Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28780 del 22/06/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 28780 Anno 2016
Presidente: DE CRESCIENZO UGO
Relatore: AGOSTINACCHIO LUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
• MILOJEVIC Roberto nato a Roma 1’01/08/1967
avverso la sentenza emessa in data 21/05/2014 della Corte di Appello di Bologna
PARTE CIVILE: Lineablu s.r.l.
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Luigi Agostinacchio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Sante Spinaci, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 21/05/2014 la Corte di Appello di Bologna, in parziale
riforma della sentenza del Tribunale di Ravenna del 19/10/2010 appellata
(anche) da Milojevic Roberto, assolveva quest’ultimo dal delitto di truffa sub B) e
rideterminava la pena per il residuo reato di riciclaggio sub A) – con la già
riconosciuta attenuante di cui all’art. 648 bis comma 3 cod. pen. – in due anni,
nove mesi di reclusione ed C 1.200,00 di multa, confermando la condanna al
risarcimento dei danni, liquidati in C 9.000,00, in favore della costituita parte
civile Lineablù s.r.l.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Milojevic di persona
sulla base di due motivi:

Data Udienza: 22/06/2016

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violazione ed erronea interpretazione di legge; nullità assoluta del
processo per violazione dell’art. 178 comma 1 lett. c) e dell’art. 179 cod.
proc. pen. per mancata traduzione all’udienza preliminare dell’imputato
detenuto, circostanza nota all’autorità giudiziaria;

difetto assoluto ed illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta
responsabilità per il reato di riciclaggio, con riferimento all’utilizzo dei
canoni interpretativi.

1. Il ricorso è infondato.
2. Con il primo motivo il ricorrente ha eccepito la nullità assoluta ed insanabile
del procedimento, censurando la mancata traduzione all’udienza del 24
settembre 2009 dinanzi al giudice dell’udienza preliminare che, all’esito, dispose
il suo rinvio a giudizio; ha evidenziato a tal fine che egli era all’epoca sottoposto
alla misura di sicurezza detentiva della casa di lavoro, che era stato autorizzato a
presenziare all’udienza dal competente magistrato di sorveglianza, che aveva
comunicato al gup la sua intenzione in tal senso trasmettendo l’autorizzazione
ricevuta, che il giudice non aveva tuttavia disposto la sua traduzione.
La corte territoriale – con accertamento in fatto che trova riscontro nel fascicolo
processuale e che non è oggetto di contestazione – ritenne tardiva la richiesta al
magistrato di sorveglianza e la trasmissione degli atti al gup, il pomeriggio
antecedente all’udienza, per l’ impossibilità di organizzare la traduzione.
Il ricorrente ha sostenuto che l’ufficio avrebbe dovuto comunque differire
l’udienza ad altra data onde consentire la sua partecipazione all’udienza
camerale e che in tal modo era stato violato il principio del contraddittorio.
2.1 La questione sottoposta a questa Corte deve essere decisa nel solco di
quanto stabilito dalle sezioni unite nella pronuncia citata anche dal ricorrente
(Cass. sez. un. sent. n. 35399 del 24/06/2010 – dep. 01/10/2010 – Rv. 247836),
con riferimento in particolare al giudizio di appello camerale, sulla base di
argomentazioni valide tuttavia in generale per il procedimento in camera di
consiglio.
Secondo la suddetta pronuncia la citazione dell’imputato detenuto realizza
un’unica fattispecie complessa, costituita dall’avviso, dalla dichiarazione di
volontà dell’interessato detenuto di comparire e dalla sua successiva traduzione,
atti tutti da guardarsi, per il rapporto di stretta consequenzialità che li
caratterizza, in una visione unitaria in funzione dello scopo loro proprio, la

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CONSIDERATO IN DIRITTO

vocatio in iudicium per la valida instaurazione del contraddittorio, con la
conseguenza che la mancata traduzione, perché non disposta o non eseguita,
determina la nullità assoluta e insanabile della udienza e della successiva
pronunzia, ai sensi dell’art. 178 cod. proc. pen., lett. c) e art. 179 cod. proc.
pen.
Per quanto concerne il termine entro il quale deve essere manifestata al giudice
la volontà di comparire all’udienza, le sezioni unite hanno evidenziato che non

presenziare debba pur sempre essere fatta – a meno che l’imputato non ne sia
impedito, ad esempio per essere stato ristretto immediatamente a ridosso
dell’udienza – in modo tale che sia concretamente possibile disporne ed
effettuarne la traduzione per l’udienza.
Di tale corollario del principio enunciato dal giudice di legittimità il ricorrente non
ha tenuto conto, a fronte della puntuale argomentazione a riguardo della corte
territoriale tesa a sottolineare come “la misura era in corso almeno dal mese di
luglio e che l’imputato aveva ricevuto il decreto di fissazione dell’udienza
preliminare nel mese di giugno”, richiedendo solo in data 23/09/2009 al
magistrato di sorveglianza l’autorizzazione a presenziare all’udienza preliminare
con trasmissione degli atti all’ufficio del gup, tramite fax, nel pomeriggio dello
stesso giorno, alle ore 17,29 (“il pomeriggio prima della data fissata per
l’udienza, peraltro in orario di chiusura delle cancellerie, dunque quando ormai
non vi era più tempo per disporre ed organizzare la traduzione del prevenuto”).
Sussiste pertanto quella situazione considerata dalle sezioni unite in relazione
alla volontà di comparire espressa soltanto all’ultimo istante, quando ormai non
vi sia più una corretta possibilità di effettuare la traduzione per l’udienza; in tal
caso l’adempimento dell’onere si potrebbe trasformare in realtà in un malizioso o
doloso mezzo per rinviare, senza necessità, l’udienza stessa e prolungare
indebitamente la durata del processo. Il che darebbe luogo ad una
interpretazione certamente non rispettosa del buon andamento processuale e
non conforme al principio costituzionale della ragionevole durata del processo.
Correttamente pertanto la corte territoriale ha esaminato la questione,
rigettando il relativo motivo di appello.
3. Con il secondo motivo il ricorrente sotto il profilo del vizio di motivazione,
tenta di sottoporre a questa Corte un giudizio di merito, non consentito anche
dopo la modifica normativa dell’articolo 606 cod. proc. pen. lett. e) di cui alla
legge 20 febbraio 2006 n.46 che ha lasciato inalterata la natura del controllo

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esiste un termine rigido e prefissato, ma che ciò non esclude che la richiesta di

demandato alla corte di Cassazione, che può essere solo di legittimità e non può
estendersi ad una valutazione di merito.
Al giudice di legittimità resta tuttora preclusa – in sede di controllo della
motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché
ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale

fatto, mentre la Corte, anche nel quadro della nuova disciplina, è – e resta giudice della motivazione.
Nel caso di specie i giudici di merito con doppia pronuncia conforme hanno
evidenziato, con motivazione immune da vizi logici, le operazioni direttamente
eseguite dal Milojevic per ostacolare l’accertamento della provenienza delittuosa
del mezzo (pag. 16 della sentenza di appello alla quale si rinvia), ulteriori e
specifiche rispetto a quella, pur significativa, indicata in ricorso (il rilascio della
procura a vendere l’auto in questione).
4. Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve essere rigettato.
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il giorno 22 giugno 2016

Il Consigliere estensore

modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del

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