Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2880 del 19/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 2880 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da De Rosa Agata, nata ad Avellino il 27.7.1958;
avverso la sentenza emessa 1’11 dicembre 2012 dal giudice di pace di Avellino;
udita nella pubblica udienza del 19 novembre 2013 la relazione fatta dal
Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Sante Spinaci, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
Svolgimento del processo
Il giudice di pace di Avellino condannò De Rosa Agata alla pena ritenuta
di giustizia, oltre al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile,
per il reato di lesioni personali colpose cagionate a Sica Carmen – ed attestate da
certificazione ospedaliera – per colpa consistita nel mal governo del suo cane
che aveva morso la Sica al braccio sinistro. Il giudicante dette conto del proprio
convincimento, circa la ritenuta colpevolezza dell’imputata osservando: a) che
le dichiarazioni rese in dibattimento dalla parte lesa, circa l’individuazione del
cane e la sua appartenenza alla casa dell’imputata, avevano trovato riscontro in
quanto riferito dai testi escussi; b) che doveva presumersi che la rete sulla recinzione dell’abitazione dell’imputata era stata apposta dopo il fatto.
La IV sezione di questa Corte, con sentenza n. 46970 del 2011, annullò la
sentenza di condanna perché basata sulla deposizione testimoniale della persona
offesa, la quale invece non aveva mai deposto in dibattimento.
Il giudice di pace di Avellino, in sede di rinvio, con la sentenza in epigrafe
confermò la condanna dell’imputata per il reato di lesioni personali colpose cagionate a Sica Carmen per colpa consistita nel mal governo del suo cane e nel
mancato rispetto degli obblighi di vigilanza e di custodia, per averlo lasciato li-%ii/

Data Udienza: 19/11/2013

bero nel suo giardino non adeguatamente recintato. Il giudice basò la dichiarazione di responsabilità sulle dichiarazioni della persona offesa, confermate da
quelle di altri testi e dal referto medico.
L’imputata, a mezzo dell’avv. Giacinto Pelosi, propone ricorso per cassazione deducendo:
1) erronea applicazione dell’art. 590, dell’art. 672 e dell’art. 40 cod. pen.
Osserva che secondo il giudice di pace: il cane era all’interno della proprietà De
Rosa e non sulla strada; la proprietà De Rosa era chiusa e recintata anche da
sbarre alte di ferro infisse al di sopra di un muretto di recinzione alto circa un
metro e mezzo; nella casa con antistante piccolo giardino, vi era “un signore anziano”, ossia il padre dell’imputata. Evidenzia che pertanto il cane di piccola taglia non era stato lasciato solo ma era stato temporaneamente affidato a una persona di famiglia perfettamente in grado di governarlo. Il reato di cui all’art. 590
cod. pen. avrebbe dovuto al massimo essere contestato a costui, mentre a lei non
può essere addebitato alcun comportamento negligente avendo affidato in custodia il proprio cane a persona perfettamente in grado di gestirlo. Pertanto, anche ad ammettere che il cane sia riuscito a infilare la testa tra le sbarre infisse al
di sopra della recinzione e a mordere la Sica, vi sarebbe spazio solo per una azione civile, ma non per una responsabilità penale in capo alla De Rosa, non essendo ravvisabile a suo carico alcun comportamento colposo od omissivo.
2) violazione di legge e contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 40, 41, comma 2, e 590 cod. pen. Lamenta che il
giudice di pace ha assunto come scontata la circostanza di fatto, invece non
provata, che la persona offesa sia stata morsa dal cane di proprietà della ricorrente e che costei non lo avrebbe custodito diligentemente. La teste Festa, invero, non ha assistito al fatto, mentre le dichiarazioni della Sica sono inattendibili
per le numerosissime contraddizioni, sfuggite al giudice pur essendo state evidenziate in sede di discussione dalla difesa dell’imputata, con le conseguenti
contraddittorietà e illogicità della motivazione della sentenza.
3) violazione degli artt. 40, 41 e 590 cod. pen. in quanto il giudice di pace
non ha in alcun modo valutato l’esistenza o meno di un nesso di causalità tra il
comportamento della ricorrente De Rosa Agata e l’evento lesivo lamentato dalla
querelante Sica Carmen. Infatti, anche ad ipotizzare che nel fatto de quo sia
ravvisabile la fattispecie di cui all’art. 590 cod. pen., ci si troverebbe in presenza
di un classico caso di reato omissivo improprio, per la cui configurabilità vanno
applicati i principi affermati dalle Sezioni Unite con la nota “sentenza Franzese”
del 10 luglio 2002 n. 30328. Invece, proprio la ricostruzione del fatto operata
dal giudice di pace esclude che vi sia stata qualche condotta omissiva dell’imputata che giustifichi la condanna, mancando ogni possibilità di individuare o anche soltanto ipotizzare quale potrebbe essere stata, oltre i già visti “sistemi di sicurezza” in atto (muretto di circa un metro e mezzo con infisse al di sopra le
sbarre di ferro, recinzione dello spazio circostante la casa e nel quale il cane poteva muoversi senza tuttavia poter andare all’esterno, ecc.), un’omissione
dell’imputata idonea ad essere considerata condizione necessaria dell’evento lesivo con “alto o elevato grado di credibilità razionale” o “probabilità logica”.

Motivi della decisione
i

-2

Il ricorso è fondato.
Va preliminarmente osservato che nella specie non si tratta di accertare la
responsabilità civile dell’imputata per i danni arrecati a terzi dal cane di sua
proprietà, bensì la responsabilità penale della stessa, responsabilità che, com’è
noto, è esclusivamente personale e può derivare unicamente da un comportamento colposo (o doloso) del soggetto.
La sentenza impugnata ha ravvisato il detto comportamento colposo della
De Rosa nel fatto che questa, uscendo da casa, aveva lasciato il suo cane non
adeguatamente custodito nel giardino non adeguatamente recintato, con violazione delle regole cautelari. La sentenza ha poi ritenuto il nesso di causalità tra
il mancato rispetto degli obblighi di custodia e vigilanza e le lesioni patite dalla
querelante.
Sennonché la motivazione appare carente e viziata, sotto i profili che seguono.
Innanzitutto, dalla sentenza impugnata non si riesce a comprendere come
si sia svolta la vicenda. Si afferma infatti: – che la Sica aveva parcheggiato la
sua auto vicino alla casa della De Rosa; – che nel riprenderla aveva aperto lo
sportello avvicinandosi alla abitazione della De Rosa e in quel momento il cane
aveva sporto la testa fuori dalla inferriata e la aveva morsa; – che aveva immediatamente citofonato e le aveva risposto il padre dell’imputata; – che il cane si
trovava nel giardino della proprietà De Rosa; – che il giardino aveva una recinzione alta a sbarre.
Orbene, non è spiegato come il cane, avendo sporto solo la testa dalla recinzione a sbarre, abbia morso il gomito del braccio sinistro della Sica che stava
aprendo, dal lato del conducente, lo sportello della sua auto parcheggiata vicino
alla casa ed al giardino in questione.
Nemmeno è poi in alcun modo spiegato perché il giardino è stato ritenuto
«non adeguatamente recintato» pur essendo stato accertato che vi era una «recinzione alta a sbarre» e che il cane si trovava all’interno del detto giardino.
Manca altresì la motivazione sulla ragione per la quale è stato ritenuto che
l’imputata avrebbe lasciato il suo cane «non adeguatamente custodito», in violazione dei suoi obblighi di vigilanza e di custodia, quando è stato accertato che
la De Rosa aveva lasciato il cane, di piccola taglia, in affidamento al padre e
chiuso all’interno del giardino munito di una «recinzione alta a sbarre».
Non è spiegato perché il comportamento omissivo colposo rilevante sotto
il profilo penale non è stato ravvisato in capo al padre dell’imputata, che in quel
momento aveva il cane in custodia, e soprattutto non è stato indicato il nesso di
causalità tra l’evento lesivo e il comportamento tenuto dall’imputata. Difatti,
esattamente il ricorrente rileva che nella specie si tratterebbe di un classico caso
di reato omissivo improprio, per cui devono essere applicati i principi stabiliti
dalla nota sentenza delle Sez. Un., 10.7.2002, n. 30328, Franzese, m. 222138,
secondo cui «Nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra
omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio
di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’int –

-3-

-4 ferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità
razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva». Nella specie non è stato
specificato quale sarebbe stato l’ulteriore comportamento che l’imputata avrebbe dovuto tenere, oltre a quelli già posti in atto (chiusura del cane nel giardino,
recinzione alta a sbarre di ferro, affidamento del cane al padre) per impedire
l’evento lesivo e quindi non è stata specificata l’omissione dell’imputata idonea
ad essere considerata condizione necessaria dell’evento lesivo con «alto o elevato grado di credibilità razionale» o «probabilità logica».
La sentenza impugnata deve dunque essere annullata con rinvio per nuovo
esame al giudice di pace di Avellino, altro giudicante.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice di pace di Avellino.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 19
novembre 2013.

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