Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28759 del 03/06/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 28759 Anno 2016
Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di Filannino Domenico, n. a Milano
il 23/10/1972, rappresentato e assistito dall’avv. Corrado Limentani,
di fiducia, avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano, quarta
sezione penale, n. 272/2011, in data 05/12/2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto Procuratore generale dott. Enrico
Delehaye che ha concluso chiedendo di dichiararsi l’inammissibilità
del ricorso.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con sentenza in data 05 dicembre 2014, la Corte d’appello di
Milano confermava la condanna pronunciata all’esito di giudizio
abbreviato a carico di Domenico Filaninno dal Giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Milano in data 10 novembre 2010

Data Udienza: 03/06/2016

per il reato di riciclaggio.
Secondo l’accusa il Filaninno, al fine di trarne un profitto,
consapevole dell’illecita provenienza, acquistava o comunque riceveva
da persona rimasta sconosciuta l’autovettura marca Lancia modello
Ypsilon originariamente immatricolata con targa nazionale DF 086 WN
e caratterizzata dalla sigla identificativa ZLA84300003103103,
provento di furto in danno di Beriozza Fabio, denunciato in data

finalizzate ad ostacolarne l’identificazione, in particolare dotava la
stessa di targhe non proprie CZ 659 CZ, sostituendo la targhetta di
identificazione riportante i reali dati di punzonatura e modificando la
sigla identificativa originaria ZLA84300003103103 in quella apocrifa
ZLA84300003024680 e dei documenti di circolazione.
2. Avverso detta sentenza, nell’interesse di Domenico Filaninno,
viene proposto ricorso per cassazione per i seguenti motivi:
-vizio di motivazione in relazione all’affermazione della penale
responsabilità, con conseguente violazione dell’art. 192, comma 2
cod. proc. pen. (primo motivo);
-violazione di legge per erronea applicazione dell’art. 81 cod. pen.
(secondo motivo).
2.1. In relazione al primo motivo, si lamenta l’erroneità logica
che inficia la decisione impugnata. Invero, la Corte territoriale, con un
fragile sillogismo, ha inferito la responsabilità dell’imputato dal fatto
che questi avesse il possesso della vettura riciclata, senza compiere
alcuna ulteriore analisi sulla sua condotta. Dalla lettura delle
risultanze processuali emergono solo due circostanze, dalle quali non
è possibile inferire la responsabilità del Filannino per il reato di
riciclaggio: più precisamente emerge solo che l’autovettura è stata
oggetto materiale di una condotta di riciclaggio da parte di ignoti e
che l’imputato ne è venuto in possesso.
2.2. In relazione al secondo motivo, si censura la decisione dei
giudici di merito che non hanno in concreto individuato l’aumento
minimo per la continuazione, limitandosi ad indicare l’aumento ex art.
81 cpv. cod. pen. nella misura di mesi sei di reclusione, senza dare
ragione del corretto esercizio del potere discrezionale.
3. Il ricorso, oltre ad esporre – almeno in parte – censure in
fatto non consentite nella presente sede di legittimità, è anche

08.07.2008: autovettura sulla quale l’imputato compiva operazioni

manifestamente infondato e, come tale, risulta inammissibile.
4. Con riferimento al primo – manifestamente infondato motivo di ricorso, va preliminarmente evidenziato come non sia
denunciabile il vizio di motivazione con riferimento a questioni di
diritto.
Invero, come più volte chiarito dalla giurisprudenza di codesta
Suprema Corte (cfr., Sez. 2, n. 3706 del 21/01/2009, PC in proc.

altri, Rv. 247123), anche sotto la vigenza dell’abrogato codice di rito
(Sez. 4, n. 6243 del 07/03/1988, Tummarello, Rv. 178442), il vizio di
motivazione denunciabile nel giudizio di legittimità è solo quello
attinente alle questioni di fatto e non anche di diritto, giacché ove
queste ultime, anche se in maniera immotivata o
contraddittoriamente od illogicamente motivata, siano comunque come nella fattispecie – esattamente risolte, non può sussistere
ragione alcuna di doglianza, mentre, viceversa, ove tale soluzione
non sia giuridicamente corretta, poco importa se e quali argomenti la
sorreggano. E, d’altro canto, l’interesse all’impugnazione potrebbe
nascere solo dall’errata soluzione di una questione giuridica, non
dall’eventuale erroneità degli argomenti posti a fondamento
giustificativo della soluzione comunque corretta di una siffatta
questione (Sez. 4, n. 4173 del 22/02/1994, Marzola ed altri, Rv.
197993).
Il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione
attenga alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la
oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando
preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le tante, cfr., Sez. 3, n.
12110 del 21/11/2008, dep. 2009, Campanella e altro, Rv. 243247;
Sez. 6, n. 23528 del 06/06/2006, Bonifazi, Rv. 234155). Inoltre,
l’illogicità della motivazione, per essere apprezzabile come vizio
denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare
percepibile ictu cc/Ai, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo
essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti
le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni
difensive che, anche se non espressamente confutate, siano

/

Haggag, Rv. 242634; Sez. 2, n. 19696 del 20/05/2010, Maugeri e

logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano
spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez.
3, n. 35397 del 20/06/2007, Tranchida e altro, Rv. 237539; Sez. U,
n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
Infine, il vizio della manifesta illogicità della motivazione deve
essere evincibile dal testo del provvedimento impugnato.
5. Fermo quanto precede, ritiene il Collegio come ampia e

Corte territoriale in ordine alla configurabilità del reato contestato ed
alla sua attribuibilità certa all’odierno ricorrente.
5.1. Invero, le osservazioni critiche articolate nel primo motivo
di ricorso si risolvono nell’introduzione di temi in fatto diversi da quelli
emergenti dalla ricostruzione – vincolante perché esente da vuoti
logici – resa nel doppio giudizio di conformità operato dai giudici del
merito, assumendo i toni tipici ed altrettanto inammissibili, delle
valutazioni alternative rispetto a quelle segnalate in sentenza non
adeguatamente supportate dall’indicazione dei profili di manifesta
illogicità del motivare della Corte destinati ad inficiarne il portato,
basato su dati oggettivi ampiamente giustificati e ricostruttivi di una
realtà fattuale del tutto lineare e verosimile.
5.2. Costituisce principio ormai consolidato della giurisprudenza
dì questa Suprema Corte come integri l’elemento oggettivo del reato
di riciclaggio qualsiasi operazione tesa ad ostacolare l’identificazione
della provenienza delittuosa del bene (cfr., Sez. 2, n. 12766 del
11/03/2011, Spagnolo ed altro, Rv. 249678).
5.2.1. Invero, con la riforma attuata dalla L. 9 agosto 1993, n.
328, art. 4, il delitto di riciclaggio è a forma libera, grazie alla
previsione di chiusura che, alle condotte di sostituzione o
trasferimento, ha aggiunto qualsiasi altra operazione atta ad
ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del bene: è
pacifico che possa trattarsi di operazioni anche meramente materiali
sui beni (diversamente, sarebbe bastato ad integrare il delitto il
trasferimento della

res,

già previsto come condotta rilevante

nell’originaria formulazione della norma incriminatrice), purché tali da
ostacolare “l’identificazione della loro provenienza delittuosa”.
5.2.2.

Il

riferimento

alle

condotte

che

ostacolano

l’identificazione della provenienza delittuosa – e, prima ancora, a

totalmente esente da vizi logico-giuridici sia la motivazione della

quelle di trasferimento – icasticamente evidenzia che la condotta del
soggetto attivo del reato può incidere tanto sulla mera identità del
bene, ovvero sulla sua “riconoscibilità”, quanto sulla “tracciabilità” del
suo percorso.
Invero, per escludere il delitto di riciclaggio non basta che il
bene resti astrattamente tracciabile se poi, proprio in forza di
interventi di manomissione delle sue componenti, se ne altera

l’identità in modo da non renderlo più riconoscibile. E, per converso,
un bene può restare fisicamente identico e, ciò nondimeno, di difficile
tracciabilità a cagione di plurimi trasferimenti dopo essere stato
sottratto alla sfera di controllo del suo titolare (cfr., Sez. 2, n. 11186
del 09/02/2016, Dama, non massimata sul punto).
5.2.3. Nel caso dei beni mobili registrati, la tracciabilità è legata
alle relative risultanze documentali e queste ultime all’identità del
mezzo che è data non soltanto dagli identificativi fisicamente impressi
sul bene (come i numeri di telaio o di motore) o comunque ad esso
incorporati (come la targa), ma anche dal modello e dall’epoca di
produzione: non è quindi necessario, per integrare il delitto di
riciclaggio di un autoveicolo di provenienza delittuosa, che siano
alterati i dati identificativi dello stesso quali il telaio, il numero di
targa o quello del motore, potendosi ottenere il risultato di occultarne
la provenienza delittuosa anche smontando il veicolo e vendendo o
riutilizzando i singoli pezzi (smontaggio e riutilizzo integrano infatti
proprio l’elemento specializzante della più grave fattispecie di
riciclaggio – rispetto a quella di ricettazione – consistente, come detto,
nell’ostacolare l’individuazione della provenienza delittuosa dei beni).
6. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di
ricorso.
Si è, infatti, in presenza di una pena legalmente applicata,
avendo i giudici d’appello evidenziato come il Tribunale, pur
dimenticando di esplicitare l’aumento ex art. 81 cod. pen. in relazione
al capo B), abbia in concreto individuato il minimo edittale possibile.
7. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod.
proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle
ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti
dal ricorso, si determina equitativamente in euro 1.500,00

5

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00
alla Cassa delle ammende.
Sentenza a motivazione semplificata.

Così deciso il 03/06/2016.

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