Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28800 del 10/06/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 28800 Anno 2016
Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: IMPERIALI LUCIANO

Data Udienza: 10/06/2016

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PAONESSA FORTUNATO DANILO, nato a Messina il 04/01/1974
avverso l’ordinanza n. 178/2016 del TRIBUNALE del RIESAME di MILANO,
del 22/02/2016

sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. LUCIANO IMPERIALI;
udito il P.G. dott. STEFANO TOCCI, che ha concluso per inammissibilità del ricorso

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RITENUTO IN FATTO
1. il Tribunale del riesame di Milano con ordinanza del 22/2/2016 ha confermato
l’ordinanza del 18/1/2016 con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di
Milano disponeva applicarsi la misura coercitiva della custodia cautelare in carcere nei confronti
dì Paonessa Fortunato Danilo in relazione a due ipotesi di reato di cui agli artt. 99, 110 cod.
pen. e 12 quinques legge 356/1992 e ad un’ipotesi di estorsione aggravata.
Le contestazioni di cui all’art. 12 quinques I. 356/1992 si riferivano a due operazioni

intestato alla società “IN-HOC SRL” dì Greco Raffaele, della quale però si ritiene socio di fatto il
Paonessa, esercizio poi passato nei primi mesi del 2013 nella disponibilità di fatto dei
coindagati Barbaro Rocco Francesco e Grillo Giuseppe, con la complicità di Barbaro Antonio,
nipote incensurato di Rocco Barbaro, che il 16/7/2013 acquistava formalmente il bene
intestandolo alla “AB RISTORAZIONE SRL”, da lui appositamente appena costituita, operazione
che si sostiene diretta e controllata in maniera occulta da Barbaro Rocco, con la complicità del
figlio Barbaro Francesco, del cognato Grillo Giuseppe e del nipote Barbaro Antonio (capo 2).
Meno di in anno dopo, con la seconda operazione, conclusasi il 5/4/2014, l’esercizio tornava
nella disponibilità di Paonessa Fortunato, che ne riacquistava la proprietà intestandolo questa
volta, però, non più a Greco Raffaele, bensì a Martorano Domenico, che con il solo versamento
della quota capitale di diecimila euro acquistava la titolarità della “AB RISTORAZUIONBE S.r.l.”
(capo 3). Quanto al reato di estorsione aggravata, questo veniva contestato al Paonessa come
commesso ai danni di Favara David Antonio, costretto a corrispondergli la somma di 20.000
euro in diverse tranches con la consegna di contanti o tramite assegni.
2. Il Paonessa propone ricorso per cassazione chiedendo l’annullamento dell’ordinanza del
Tribunale del riesame ed a tal fine deduce, con un unico, articolato motivo di impugnazione, la
violazione dell’art. 273 cod. proc. pen. in relazione all’art. 12 quinques I. 356/1992 ed altresì in
relazione all’art. 629 comma 2 cod. pen.: sotto il primo profilo, assume il ricorrente che
l’ordinanza gli avrebbe erroneamente attribuito la piena contezza della figura criminale di
Barbaro Rocco, avrebbe collegato in modo illogico ed apodittico l’espressione “non mi posso
intestare neanche una pera” profferita dal Paonessa ai procedimenti penali per reati di stampo
mafioso piuttosto che ai provvedimenti interdittivi all’esercizio di attività commerciali
conseguenti a condanna per bancarotta fraudolenta, e si sarebbe limitata a valorizzare
l’interessamento di soggetti asseritamente dissimulati per ritenere che questi fossero i
proprietari di fatto ed esclusivi del bene, circostanza che si assume indimostrata, così come si
assume indimostrato anche il dolo specifico dell’intento di eludere gli effetti di una misura di
prevenzione patrimoniale. In ordine al reato di estorsione aggravata, il ricorrente assume che
dalle conversazioni intercettate non emergerebbe alcun

metus della persona offesa, che

peraltro non ha negato di dovere la corresponsione della somma di denaro in favore del
Paonessa, con affermazione che si censura sia stata sminuita dalla corte che, invece, ha tratto
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aventi ad oggetto un esercizio commerciale, il bar Vecchia Milano, sino al mese di luglio 2013

da essa conferma del clima di intimidazione di cui sarebbe rimasta vittima la stessa persona
offesa, pur nel difetto di una ingiustizia della pretesa creditoria avanzata dal ricorrente.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, in quanto si discosta dai parametri dell’impugnazione di
legittimità stabiliti dall’art. 606 cod. proc. pen..
Giacché il ricorrente contesta la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati

provvedimenti adottati dal giudice del riesame dei provvedimenti sulla libertà personale.
Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, infatti, l’ordinamento non
conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali
delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di
riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento
delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti
rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione
della misura cautelare, nonché del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità sui punti
devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il
testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui
presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) – l’esposizione delle ragioni
giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) – l’assenza di illogicità evidenti, ossia
la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (Sez. 6 n.
2146 del 25.05.1995, Tontoli, Rv. 201840; sez. 2 n. 56 del 7/12/2011, Rv. 251760). Inoltre il
controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi
della libertà personale è diretto a verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica
dell’apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile
colpevolezza dell’indagato e, dall’altro, la valenza sintomatica degli indizi. Tale controllo,
stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli
apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e la
concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata,
coerente ed esente da errori logici e giuridici. In particolare, il vizio di mancanza della
motivazione dell’ordinanza del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza
non può essere sindacato dalla Corte di legittimità, quando non risulti “prima facie” dal testo
del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della sufficienza e della
razionalità della motivazione sulle questioni di fatto. (Sez. 1 n. 1700 del 20.03.1998, Barbaro,
Rv. 210566).
Tanto precisato, nel caso di specie deve rilevarsi che il provvedimento impugnato non
presenta i vizi denunciati con il ricorso, atteso che il giudizio ricostruttivo del fatto e gli
apprezzamenti del giudice di merito circa la rilevanza e la concludenza del materiale probatorio
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ascrittigli, giova preliminarmente ricordare i limiti di sindacabilità da parte di questa Corte dei

acquisito risultano coerenti ed esenti da errori logici e giuridici. In particolare, il Tribunale del
riesame ha adeguatamente argomentato valutato le due operazioni di interposizioni fittizie che
si assumono avere avuto ad oggetto il bar Vecchia Milano, sino al mese di luglio 2013 intestato
alla società “IN-HOC SRL” di Greco Raffaele, della quale era però socio di fatto il Paonessa, e
poi passato nei primi mesi del 2013 nella disponibilità di fatto dei coindagati Barbaro Rocco e
Barbaro Francesco e del predetto Grillo Giuseppe, indiziati di far parte della famiglia Barbaro
“Castanu”, con la complicità di Barbaro Antonio, nipote incensurato di Rocco Barbaro, che il
16/7/2013 acquistava formalmente il bene intestandolo alla “AB RISTORAZIONE SRL”, da lui

Rocco, con la complicità del figlio Barbaro Francesco, del cognato Grillo Giuseppe e del nipote
Barbaro Antonio (capo 2). Si assume nell’ordinanza, inoltre, che meno di in anno dopo il primo
acquisto, a seguito dell’emersione di indagini relative ai Barbaro, con la seconda operazione,
conclusasi il 5/4/2014, l’esercizio sarebbe tornato nella disponibilità di Paonessa Fortunato, che
ne riacquistava la proprietà intestandolo, però, questa volta non più a Greco Raffaele, bensì a
Martorano Domenico, che con il solo versamento della quota capitale di diecimila euro
acquistava la titolarità della “AB RISTORAZUIONBE S.r.l.” (capo 3).
Contrariamente all’assunto del ricorrente, poi, con argomentazioni prive di vizi logici e,
pertanto, incensurabili in questa sede, il Tribunale del riesame ha congruamente argomentato
sulla piena consapevolezza, da parte del Paonessa, della caratura criminale di Barbaro Rocco,
anche alla luce delle modalità di gestione delle difficoltà inerenti la retrocessione del bene,
impostagli dal Barbaro con la convocazione in Calabria di Grieco Raffaele al fine di convincere
lo stesso ricorrente, con modalità intimidatorie, ad accettare tale retrocessione a condizioni per
lui del tutto sfavorevoli.
L’ordinanza impugnata, poi, rileva che il Paonessa è stato di recente raggiunto da
ordinanza di custodia cautelare per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen., perché ritenuto
partecipe della ndrangheta, ed in particolare della cosca Pesce-Bellocco di Rosarno, sicché la
stessa ordinanza deve ritenersi immune da vizi logici laddove attribuisce la frase “non mi posso
intestare neanche una pera” al timore di misure di prevenzione patrimoniale per procedimenti
penali per reati di stampo mafioso piuttosto che alle conseguenze di una condanna per
bancarotta fraudolenta che, peraltro, non risulta dedotta nel ricorso dinanzi al Tribunale del
riesame.
Anche le censure inerenti la gravità degli indizi di colpevolezza in ordine al reato di
estorsione aggravata coinvolgono, peraltro con contestazioni generiche, il giudizio ricostruttivo
del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito in ordine alla concludenza dei risultati delle
intercettazioni telefoniche ed ambientali, dettagliatamente riferite nell’ordinanza medesima,
dalle quali sono emerse le intimidazioni rivolte alla persona offesa Favara David Antonio per
ottenere il pagamento di una somma di 20.000 euro senza alcun fondamento giuridico„ fino a
costringerlo alla vendita di un’autovettura per corrispondere tale somma. Il ricorrente contesta
l’insussistenza della pretesa creditoria senza nemmeno dedurre, però, il possibile fondamento
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appositamente appena costituita, operazione che è apparsa diretta e controllata da Barbaro

giuridico di questa, con censura, pertanto, inammissibile perché priva dei requisiti prescritti
dall’art. 581, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. in quanto, a fronte di una motivazione
dell’ordinanza impugnata logicamente corretta, non indica gli elementi che sono alla base della
censura formulata, così non consentendo al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi
mossi ed esercitare il proprio sindacato. Del resto, con una ricostruzione dei fatti priva di
illogicità evidenti, l’ordinanza impugnata ha riconosciuto che la persona offesa, pur
palesemente intimidita ed intenzionata a minimizzare gli episodi, ha comunque fornito
fondamentali elementi di riscontro all’ipotesi accusatoria, riconoscendo la sua voce nelle

esplicite pressioni del Paonessa al riguardo.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile
il ricorso, la parte privata che lo ha proposto, sussistendo profili di colpa, va condannata al
pagamento delle spese del procedimento e della somma di €1.000,00 in favore della Cassa
delle Ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.500 alla Cassa delle Ammende
Si provveda a norma dell’art. 94 disp. Att. cod. proc. pen.

Così deciso nella camera di consiglio del 10 giugno 2016

Il Consigliere estensore

Il Presidente

conversazioni intercettate, così come di aver venduto la sua autovettura a seguito delle

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