Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28803 del 22/06/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 28803 Anno 2016
Presidente: DE CRESCIENZO UGO
Relatore: SGADARI GIUSEPPE

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
Ragazzi Riccardo, nato a Faenza 1’08/08/1975,
avverso la sentenza del 01/10/2015 del Tribunale di Ravenna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione della causa svolta dal consigliere Giuseppe Sgadari;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto
Procuratore generale Piero Gaeta, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale di Ravenna, su concorde richiesta delle
parti, applicava al ricorrente, ex art. 444 cod. proc. pen., la pena di anni due,

1

Data Udienza: 22/06/2016

mesi sei di reclusione ed euro 600,00 di multa, in relazione a vari reati tra i quali
quello più grave di tentata estorsione.
2.Ricorre per cassazione l’imputato, nel suo stesso interesse, deducendo
violazione di legge per non avere il Tribunale valutato l’effettiva congruità della
pena applicatagli.

Il ricorso è manifestamente infondato.
Secondo l’orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, nel ricorso per
cassazione, avverso sentenza che applichi la pena nella misura patteggiata tra le
parti, non è ammissibile proporre motivi concernenti la misura della pena, a
meno che si versi in ipotesi di pena illegale (che, nella specie, non si rileva).
La richiesta di applicazione della pena e l’adesione alla pena proposta dall’altra
parte integrano, infatti, secondo la giurisprudenza di legittimità condivisa dal
Collegio, un negozio di natura processuale, il quale, una volta perfezionato con la
ratifica del giudice che ne ha accertato la correttezza, non è revocabile
unilateralmente, sicché la parte che vi ha dato origine, o vi ha aderito e che ha
così rinunciato a far valere le proprie difese ed eccezioni, non è legittimata, in
sede di ricorso per cassazione, a sostenere tesi concernenti la congruità della
pena, in contrasto con l’impostazione dell’accordo al quale le parti processuali
sono addivenute (Sez. 3, n. 10286 del 13/02/2013, Matteliano, rv. 254980; Sez.
3, n. 18735 del 27.3.2001, rv. 219852).
Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila/00 alla
Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso
ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 2.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deliberato in Roma, udienza in camera di consiglio del 22.06.2016.

CONSIDERATO IN DIRITTO

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