Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28773 del 10/06/2015

Penale Sent. Sez. 3 Num. 28773 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
A.A.

avverso l’ordinanza pronunciata dal Tribunale del riesame di Vicenza in data
5-11/12/2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Paola Filippi, che ha chiesto dichiarare inammissibile il
ricorso;
sentite le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. Stefano Grolla, che
ha chiesto l’accoglimento del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 5-11/12/2014, il Tribunale del riesame di Vicenza
rigettava l’appello proposto da A.A. e, per l’effetto, confermava
l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso il locale

Data Udienza: 10/06/2015

Tribunale il 30/10/2014, con la quale era stata rigettata la richiesta di revoca del
sequestro sulla somma di 4.115,71 euro, eseguito il 15/10/2014.
2. Propone ricorso per cassazione la A.A., a mezzo del proprio
difensore, deducendo – con unico motivo – l’inosservanza o erroena applicazione
dell’art. 321 cod. proc. pen.. La ricorrente – indagata per i delitti di cui agli artt.
2 e 8, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74 – aveva subito un sequestro preventivo,
finalizzato alla confisca per equivalente, fino all’ammontare della somma di
2.680.561,24 euro, solidalmente con i coindagati Renato Dorigatti e Giovanni

un conto corrente bancario, e l’istituto era stato nominato custode della stessa;
successivamente, però, la stessa banca aveva comunicato alla Guardia di
finanza che altre somme erano nel frattempo pervenute sul medesimo conto, sì
che i militari avevano provveduto ad estendere il vincolo anche su queste, per
l’ammontare di 4.115,71 euro. Orbene, in tal modo si sarebbero compiute
ripetute esecuzioni di sequestri reiterati, differiti nel tempo, in assenza di un
provvedimento ad hoc; una parcellizzazione della misura cautelare, invero non
consentita. Inoltre, la banca avrebbe svolto un’attività che esulerebbe dai propri
compiti di custode, informando la polizia giudiziaria dell’accredito di ulteriori
somme, le quali, peraltro, consisterebbero nello stipendio della A.A., fonte
primaria di sostentamento della stessa.
Con motivi aggiunti depositati il 25/5/2015, la difesa ha contestato anche
la violazione dell’art. 220 disp. att. cod. proc. pen., con riguardo al verbale di
constatazione, così come la violazione degli artt. 2, comma 3, e 8, comma 3, d.
Igs. n. 74 del 2000; con riguardo a talune delle annualità contestate, infatti, non
sarebbe stata superata la soglia di punibilità prevista dal medesimo decreto
legislativo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Osserva preliminarmente questa Corte che, in sede di ricorso per
cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l’art. 325 cod. proc.
pen. ammette il sindacato di legittimità soltanto per motivi attinenti alla
violazione di legge. Nella nozione di “violazione di legge” rientrano, in
particolare, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione
meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme
processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di
legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla
lett. e) dell’art. 606 stesso codice (v., per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004,

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Dolci. Parte di questa somma – pari a 88.523,49 euro – era stata rinvenuta su

P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003,
Pellegrino S., Rv. 224611).
Ciò premesso, il ricorso è manifestamente infondato.
La A.A., infatti, reitera in questa sede le medesime doglianze già
sollevate innanzi al Tribunale di Vicenza, senza però in alcun modo provvedere a
confutare le argomentazioni – invero logiche, adeguate ed immuni da vizi – con
le quali lo stesso Collegio aveva risposto sui temi in esame. In particolare, il
gravame disattende del tutto l’ordinanza nella parte in cui afferma che «nulla

di beni, purché entro il limite di capienza indicato nel provvedimento cautelare, e
che il nuovo atto di sequestro appare doveroso, perché attuativo di un
provvedimento che, in prima battuta, non è stato possibile eseguire
interamente». Con maggior precisione, poi, il provvedimento ha specificato che contrariamente all’assunto difensivo, reiterato anche in questa sede – la misura
non è stata disposta in forza di un provvedimento cautelare invero assente, ma
costituisce una nuova fase esecutiva dell’unico ed originario decreto di
sequestro, in precedenza eseguito soltanto in parte qua, ovvero in ragione di
quanto rinvenuto sul conto corrente. E senza che, peraltro, possa aver rilievo nella presente fase cautelare – l’origine “stipendiale” della nuova somma
individuata che, come tale (ed a prescindere dall’effettiva dimostrazione di ciò),
non può certo costituire una censura al provvedimento impugnato; al pari, poi,
del ruolo improprio che avrebbe ricoperto l’istituto di credito, al quale la
ricorrente rimprovera una sostanziale attività di delazione.
Orbene, si tratta, all’evidenza, di una motivazione adeguata, sostenuta da
solido apparato argomentativo e priva di contraddizioni; una motivazione – si
ribadisce – sulla quale il presente gravame non spende alcuna effettiva censura,
reiterando le doglianze già presentate in fase di merito.
Da ultimo, risultano palesemente inammissibili anche i motivi aggiunti di cui
alla memoria depositata il 25/5/2015; ed invero, gli stessi non attengono affatto
al contenuto dell’ordinanza del 5-11/12/2015, l’unica qui in esame, ma
riguardano il provvedimento genetico della misura (ordinanza del 4/4/2014,
confermata dal Tribunale del riesame il 6-11/6/2014), sul quale questa Sezione
si è già è già pronunciata – anche su ricorso della A.A., ed in ordine alle
medesime questioni qui riprodotte – con sentenza dell’11/2/2015, n. 11499.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della
sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a

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vieta che il sequestro sia attuato con più concreti atti di sottoposizione a vincolo

norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché
quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende,
equitativamente fissata in euro 1.000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.

nsigliere estensore

Il Presidente

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2015

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