Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28753 del 01/04/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 28753 Anno 2016
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: IMPERIALI LUCIANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
ROMA
nei confronti di:
IACOVACCI GIANLUCA N. IL 27/07/1984
ANTONACCI ADRIANO N. IL 10/06/1987
avverso la sentenza n. 1/2015 CORTE ASSISE APPELLO di ROMA,
del 21/05/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 01/04/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCIANO IMPERIALI
Udito il Procuratore Generale in persow del Dott. -Fa_
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che ha concluso per (2-z13 t+-o

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LLJ

Data Udienza: 01/04/2016

RITENUTO IN FATTO
1.

Con sentenza del 18/7/2014 il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di

Roma, all’esito di giudizio abbreviato, ha riconosciuto la penale responsabilità di Iacovacci
Gianluca ed Antonacci Adriano in ordine al delitto di associazione con finalità di terrorismo e di
eversione ex art. 270 bis cod. pen., e ad una pluralità di attentati con esplosivi e di
danneggiamenti qualificati con finalità dì eversione e terrorismo, commessi in varie località dei
Castelli Romani tra l’ottobre del 2010 e il dicembre del 2012.
2.

La Corte di Assise di Appello di Roma, con sentenza del 21/5/2015, in riforma della

capo 1) perché il fatto non sussiste, ha qualificato i fatti contestati ex art. 280 bis cod. pen.
come danneggiamento aggravato ex art. 635 commi 1, 2 e 3 cod. pen., esclusa per tutti
l’aggravante della finalità di terrorismo ex art. 1 D.L. 625/1979, e, concesse al solo Antonacci
le attenuanti generiche come equivalenti alle residue aggravanti, ha rideterminato in misura
ritenuta di giustizia le pene inflitte agli imputati.
3.

Ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di

Appello di Roma, sollevando quale motivo di impugnazione l’erronea applicazione della legge
penale, in relazione agli artt. 270 bis cod. pen., 280 bis cod. pen. e 1 D.L. 625/1979, la
mancanza ed illogicità della motivazione sul punto, soprattutto rispetto alla ritenuta
responsabilità in ordine ad undici attentati commessi nella zona dei Castelli dal 9/11/2010
all’11/12/2012 e rivendicati con sigle richiamanti la FAI, con scritte murali, striscioni e
comunicati apparsi su siti internet, ed il travisamento e l’omessa motivazione delle prove
offerte dall’accusa in ordine alla sussistenza dell’a ffectio societatis

ed alla natura di

associazione sovversiva propria della FAI. In particolare, l’ufficio ricorrente contesta la
scissione operata dalla Corte territoriale, quanto alle finalità, tra le azioni che hanno avuto
come protagonista il solo Iacovacci e quelle invece poste in essere congiuntamente da
entrambi gli imputati, e lamenta l’omessa motivazione sul punto specifico della
contestualizzazione delle condotte ascritte a Iacovacci ed Antonacci all’interno del più ampio
scenario disegnato dal movimento anarchico, sicché si assume che l’insussistenza della
fattispecie di cui all’art. 280 cod. pen. e l’esclusione della finalità di terrorismo od eversione
sarebbero state effettuate in modo apodittico, nel difetto della contestualizzazione delle
condotte richiesta anche dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte (sez. VI, 27/6/2014 n.
28009).
4.

Con memoria depositata in data 16/3/2016 la difesa dell’Antonacci ha chiesto

dichiararsi inammissibile il ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e non può trovare accoglimento, in quanto nessuna violazione del
dettato normativo di cui agli artt. 270 bis cod. pen., 280 bis cod. pen. e 1 D.L. 625/1979 può
ravvisarsi nella sentenza impugnata che, invece, risulta aver fatto buon uso dell’elaborazione
2

pronunzia di prime cure, ha assolto gli imputati dal delitto di associazione sovversiva di cui al

giurisprudenziale, anche di questa Corte di Cassazione, in tema di associazione ex art. 270 bis
cod. pen. e, più in generale, in tema di finalità di terrorismo e di eversione, ed ha altresì
valutato gli elementi di prova acquisiti con un percorso argomentativo privo di vizi logici
censurabili in questa sede.
Al fine di contestualizzare le condotte ascritte allo Iacovacci ed all’Antonacci, giova rilevare
che dalla sentenza impugnata emerge che i fatti oggetto del giudizio della Corte di Assise
Appello di Roma sono costituiti da una serie di attentati ed episodi di danneggiamento di
matrice anarchica ricondotti dagli inquirenti all’attività della FAI, Federazione Anarchica

vasta e ramificata associazione di matrice anarchica internazionale il cui programma si ispira
alle teorizzazioni dell’ideologo Alfredo Maria Bonanno. Oggetto del procedimento sono, in
particolare, undici attentati commessi nella zona dei Castelli romani dal 9/11/2010
all’11/12/2012, oggetto di rivendicazioni, a partire dal 22/11/2011, con la sigla FAI Individualità Anarchiche Anticivilizzazione, FAI/FRI Individualità Sovversive Anticivilizzazione,
con scritte murali apparse in occasione di singoli episodi criminosi, con striscioni o con
comunicati apparsi sui siti Internet di area anarchica.
1.1. La sentenza di primo grado aveva ritenuto che i predetti Iacovacci ed Antonacci non si
fossero limitati ad aderire al programma criminoso della predetta federazione anarchica, ma
avessero anche costituito una “cellula” (o “gruppo di affinità”, secondo il linguaggio
dell’ideologo Bonanno), denominata “Individualità Sovversive Anticivilizzazione” o ”
Individualità Anarchiche Anticivilizzazione”, così ponendo in essere i fatti specifici loro
addebitati come atti qualificanti l’adesione al progetto sovversivo della FAI.
La Corte di Assise di Appello ha mostrato, invece, di non condividere tale ricostruzione, e
senza vizi logici ha esposto le ragioni che portavano a distinguere le posizioni dello Iacovacci
da quelle dell’Antonacci, e che, soprattutto, non consentivano di ritenere che i predetti
avessero costituito un “gruppo di affinità” o una cellula aderente alla FAI.
La Corte territoriale, invero, non ha contestato in alcun modo i legami tra i due imputati,
rilevando come i due – entrambi originari della zona dei Castelli romani, teatro degli attentati
di cui si tratta – siano amici e si frequentino con continuità, accomunati tanto da una fede
anarchica quanto da un rapporto personale, nell’ambito del quale viene riconosciuta anche
l’influenza esercitata dal più adulto Iacovacci sul più giovane Antonacci, ed ha rilevato come
entrambi non abbiano fatto mistero di essere anarchici e di condividere gli aspetti più radicali
che connotano l’ideologia di riferimento. Tanto premesso, però, la Corte territoriale ha
osservato che – come riconosciuto anche dalla sentenza di primo grado – soltanto attentati
realizzati a far data dal 22/11/2011 sono stati oggetto di rivendicazione “FAI”, ed ha rilevato
che si tratta di attentati ascritti tutti al solo Iacovacci, mentre le azioni compiute dai due in
concorso tra loro sono state rivendicate, genericamente, come azioni anarchiche, senza alcun
riferimento alla FAI.

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Informale, ed alla sua successiva evoluzione in FAI/FRI, Fronte Rivoluzionario Internazionale,

Anche tenendo conto dell’ascendente esercitato dallo Iacovacci sul più giovane Antonacci,
pertanto, la Corte territoriale ha ritenuto significativo che le azioni comuni siano state concluse
e condotte a termine al di fuori di qualsiasi riferimento, esplicito o implicito, alle teorizzazioni
della FAI, in coerenza, del resto, con il comportamento processuale dell’Antonacci,
proclamatosi anarchico individualista, e ne ha tratta la logica conseguenza che non potesse
riconoscersi la prova di alcun legame tra lo stesso Antonacci e la macro-associazione FAI,
mentre numerosi elementi indicavano come azioni ascritte al solo Iacovacci fossero, invece,
inquadrabili in uno schema di adesione individuale al programma della FAI. Senza alcuna

l’Antonacci “in un gruppo di affinità a due” sicuramente di stampo anarchico, ma non
direttamente riconducibile alla FAI, riservando a sé, invece, le azioni che potevano essere
“firmate” sulla base del manifesto programmatico del Bonanno.
Deve rilevarsi, a tal proposito, che questa Corte di Cassazione ha già avuto modo di
riconoscere in più occasioni la configurabilità del reato di cui all’art. 270 bis cod. pen. con
riferimento a soggetti stabilmente dediti al compimento di atti di violenza secondo il predetto
manifesto programmatico (Cass. sez. 1, n. 21686 del 22/4/2008, Rv. 240075; sez. 5, n. 46340
del 4/7/2013, Rv. 257547), ma si è sempre trattato di soggetti che non si erano limitati ad
aderire singolarmente ed individualmente a tale programma, e si erano invece associati in
“gruppi di affinità” ispirati a tale programma, gruppi nei quali sono stati riconosciuti gli estremi
dell’associazione ex art. 270 bis cod. pen.
Deve ritenersi, infatti, che l’organismo “fluido” teorizzato dal Bonanno, al quale si ispira la
FAI, dì per sé mal si concili con lo schema dell’art. 270 bis cit., mentre le finalità di tale
organismo hanno indotto più volte questa Corte di Cassazione a riconoscere la natura dì
associazione sovversiva ai “gruppi di affinità” che alla stessa FAI si ispirano, ben potendo tali
gruppi o cellule presentare i requisiti richiesti dalla norma incriminatrice. Così, con riferimento
ad un gruppo di affinità costituito tra anarchici ed ecologisti che, adendo alla FAI “Federazione Anarchica Informale”, avevano posto in essere anche atti di violenza, questa
Corte ha, tra l’altro, rilevato che “in presenza di un gruppo che aveva fatto dell’eversione il
proprio scopo, attraverso la deliberazione di un programma e il compimento concreto di atti di
violenza secondo il piano teorizzato dall’ideologo Bonanno, e che aveva inoltre realizzato in
parte il suo programma, non vi è dubbio che si trattasse di un’associazione sovversiva” (Cass.
sez. 1, n. 21686 del 22/4/2008, Rv. 240075).
Non sembra discostarsi da tale orientamento nemmeno la più recente pronunzia di questa
Corte invocata dal ricorrente, (sez. 5, n. 46340 del 4/7/2013, Rv. 257547), che ha riconosciuto
l’esistenza di gravi indizi in ordine al reato di cui all’art. 270 bis cod. pen. con riferimento ad
aderenti alla FAI costituitisi in un gruppo di affinità, rilevando in quel caso all’interno di tale
compagine criminosa – ancorché non gerarchizzata – una chiara suddivisione di ruoli fra
ideologi e militanti operativi, la disponibilità di forme di finanziamento e di un simbolo nonché il
proposito, desumibile dai suoi progetti e risultante dalle azioni commesse in esecuzione del
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illogicità motivazionale, pertanto, la Corte di merito ha ritenuto che lo Iacovacci abbia coinvolto

programma associativo, di intimidire indiscriminatamente la popolazione, suscitando terrore e
panico e non già di indirizzarsi esclusivamente ad obiettivi di elezione allo scopo di ottenere un
effetto paradigmatico. Anche in tale circostanza, però, la Corte aveva riconosciuto tali
caratteristiche in un “gruppo di affinità” aderente alla FAI, e non già nel mero compimento di
azioni individuali ispirate al programma del Bonanno, ed aveva conseguentemente configurato
tale cellula o gruppo come un’associazione sovversiva ex art. 270 bis cod. pen..
Senza incorrere in vizi logici, invecesentenza impugnata ha rilevato, con riferimento – ad
esempio – ai fatti di cui ai capi 13 e 14 dell’imputazione, commessi il 14 ed il 22 dicembre

esplosivi di alcuni giorni prima rivendicati da altra entità anarchica e come risposta ad un
appello lanciato alcuni giorni prima dall’organismo anarchico greco “CCF” (Conspiracyt Cells of
Fire): si è riconosciuto trattarsi, pertanto, di adesioni meramente individuali ad un progetto
insurrezionalista più ampio, come tali inidonee ad integrare il reato di cui all’art. 270 bis cod.
pen., se non accompagnate dalla costituzione di una cellula, un gruppo di affinità intenzionato
ad operare secondo il programma del Bonanno e dotatosi quantomeno di un’embrionale
struttura e di un programma deliberato e comunemente condiviso.
Premesso, infatti, che ogni reato associativo ha come presupposti imprescindibili
un’organizzazione anche minima, con predisposizione di attività e di mezzi tra gli associati, un
“pactum sceleris” costituito dall’accordo generale e continuativo tra questi ed un programma
criminoso volto alla commissione di un numero indeterminato di delitti, la sentenza impugnata,
richiamando precedenti giurisprudenziali di merito, ha rilevato nel caso in esame la mancanza
di un organismo centrale cui fosse demandato il compito di decidere e di programmare i singoli
episodi criminosi, osservando anche che questo sarebbe stato in contrasto con il modello
costruito dall’ideologo ispiratore Bonanno, che propugnava “azioni dirette” di volta in volta
deliberate da singoli o da piccoli gruppi; la sentenza ha rilevato, poi, la mancanza anche di
luoghi di incontro tra gli associati, di depositi di armi, di attività di finanziamento – in questo
caso assolutamente assenti – di uno “scambio di documenti sia pure di area”, sicché si è
logicamente ritenuto che il compimento di azioni dirette in adesione al manifesto
programmatico non fosse idoneo ad integrare un’adesione ad una già esistente organizzazione
criminosa. Anche con riferimento ai siti Internet che hanno ospitato rivendicazioni, la sentenza
impugnata non ha escluso trattarsi di siti ove chiunque può avere libero accesso in quanto, nel
quadro del pensiero anarchico, a chiunque sarebbe consentito “ratificare” a nome di
chicchessia qualunque “azione diretta”: senza incorrere in illogicità evidenti, pertanto, si è
riconosciuto che tale ratifica non costituisca un valido indice di appartenenza ad un sodalizio
criminoso.
1.2. Sono infondati anche i motivi di gravame inerenti la configurabilità del delitto di cui
all’art. 280 bis cod. pen., in luogo di quello di cui agli artt. 635 commi 1, 2 e 3 cod. pen.
ritenuto dalla sentenza impugnata con riferimento ai fatti contestati ai capi 2, 3, 4, 12 e 15, ed
inerenti, altresì, l’esclusione dell’aggravate di cui all’art. 1 D.L. 625/79.
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2011, come il solo Iacovacci abbia posto in essere alcuni delitti come adesione agli attentati

Secondo l’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte di Cassazione, che il Collegio
condivide, infatti, per ritenere integrata la finalità di terrorismo di cui all’art. 270 sexies cod.
pen., elemento costitutivo del reato di cui all’art. 280 bis cod. pen., riconosciuto dalla sentenza
di primo grado, non è sufficiente che l’agente abbia intenzione di arrecare un grave danno al
Paese, ma è necessario che la sua condotta crei la possibilità concreta – per la natura ed il
contesto obiettivo dell’azione, nonché degli strumenti di aggressione in concreto utilizzati – che
esso si verifichi, nei termini di un reale impatto intimidatorio sulla popolazione, tale da
ripercuotersi sulle condizioni di vita e sulla sicurezza dell’intera collettività, posto che solo in

(così Cass. sez. 1, n. 47479 del 16/7/2015, Rv. 265405, che ha escluso la sussistenza della
finalità di terrorismo negli episodi di danneggiamento ai cantieri TAV, ritenendo che le condotte
delittuose non fossero concretamente idonee a costringere le pubbliche autorità a rinunciare
alla realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità, né avessero la capacità di produrre un
grave danno al Paese). Anche la pronunzia di questa Corte invocata dal ricorrente (sez. 6, n.
28009 del 15/5/2014, Rv. 260076) ha riconosciuto che per ritenere integrata la finalità di
terrorismo di cui all’art. 270 sexies cod. pen. non è sufficiente la direzione dell’atteggiamento
psicologico dell’agente, ma è necessario che la condotta posta in essere del medesimo sia
concretamente idonea a realizzare uno degli scopi indicati nel predetto articolo (intimidire la
popolazione, costringere i poteri pubblici a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto,
destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali ecc. di un Paese o
di un’organizzazione internazionale), determinando un evento di pericolo di portata tale da
incidere sugli interessi dell’intero Paese.
Rilevando come il soggetto passivo del danno di cui all’art. 270 sexies sia stato dalla
norma indicato nel Paese – o in un’organizzazione internazionale – e non già nei patrimoni
privati in quanto tali, e come la stessa norma abbia richiesto anche il requisito della gravità di
tale danno, pertanto, la sentenza impugnata non è incorsa in alcun vizio logico laddove ha
ritenuto di non poter qualificare come attentati terroristici le condotte contestate ai predetti
Iacovacci ed Antonacci (quali collocare ordigni artigianali e lanciare bottiglie incendiarie allo
scopo di danneggiare istituti bancari o il centro Eni-Green Power), perché dei requisiti
sopraindicati tali condotte presentavano solo i caratteri della violenza e dell’illiceità, ma erano
dirette verso istituzioni private o un ente pubblico, quale l’ENI, sicché avevano un rapporto con
lo Stato solo generico e mediato e, peraltro, non è illogico ritenere che non potessero arrecare
allo Stato “un grave danno”, né si trattava di azioni per loro natura idonee a determinare un
effetto intimidatorio sulla popolazione, al punto tale da ripercuotersi sulle condizioni di vita e
sulla sicurezza dell’intera collettività, posto che solo in presenza di tali condizioni lo Stato
potrebbe sentirsi effettivamente coartato nelle sue decisioni.
In particolare, deve ritenersi congrua l’osservazione della Corte di merito secondo cui tale
costrizione potrebbe connettersi solo ad un obiettivo o ad una serie di obiettivi concretamente
individuabili, mentre il generico richiamo alla lotta contro il sistema capitalistico non può
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presenza di tali condizioni lo Stato potrebbe sentirsi effettivamente coartato nelle sue decisioni.

ritenersi sufficiente a determinare il rischio di un condizionamento delle scelte dello Stato in
conseguenza di fatti dell’entità di quelli contestati agli imputati, né il collegamento di tali fatti
con altre “azioni dirette” è stato ritenuto idoneo a conferire a tali azioni una forza di costrizione
nei confronti dello Stato. Infine, deve ritenersi corretta la considerazione secondo cui non ogni
turbamento arrecato all’opinione pubblica possa definirsi “intimidazione”, se non produce quel
senso di insicurezza ed instabilità diffuse che con valutazione incensurabile in questa sede sono
stati ritenuti non configurabili in situazioni correlate a fatti privi della gravità tale da essere
percepiti come una minaccia grave e diretta alla pacifica convivenza.

impugnata non ha riconosciuto l’aggravante della eversione dell’ordine democratico rilevando
che questa non può identificarsi nel concetto di una qualsiasi azione politica violenta, non
potendo rappresentare un’endiadi della finalità di terrorismo, ma si identifica necessariamente
nel sovvertimento del basilare assetto istituzionale e nello sconvolgimento del suo
funzionamento, ovvero nell’uso di ogni mezzo di lotta politica – caratterizzato o meno dall’uso
della tradizionale violenza – che sia in grado di rovesciare, destabilizzando i pubblici poteri e,
minando le comuni regole di civile convivenza, sul piano strutturale e funzionale, il sistema
democratico previsto dalla Carta costituzionale. Lo stesso condivisibile orientamento
giurisprudenziale ritiene, inoltre, necessario che la finalizzazione dell’azione verso l’obiettivo
eversivo sia perseguito con mezzi oggettivamente idonei a mettere in pericolo la vita della
democrazia e a ledere l’effettiva vigenza dei suoi principi (sez. 5, n. 25428 del 13/3/2012, Rv.
253305) sicché non si riscontrano illogicità evidenti nell’affermazione secondo cui la
collocazione di ordigni artigianali, il lancio di bottiglie incendiarie e l’imbrattamento di vetrine
non possono essere ritenute condotte idonee a disarticolare la vita democratica del Paese.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso.

Così deciso nella camera di consiglio del 1° aprile 2016.

Allo stesso modo, conformemente all’insegnamento di questa Corte, la sentenza

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