 1 e 3 cod.pen. e dell’art. 7 legge 12
luglio 1991 n. 203, commesso negli anni 1991 e 1992.
2. La Corte, dopo avere elencato i documenti allegati a giustificazione della
richiesta, riteneva che essi, nonostante il carattere di novità rispetto a quanto già
oggetto del giudizio di merito, non potessero condurre al proscioglimento

2.1 In primo luogo, doveva escludersi che il ricorrente potesse ritenersi estraneo
alla consumazione del reato – quale percettore materiale del pizzo per conto del
clan camorristico Maiale, estorto all’imprenditore Verde Emilio, rappresentante
della Bengoa s.p.a. – per il fatto che, nello stesso torno di tempo in cui era stato
commesso il reato, egli era contemporaneamente soggetto ad estorsione da
parte dello stesso clan e parte offesa di una truffa che il Verde aveva posto in
essere nei suoi confronti non adempiendo al pagamento di una fornitura di
calcestruzzo ricevuta dal medesimo Maiorano.
L’assunto difensivo, sostenuto dalla querela per truffa sporta da quest’ultimo
contro il Verde, non poteva ritenersi idoneo a scardinare la sentenza di
condanna, avuto riguardo al tenore delle inequivocabili prove emerse nei giudizi
di merito, che avevano per l’appunto consacrato il ruolo del ricorrente quale
percettore del pizzo pagato dal Verde e che poi il Maiorano provvedeva a
consegnare ai sodali mafiosi, a nulla valendo che egli fosse stato in ipotesi
truffato dal Verde con riguardo ad autonomi rapporti commerciali intercorrenti
con costui e fosse stato, al contempo, anch’egli, quale imprenditore
commerciale, oggetto di imposizioni mafiose da parte del medesimo clan Maiale.
2.2 In secondo luogo, i documenti prodotti dalla difesa e relativi al contratto di
fornitura di calcestruzzo dal Maiorano al Verde, non dimostrerebbero che il reato
si fosse consumato in epoca precedente al 1991 e, per questo, dovendosi
escludere l’aggravante di cui all’art. 7 L. n. 203 del 1991, non ancora introdotta
nell’ordinamento giuridico, fosse caduto in prescrizione.
Infatti, secondo la Corte di Appello, sebbene le prove addotte dal ricorrente
potessero fare ipotizzare che la sua attività di percezione del pizzo dal Verde
fosse iniziata nel 1990, essa era sicuramente continuata fino al maggio del 1992,
secondo quanto emerso nei giudizi di merito.
3.

Ricorre per cassazione il Maiorano, nel suo stesso interesse, deducendo

violazione di legge e vizio della motivazione del provvedimento impugnato.
Secondo il ricorrente, la Corte di Appello avrebbe superato i limiti della
valutazione prognostica affidatale dalla legge in ordine alla valutazione di
ammissibilità dell’istanza di revisione, adottando valutazioni con riguardo alla
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dell’imputato.

consistenza probatoria dei nuovi elementi addotti a favore del ricorrente, che
avrebbero dovuto essere rimessi al merito del giudizio di revisione.
3.1 In primo luogo, il ricorrente contesta che il suo ruolo di esattore materiale
del pizzo corrisposto dal Verde al clan Maiorano, potesse convivere con il
contemporaneo ruolo di soggetto estorto dal medesimo clan, circostanza,
quest’ultima, inconfutabilmente emersa nei giudizi di merito.
Le nuove prove addotte dalla difesa – in particolare la denunzia per truffa

potuto incassare alcuna rata del pizzo dal Verde, dal momento che questi si era
reso irreperibile in contemporanea con il mancato pagamento della fornitura di
calcestruzzo (dal gennaio del 1991, fg. 10 del ricorso), essendo illogico, del
resto, che il ricorrente potesse ottenere la tangente mafiosa dal Verde e non il
pagamento delle proprie commesse dal medesimo soggetto.
3.2 In secondo luogo, il ricorrente censura la decisione della Corte di Appello
sostenendo di aver dato prova che il momento in cui aveva avuto inizio
l’estorsione, doveva datarsi al marzo del 1990 – epoca della riunione tenutasi
per discutere la questione cui avrebbe partecipato l’imputato – sulla base dei
documenti nuovi allegati all’istanza dì revisione. Ben prima, dunque,
dell’emanazione del D.L. 152 del luglio del 1991, che aveva introdotto
l’aggravante dell’art. 7, la quale, quindi, non avrebbe potuto essere contestata,
nemmeno ad una condotta ipoteticamente protrattasi successivamente alla sua
introduzione; con l’effetto che il reato, esclusa tale aggravante, si sarebbe
prescritto in data antecedente alla conclusione del giudizio di merito.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.
1.Deve sottolinearsi che la Corte di Appello, con il provvedimento impugnato,
non ha travalicato i propri poteri di valutazione in ordine all’ammissibilità
dell’istanza di revisione.
Infatti, secondo quanto prevede l’art. 631 cod. proc. pen., “gli elementi in base
ai quali si chiede la revisione devono, a pena di inammissibilità della domanda,
essere tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto
a norma degli artt. 529, 530 o 531”.
Richiamando correttamente la giurisprudenza di legittimità formatasi in ordine a
tale norma – e sottolineando che la revisione costituisce un mezzo di
impugnazione straordinario – la Corte di Appello ha escluso anche il ragionevole
dubbio che le allegazioni documentali difensive, pur nuove nei limiti appresso
evidenziati, fossero capaci di scardinare l’impianto accusatorio che aveva
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dell’ottobre del 1992 – avrebbero, peraltro, provato che il Maiorano non avrebbe

condotto alla condanna irrevocabile dell’imputato per concorso nel reato di
estorsione pluriaggravato.
Infatti, si deve precisare che per l’ammissibilità della richiesta di revisione basata
sulla prospettazione di una nuova prova, il giudice deve valutare non solo
l’affidabilità della stessa, ma anche la persuasività e congruenza nel contesto
probatorio già acquisito nel giudizio di cognizione, del quale occorre quindi
identificare il tessuto logico-giuridico.

capacità delle allegazioni a travolgere, anche nella prospettiva del ragionevole
dubbio, il giudicato (Sez. 2, n. 11453 del 10/03/2015, Riselli, Rv. 263162; Sez.
1, n. 20196 del 05/03/2013, Scimone, Rv. 256157).
Pertanto, la Corte di Appello bene ha fatto a richiamare il contenuto delle
sentenze di merito emesse nei confronti del ricorrente, al fine di individuarne il
“tessuto logico-giuridico” necessario per valutare la portata dei nuovi elementi
addotti dalla difesa con l’istanza di revisione.
1.In primo luogo, infatti, la Corte evidenziava che le sentenze di merito avevano
espressamente affrontato e risolto “in modo lungamente argomentato”,
l’apparente conflitto logico tra l’assunzione da parte del ricorrente della funzione
di materiale percettore del pizzo estorto al Verde dal clan Maiale e ad esso
destinato, da quella di soggetto a sua volta estorto dal medesimo clan con
riguardo alla sua attività di imprenditore.
Riportando, a fg. 9 del provvedimento impugnato, un corposo passaggio della
sentenza del Tribunale di Salerno che metteva in luce quali fossero le
caratteristiche, invero piuttosto frequenti in tali sistemi di relazione tra mafiosi e
imprenditori, del rapporto che legava il Maiorano al clan Maiale; che aveva
portato ad identificare il ricorrente come concorrente esterno nel reato di cui
all’art. 416 bis cod.pen., imputazione che gli era stata elevata nel processo di
merito e che era “caduta” solo per intervenuta prescrizione.
E l’assunzione di tale ruolo non impediva che egli potesse essere a sua volta
estorto dal clan malavitoso – in ossequio ad una regola indefettibile subita da
tutti gli imprenditori, anche quelli “vicini” all’organizzazione – secondo il coerente
giudizio espresso nella opportuna sede.
Dunque, sotto questo profilo, nessun elemento di seria novità poteva rinvenirsi
nelle allegazioni a sostegno della richiesta di revisione.
Il che serviva a sostenere logicamente che il Maiorano potesse essere stato, al
contempo, estorsore del Verde e vittima di truffa da parte del medesimo, con
riguardo a forniture di calcestruzzo effettuate sulla base di un rapporto
intercorrente con lo stesso Verde e provato sulla base delle prove, questa volte
nuove, offerte dalla difesa.
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Essendo, invece, riservata alla fase del merito ogni valutazione sull’effettiva

Infatti, la Corte di Appello, oltre a segnalare che tale assunto era di “unilaterale
provenienza” (come dimostrato dal fatto che la querela non aveva consentito
l’apertura di un procedimento penale a carico del Verde, secondo quanto allegato
dal medesimo ricorrente), confutava la tesi difensiva in maniera specifica,
sostenendo, con argomentazioni non sindacabili in questa sede poiché di puro
merito, che i due rapporti si muovessero comunque su piani differenti, proprio
perché i vantaggi della vicinanza al clan da parte dell’imprenditore Maiorano non

pizzo nei confronti dell’organizzazione camorristica.
2.

In secondo luogo, la Corte di Appello escludeva, sulla base di precisi

riferimenti processuali, che la condotta del ricorrente potesse essersi arrestata in
epoca antecedente al maggio del 1991, allorquando era stata introdotta
l’aggravante dell’art. 7 per effetto del D.L. n. 152 del 13/05/1991, convertito
nella legge 12 luglio 1991 n. 203.
Tali dati, idonei ad abbattere la rilevanza delle allegazioni difensive sul punto, la
Corte rinveniva nelle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Del Vecchio Pietro
e Notargiacomo Carmine, riportate a fg. 7 del provvedimento impugnato e dei
quali il ricorrente non fa menzione, così dimostrando la genericità del suo
assunto.
Tali collaboranti avevano, infatti, precisato che i pagamenti mensili del pizzo da
parte del Verde, avvenuti con regolarità, si erano procrastinati fino al maggio del
1992, epoca dell’arresto di Maiale Giovanni; la consegna avveniva nelle mani del
Ma iora no.
D’altra parte, la Corte sottolineava, in altro passaggio della motivazione ed a
confutazione di altro argomento difensivo, che nella stessa querela del ricorrente
si traeva il fatto che il Verde non si fosse reso irreperibile se non in epoca
successiva al luglio del 1992 (fg. 7 dell’ordinanza impugnata); così rendendo, al
contempo, compatibile tale dato con quanto affermato dai pentiti ed
inconsistente la tesi difensiva volta a retrodatare tale irreperibilità al gennaio del
1991 (fg.10 del ricorso), al fine di far ritenere inverosimile la consegna del pizzo
al Maiorano da parte della vittima da quel momento in poi.
La ricostruzione in punto di fatto operata dalla Corte di Appello risulta immune
da censure logico-giuridiche rilevabili in questa sede.
3. Per il che, essendosi la condotta illecita del Maiorano protrattasi fino al maggio
del 1992, ad essa era applicabile l’aggravante di cui all’art. 7 L. n. 203 del 1991,
ritenuta sussistente nel giudizio di cognizione.
Infatti, non può trovare accoglimento la tesi difensiva secondo cui, avendo avuto
inizio l’estorsione nel 1990 – come ammesso anche dalla Corte di Appello –

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prevedevano il fatto che costui fosse esentato a sua volta dal pagamento del

attraverso la pattuizione del pizzo, non avrebbe potuto essere contestata una
aggravante introdotta successivamente nell’ordinamento giuridico.
Deve osservarsi che l’incontestata strutturazione dello specifico reato estorsivo in
esame attraverso il pagamento da parte della persona offesa di rate di pizzo a
cadenza mensile, porta a ritenere che il delitto abbia assunto il carattere del
reato a consumazione prolungata o progressiva; categoria giuridica che si è
enucleata, nella giurisprudenza di legittimità, con particolare riguardo al reato di

somministrate in tempi diversi (cfr., fra le tante, Sez. 5 n. 4919 del 05/11/2010,
dep. 2011, Calabrese, Rv. 249249).
Nel qual caso, è pacifico che il reato deve intendersi consumato (per esempio
anche ai fini del calcolo della prescrizione), al momento della percezione
dell’ultima contribuzione o di compimento dell’ultimo atto (Sez. 2, n. 6864 del
11/10/2015, Alongi, Rv. 262601).
Stante l’assoluta omogeneità concettuale, tali decisioni possono essere applicate
al caso in esame.
Ne consegue che, dovendosi ritenere consumata l’estorsione commessa dal
Maiorano al maggio del 1992, ad essa era applicabile la normativa di cui alla
legge n. 203 del 12 luglio del 1991, che aveva introdotto l’aggravante ad effetto
speciale di cui all’art. 7 siccome contestata al ricorrente nel giudizio di
cognizione.
Cosi come, allo stesso modo, la Corte di cassazione, in tema di truffa a
consumazione prolungata prima ricordata, ha ritenuto configurabile la
responsabilità dell’ente nel cui interesse o vantaggio è stato commesso il reato ai
sensi del D.L.gs. n. 231 del 2001, qualora anche l’ultima erogazione sia stata
percepita dopo l’entrata in vigore del suddetto decreto (Sez. 2, n. 28683 del
09/07/2010, Battaglia, Rv. 247671).
Pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con consequenziale condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deliberato in Roma, udienza in camera di consiglio del 22 giu,
Il Consigliere estensore
Giuseppe Sgadari

Il Pres e -Ugo-Cf

116.

truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche suddivise in più rate

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