Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28777 del 15/06/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 28777 Anno 2016
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: ALMA MARCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1. Vitali Massimo, nato a Santa Maria Nuova il giorno 28/7/1958
2. Maccione Laura, nata a Torino il giorno 18/3/1968
avverso la sentenza n. 2593/15 in data 25/6/2015 della Corte di Appello di
Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Marco Maria Alma;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Alfredo
Pompeo Viola, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della
sentenza impugnata;
udito il difensore degli imputati, Avv. Giuseppe Gianzi, che ha concluso
chiedendo l’accoglimento del ricorso con conseguente annullamento della
sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 25 giugno 2015 la Corte di Appello di Bologna, in
parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Forlì in data 2 febbraio
2011, dichiarava non doversi procedere nei confronti degli imputati Claudio
Cancellieri e Laura Maccione in relazione ai reati di cui agli artt. 56, 640 e 494
cod. pen. per essere gli stessi estinti per prescrizione con conseguenti effetti
sulle pene agli stessi irrogate che venivano ridotte, mentre confermava nel resto
la sentenza di condanna irrogata dal Tribunale ai predetti ed al coimputato

Data Udienza: 15/06/2016

Massimo Vitali, per tutti in relazione al reato di associazione per delinquere e,
con riguardo al solo Vitali (recidivo specifico reiterato ed infraquinquennale ex
art. 99, comma 4, cod. pen.), anche per una lunga serie di fatti di concorso in
tentata truffa e sostituzione di persona (capi da B a R della rubrica delle
imputazioni).
I fatti-reato in contestazione riguardano, in estrema sintesi, la
predisposizione e l’invio da parte degli imputati di missive, apparentemente
provenienti dalle società immaginarie “Consulvitae” e “Consul Aziende”) e

rappresentava ai destinatari la non veritiera imminenza della scadenza di una
polizza assicurativa o, nel secondo caso, rappresentando falsamente ai
destinatari la vincita di buoni acquisto in centri commerciali, invitandoli a
chiamare numeri telefonici (899…) il cui utilizzo comportava per gli ignari
esecutori un addebito di circa 15,00 C per il solo scatto alla risposta, somma che
in larga parte costituiva il provento dell’azione delittuosa.

Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore degli
imputati Vitali e Maccione (la sentenza è invece divenuta irrevocabile per il
Cancellieri), deducendo:

1. Violazione dell’art. 416 cod. pen. per mancanza degli elementi costitutivi
oggettivi e soggettivi del reato di cui all’art. 416 cod. pen. nonché per mancanza
ed illogicità della motivazione al riguardo, ex art. 606, lett. b) ed e), cod. proc.
pen.
Evidenzia, innanzitutto, la difesa dei ricorrenti che l’attività delittuosa
sarebbe stata realizzata in un breve arco temporale (ottobre/novembre 2006),
che è stata sostanzialmente posta in essere con un’unica condotta sia pure
rivolta ad un numero notevole di soggetti, che non vi sarebbe stata una
indeterminatezza del programma criminoso e che la disponibilità di elenchi
telefonici, l’uso di una stampante laser e la predisposizione di etichette non
avevano i requisiti minimi di organizzazione di mezzi o strumenti per ritenere
configurato il reato associativo. Mancherebbe, inoltre, la prova dell’accordo
criminoso tra i pretesi organizzatori dell’associazione per delinquere.
La sentenza impugnata non avrebbe quindi motivato circa le problematiche
relativi alla differenza tra il concorso di persone nel reato continuato e
l’associazione per delinquere.

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prevalentemente indirizzate a persone di età avanzata, con le quali si

2. Violazione dell’art. 416 cod. pen. per mancanza del numero minimo degli
associati nonché per mancanza ed illogicità della motivazione al riguardo, ex art.
606, lett. b) ed e), cod. proc. pen.
Evidenzia la difesa dei ricorrenti il fatto che sarebbe stata erroneamente ritenuta
la partecipazione della Maccione all’associazione in quanto non v’è prova che
l’imputata sia stata fin dall’origine partecipe della promozione, della costituzione
o dell’organizzazione dell’associazione od abbia comunque fornito alla stessa un
contributo ex art. 416, comma 2, cod. pen.

cautelare anche per tale reato in quanto fu ritenuta l’occasionalità della condotta
dalla stessa posta in essere.
Gli elementi indicati in sentenza a carico della stessa non sarebbero quindi
idonei a configurare la partecipazione al reato associativo il che farebbe venir
meno il numero minimo delle persone richiesto per la configurazione del reato di
cui all’art. 416 cod. pen.
La motivazione sul punto della sentenza impugnata sarebbe caratterizzata
da conclusioni meramente assertorie ed apodittiche e non avrebbe tenuto in
debito conto le dichiarazioni del coimputato Cancellieri e dell’assenza di ogni
legame tra la Maccione e quest’ultimo.

3. Violazione di legge e vizi di motivazione con riguardo al trattamento
sanzionatorio (art. 606, lett. c) ed e), cod. proc. pen. che non è stato motivato
sul punto nonostante lo specifico punto dell’atto di appello formulato
nell’interesse dell’imputato VITALI.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Va detto subito che nessuno dei motivi di ricorso sopra riassunti riguarda i
reati fine di cui ai capi da B a R della rubrica delle imputazioni, con la
conseguenza che la sentenza impugnata è divenuta irrevocabile con riguardo ai
predetti reati per i quali è intervenuta condanna dell’imputato Vitali.
La Corte di appello con motivazione congrua, logica e conforme ai principi di
diritto che regolano la materia ha poi correttamente delineato gli elementi per la
ritenuta sussistenza in capo agli imputati del reato associativo (la sentenza sul
punto è già divenuta irrevocabile per l’originario imputato Cancellieri)
evidenziando:
a) la spedizione da parte degli imputati di ben 1.000 lettere a potenziali vittime
aventi le finalità truffaldine sopra indicate;

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All’imputata non fu applicata dal Giudice per le indagini preliminari misura

b) che la spedizione era stata effettuata dalla Maccione e che la fattura relativa
alla predetta spedizione doveva essere intestata ad una società di cui era
rappresentante il Vitali, convivente della Maccione;
c) che nel corso della perquisizione a carico del Cancellieri era stato rinvenuto un
foglio manoscritto sul quale era riportato il modello di lettera, poi trascritto al
computer e spedito;
d) che nel corso della perquisizione presso l’abitazione Vitali/Maccione erano stati
rinvenuti, oltre ad una stampante laser con la quale erano state confezionate le

residenti in varie parti d’Italia, 21 fogli predisposti con etichette adesive
identiche a quelle utilizzate, su cui erano riportati i nominativi di persone
residenti nel bellunese e nel trevigiano, un foglio su cui erano riportati più
numeri a pagamento e infine, vari fogli riportanti i CAP di comuni siti in Veneto,
Marche ed Emilia Romagna ed elenchi telefonici (un centinaio) di svariate località
italiane;
situazioni tutte, come detto, ritenute dai Giudici di entrambi i gradi del merito
idonee a configurare il contestato reato di cui all’art. 416 cod. pen.
Ritiene il Collegio che correttamente siano stati evidenziati nella sentenza
impugnata tutti gli elementi idonei a configurare il reato associativo.
Già il numero di potenziali vittime (1.000) alle quali risultano essere state
spedite le lettere dal contenuto truffaldino è un elemento fortemente indicativo
dell’indeterminatezza oltre che della vastità del programma criminoso ed a ciò si
aggiunge la circostanza che a casa degli imputati furono rinvenuti non solo gli
strumenti idonei a realizzare i reati-fine ma anche documenti già predisposti con
etichette adesive identiche a quelle utilizzate, su cui erano riportati i nominativi
di persone residenti nel bellunese e nel trevigiano il che (unito a tutti gli altri
beni sopra indicati) rappresenta un evidentissima proiezione verso il futuro del
programma criminoso.
Sul presupposto che, come è noto il criterio distintivo tra il delitto di
associazione per delinquere e il concorso di persone nel reato continuato va
individuato nel carattere dell’accordo criminoso, che nell’indicata ipotesi di
concorso si concretizza in via meramente occasionale ed accidentale, essendo
diretto alla commissione di uno o più reati determinati – anche nell’ambito del
medesimo disegno criminoso – con la realizzazione dei quali si esaurisce
l’accordo e cessa ogni motivo di allarme sociale, mentre nel reato associativo
risulta diretto all’attuazione di un più vasto programma criminoso, per la
commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un
vincolo associativo tra i partecipanti, anche indipendentemente ed al di fuori
dell’effettiva commissione dei singoli reati programmati (cfr. ex ceteris: Sez. 2,

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_,

etichette, numerosi fogli riportanti cognomi ed indirizzi relativi a persone

n. 933 del 11/10/2013, dep. 2014, Debbiche Helmi, Rv. 258009), sul punto deve
essere però ricordato che questa Corte Suprema ha, con un assunto ritenuto
condivisibile anche dall’odierno Collegio, chiarito che “in tema di associazione per
delinquere è consentito al giudice, pur nell’autonomia del reato mezzo rispetto ai
reati fine, dedurre la prova dell’esistenza del sodalizio criminoso dalla
commissione dei delitti rientranti nel programma comune e dalle loro modalità
esecutive, posto che attraverso essi si manifesta in concreto l’operatività
dell’associazione medesima” (Sez. U, n. 10 del 28/03/2001, Cinalli, Rv. 218376;

del 21/12/1998, dep. 1999, Avezzano, Rv. 212251).
A ciò si aggiungono le osservazioni – anche correttamente richiamate nella
sentenza impugnata e che in questa sede non possono essere ribadite – che:
a) ai fini della configurabilità del reato di associazione per delinquere non è
necessario che il vincolo associativo assuma carattere di assoluta stabilità,
essendo sufficiente che esso non sia a priori e programmaticamente circoscritto
alla consumazione di uno o più delitti predeterminati, in quanto l’elemento
temporale insito nella nozione stessa di stabilità del vincolo associativo non va
inteso come necessario protrarsi del legame criminale, occorrendo soltanto una
partecipazione all’associazione pur se limitata ad un breve periodo (Sez. 2, n.
19917 del 15/01/2013, Bevilacqua, Rv. 255914; Sez. 5, n. 12525 del
28/06/2000, Buscicchio, Rv. 217459), il che rende destituita di fondamento la
doglianza secondo la quale il reato associativo non sarebbe configurabile nel caso
in esame a causa del breve arco temporale nel quale si è sviluppata l’azione
delittuosa degli imputati;
b) ai fini della configurabilità del reato di associazione per delinquere non è
necessaria la creazione di una struttura complessa di mezzi per la realizzazione
di reati-fine essendo sufficiente di fatto la predisposizione, sia pure rudimentale,
dei mezzi in concreto idonei alla realizzazione di quel programma criminoso per il
quale il vincolo associativo si è instaurato, il che è certamente comprovato da
quanto rinvenuto all’esito delle perquisizioni compiute presso l’abitazione degli
imputati.
Quanto, infine, alla prova

dell’affectio

dei singoli imputati al sodalizio

criminale va ricordato che questa Corte Suprema ha già avuto modo di chiarire
che è punibile, a titolo di partecipazione nel reato de quo colui che presta la sua
adesione ed il suo contributo all’attività associativa, anche per una fase
temporalmente limitata (in tal senso Sez. 2, n. 47602 del 29/11/2012,
Miglionico, Rv. 254105) e, ancora, che “il dolo del delitto di associazione a
delinquere è integrato dalla coscienza e volontà di partecipare attivamente alla
realizzazione del programma delinquenziale in modo stabile e permanente e può

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Sez. 2, n. 2740 del 19/12/2012, dep. 2013, Di Sarli, Rv. 254233; Sez. 2, n. 486

desumersi in modo fortemente indiziante dalla stessa realizzazione dell’attività
delittuosa in termini conformi al piano associativo” (Sez. 6, n. 50334 del
02/10/2013, La Chimia, Rv. 257845), situazione certamente ravvisabile e
correttamente ravvisata dai Giudici del merito (con decisione “doppia conforme”)
nel caso in esame.

2.

Quanto appena detto incide anche sulla posizione dell’imputata qui

ricorrente Laura Maccione il che rende manifestamente infondato anche il

La Corte di appello ha, infatti, adeguatamente giustificato la partecipazione
della Maccione al sodalizio criminale non basandosi solo sul fatto che la donna
era la convivente del Vitali (il che denota un elemento ragionevolmente
indiziante circa la conoscenza del piano criminoso) ma anche evidenziando
univoci elementi individualizzanti quali il rinvenimento presso la comune
abitazione di tutti gli strumenti necessari alla realizzazione del piano criminoso, il
rinvenimento sull’autovettura di proprietà dell’imputata di foglietti con
numerazioni a pagamento tra cui quella utilizzata e – non ultimo – il fatto che fu
proprio la Maccione a recarsi presso l’ufficio postale per curare la spedizione delle
lettere alle ignare vittime.
Quelli evidenziati dalla Corte di appello sono elementi chiari che non
rendono certo manifestamente illogica la valutazione (pur sempre discrezionale e
quindi insindacabile da parte della Corte di legittimità) circa la partecipazione
anche dalla Maccione al sodalizio criminale.
Ne consegue che anche il requisito del numero minimo dei partecipanti al
sodalizio criminale per la configurabilità del reato di cui all’art. 416 cod. pen.
risulta essere stato rispettato.
Alla luce di quanto evidenziato all’esito dei giudizi di merito sono
francamente irrilevanti le diverse conclusioni alle quali era addivenuto il Giudice
per le indagini preliminari nella incidentale fase cautelare.

3. Manifestamente infondato è, infine, anche il terzo motivo di ricorso formulato esclusivamente nell’interesse dell’imputato Vitali – circa il trattamento
sanzionatorio allo stesso riservato.
Non sfugge che, con riguardo al reato associativo già il Tribunale di Forlì
aveva applicato al Vitali la pena minima prevista per il reato associativo così
come allo stesso contestato, aumentata nella misura prefissata di legge per la
recidiva e, poi, ulteriormente aumentata di (soli) quattro mesi per effetto della
continuazione con gli ulteriori numerosi reati dei quali il predetto è stato ritenuto
responsabile.

secondo motivo di ricorso.

La Corte di appello, con una motivazione tutt’altro che inesistente e
comunque congrua in relazione alla situazione in esame, ha evidenziato
l’adeguatezza della pena irrogata al Vitali dai Giudici di prime cure alla luce delle
numerosissime condanne (anche per associazione per delinquere) delle quali
l’imputato è risultato gravato e dell’insensibilità dallo stesso mostrata alle pur
severe pene allo stesso già inflitte.
E’ appena il caso di ricordare sul punto che la determinazione della pena tra
il minimo ed il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di

ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso il cui il giudicante si sia limitato
a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli
elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013,
Serratore, Rv. 256197).

4. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere
dichiarato inammissibile.
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti, in solido
tra loro, al pagamento delle spese del procedimento e, quanto a ciascuno di essi,
al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di
esonero, della somma ritenuta equa di C 1.500,00 (nnillecinquecento) a titolo di
sanzione pecuniaria.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno della somma di C 1.500,00 alla Cassa delle ammende.

Così deciso il 15/06/2016.

merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e,

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