Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28779 del 22/06/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 28779 Anno 2016
Presidente: DE CRESCIENZO UGO
Relatore: SGADARI GIUSEPPE

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
Hudorovic Fabio, nato a Udine il 24/09/1972,
avverso la sentenza del 16/01/2014 della Corte di Appello di Trieste;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione della causa svolta dal consigliere Giuseppe Sgadari;
udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale
Sante Spinaci, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Trieste, in parziale riforma
della sentenza del Tribunale di Trieste dell’1.12.2010, riteneva sussistente la
responsabilità dell’imputato per i reati di truffa e minaccia grave condannandolo
ad anni tre di reclusione ed euro 1.200,00 di multa.
1

Data Udienza: 22/06/2016

La Corte riteneva provato che il ricorrente avesse acquistato una motocicletta
presso una concessionaria, consegnando al venditore solo la somma di 550,00 a
titolo di caparra, ingenerando in costui la convinzione della bontà dell’affare
anche attraverso l’acquisto di accessori per ulteriori 600,00 euro, poi non
provvedendo a pagare la restante e più cospicua somma, saldando il debito con
un assegno privo di copertura, successivamente anche minacciando di bruciare la
concessionaria allorquando la parte offesa gli aveva telefonato per ottenere il

2. Ricorre in cassazione l’imputato, nel suo stesso interesse, deducendo:
1) violazione di legge per avere la Corte ravvisato nel comportamento tenuto dal
ricorrente gli artifizi e raggiri idonei a costituire il reato di truffa, senza tenere
conto che l’Hudorovic, nella singola e breve trattativa con la persona offesa,
avrebbe semplicemente seguito una prassi commerciale consistente nel
versamento di una caparra per l’acquisto della motocicletta, senza ulteriori
connotazioni truffaldine.
La sua condotta, pertanto, avrebbe dovuto semmai essere qualificata nell’ambito
del meno grave reato di insolvenza fraudolenta.
Quanto al reato di minaccia, la Corte di Appello avrebbe dovuto assolvere
l’imputato, essendo rimasta incerta la sua identificazione quale autore del reato;
2) vizio di motivazione per avere la Corte valorizzato la circostanza che un
soggetto di etnia rom come l’imputato potesse avere maggiore capacità a
delinquere;
3)

vizio della motivazione con riguardo al trattamento sanzionatorio ed, in

particolare, all’applicazione della recidiva ed alla dosimetria della pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è manifestamente infondato.
1.Quanto al primo motivo, il ricorrente, nel contestare la sussistenza degli artifici
e raggiri idonei ad integrare il reato di truffa (e non quello meno grave di
insolvenza fraudolenta), non si confronta con quella parte della motivazione della
sentenza impugnata nella quale la Corte di Appello sottolineava che l’imputato,
oltre ad ingenerare nella parte offesa il convincimento della bontà dell’affare
attraverso la consegna di una caparra in contanti e di una somma per l’acquisto
di accessori complessivamente pari a 1.050,00 euro, aveva anche fatto finta di
non ricordare, all’atto della consegna dell’assegno scoperto, che il venditore gli
aveva espressamente chiesto di pagare la differenza di oltre undicimila euro con
un assegno circolare o con bonifico bancario.

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pagamento dell’intero prezzo della moto.

Così completando la sua condotta truffaldina – già insita nella consegna di una
congrua somma in contanti maliziosamente preordinata ad ingenerare la buona
fede altrui sulla bontà dell’affare – con un ulteriore gesto apparentemente frutto
di ingenuità ed ulteriormente idoneo a raggirare la vittima.
Nella positività di tali comportamenti è ravvisabile il reato di truffa e non la meno
lieve ipotesi di cui all’art. 641 cod.pen. (cfr. Sez. 2, n. 10850 del 20/02/2014,
Montesanti, Rv. 259427).

condivisa dal Collegio, ai fini della sussistenza del delitto di truffa, non ha rilievo
la mancanza di diligenza da parte della persona offesa, dal momento che tale
circostanza non esclude l’idoneità del mezzo, risolvendosi in una mera deficienza
di attenzione determinata dalla fiducia ottenuta con artifici e raggiri (Sez.2, n.
42941 del 25/09/2014, Selmi).
2. In ordine alla responsabilità del ricorrente anche per il reato di minaccia, agita
con il mezzo del telefono, il ricorso non dà conto, rivelando anche in questo caso
la sua genericità, che l’imputato era stato raggiunto diverse volte alla sua utenza
telefonica dalla persona offesa e che solo nell’ultima occasione, davanti ad una
richiesta di adempimento più pressante, aveva reagito con la minaccia di
bruciare la concessionaria.
Dunque, in virtù dei precedenti contatti telefonici, la sua identificazione come
interlocutore telefonico non poteva essere messa in discussione, secondo il
giudizio della Corte di Appello, non sindacabile in questa sede perché immune da
vizi logici.
Del resto, il tenore della minaccia era tale da incutere timore nella vittima anche
a prescindere dall’etnia del ricorrente, della quale si faceva solo insignificante
cenno nella motivazione della sentenza impugnata a rafforzare il convincimento
espresso.
3.

Il ricorso è, del pari, del tutto generico anche nella censura relativa al

trattamento sanzionatorio, dal momento che la Corte di Appello ha adottato
esauriente motivazione sia in ordine all’aumento per la recidiva, reso possibile
dall’appello incidentale proposto dal Procuratore generale, sia con riguardo alla
determinazione della pena finale; essendosi richiamati, in proposito, alcuni tra i
criteri di cui all’art. 133 cod.pen., quali l’apprezzabile valore dell’oggetto
materiale del reato, i plurimi precedenti penali, il comportamento gravemente
intimidatorio, l’indole e la ravvicinata distanza temporale dei precedenti penali
rispetto al fatto per cui si procede.
Dovendosi rammentare che la pacifica giurisprudenza di legittimità, condivisa dal
Collegio, ritiene che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del
giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132
3

Peraltro, deve ricordarsi come secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità

e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di
cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui
determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia
sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Ferrario;
Sez. 3 n. 1182 del 17/10/2007 dep. 2008, Cilia, rv. 238851).
Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro nnillecinquecento/00

ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1500,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 22.06.2016.
Il Consigliere estensore
Giuseppe Sgadari

Il Pr
Ug

nzo

alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso

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