Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28748 del 03/03/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 28748 Anno 2016
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: DE CRESCIENZO UGO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BORDACCONI GIANCARLO N. IL 08/05/1948
avverso la sentenza n. 11853/2012 CORTE APPELLO di ROMA, del
25/06/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 03/03/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. UGO DE CRESCIENZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso

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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.
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Data Udienza: 03/03/2016

MOTIVI DELLA DECISIONE

BORDACCONI Giancarlo, tramite il difensore, ricorre per Cassazione avverso la
sentenza 25.6.2013 con la quale la Corte d’Appello di Roma, confermando la decisione 10.7.2016 del GIP del Tribunale dell’omonima città, lo ha condannato alla
pena di anni tre, mesi quattro di reclusione e 4.600,00 € di multa per la violazione
degli artt.: a) 56, 110, 629 cod. pen., b) 81 cpv., 644 comma 1 e 5 nn. 3 e 4,
cod. pen; c) 56, 81 cpv., 629 cod. pen., fatti commessi in Roma fino al
25.11.2011, con la recidiva specifica infraquinquiennale.

La difesa chiede l’annullamento della decisione impugnata deducendo i seguenti
motivi così riassunti ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
1) Inosservanza o erronea applicazione della legge penale in riferimento ai capi a)
e c) e in relazione agli artt. 110 cod. pen., 192, 533 cod. proc. pen. La difesa si
duole che la Corte territoriale abbia fondato la dichiarazione di responsabilità basandosi sulle sole dichiarazioni rese dalla parte offesa, la quale ha assunto nel corso del giudizio la posizione processuale di “parte civile”, con la conseguenza che le
sue dichiarazioni dovevano essere oggetto di un più approfondito vaglio. Con più
specifico riferimento al delitto di cui al capo a), la Corte territoriale non avrebbe
fornito più precisa indicazione in riferimento al contributo causale dato dall’imputato.
2) Inosservanza o erronea applicazione della legge penale con riferimento al delitto di cui al capo b) in relazione agli artt. 69 e 133 cod. pen. La difesa sì duole che
le circostanze generiche ex art. 69 cod. pen. siano state riconosciute in misura solo equivalente alle contestate aggravanti pur essendo il ruolo dell’imputato apparso più ridimensionato rispetto alla originaria imputazione. La difesa si duole infine
del fatto che la Corte territoriale non abbia preso in considerazione tutti i parametri previsti dall’art. 133 cod. pen. ai fini della determinazione della sanzione che
appare del tutto sproporzionata rispetto al fatto.

RITENUTO IN DIRITTO

Il ricorso è manifestamente infondato per plurime e convergenti ragioni.
Va in primo luogo osservato che in questa sede la difesa si limita a riproporre le
medesime questioni di fatto già dedotte con il giudizio di appello, senza addurre
alcuna specifica critica riconducibile alla motivazione della decisione impugnata o
alla applicazione della legge penale ed in particolare dell’art. 110 cod. pen.
Sotto quest’ultimo profilo, si può notare che la Corte territoriale ha individuato e
descritto il ruolo dell’imputato iscrivendo, con riferimento al capo a), la condotta
nel paradigma dell’istigatore e mandante delle illecite condotte realizzate dal
coimputato nei confronti della persona offesa.

1

Con riferimento poi al fatto che la prova sia stata rinvenuta nelle sole dichiarazioni
della persona offesa, va osservato che la Corte d’Appello (come anche il giudice di
primo grado) le ha attentamente valutate ritenendole complete, accurate e corroborate da riscontri oggettivi (contenuto delle agende sequestrate all’imputato) e
dalle parziali ammissioni dello stesso imputato [pag. 8 della sentenza]. Conclusivamente la Corte d’Appello, con motivazione adeguata ha giudicato attendibile la
persona offesa e la di lei figlia e ha rilevato la aderenza del dichiarato alle risultanze investigative. In diritto la decisione è corretta, rispettosa dei parametri fissati
da questo giudice della legittimità in plurime decisioni per le quali va ribadito che

le dichiarazioni della persona offesa, costituita parte civile, possono da sole, senza
la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell’affermazione di
responsabilità penale dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del
suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. A tal
fine è necessario che il giudice indichi le emergenze processuali determinanti per
la formazione del suo convincimento, consentendo così l’individuazione dell’iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata [Cass. Sez. 5 n. 1666
8.7.2014, Pirajno e altro in Ced Cass. Rv 261730; Cass. sez. 2 n. 43278
24.9.2015, Manzini, in Ced Cass. Rv 265104].
Con riferimento al secondo motivo di ricorso va osservato che la decisione supera
le censure mosse che peraltro investono aspetti di merito che non sono sindacabile in questa sede. La Corte territoriale, pur prendendo in considerazione le risultanze degli accertamenti contabili, ha valutato la condotta dell’imputato in termini
di gravità del fatto a cagione della protrazione della condotta usuraria per un apprezzabile lasso di tempo (quattro anni), della intensità del dolo e dalle modalità
di riscossione delle rate del prestito usurario. Trattasi di motivazione adeguata e
non manifestamente illogica in relazione alla entità della sanzione statuita, alla
luce già della sola considerazione che oggetto del giudizio sono una pluralità di
condotte integratrici di reati ritenuti in concreto gravi. Con riferimento ai criteri di
valutazione ex art. 133 cod. pen., sia ai fini della determinazione del trattamento
sanzionatorio che alla negazione delle attenuanti generiche si deve ribadire che il
giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133
cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità
del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso [Cass. sez 2 n. 3609 18.1.2011, Sermone e altri, in Ced
Cass. Rv 249163]. Per tale ragione nessuna carenza di motivazione è riscontrabile
nella decisione impugnata.

2

Per le suddette ragioni il ricorso è inammissibile e il ricorrente va condannato al
pagamento delle spese processuali e del versamento della somma di C 1.000,00
alla Cassa delle Ammende, così equitativamente determinata la sanzione amministrativa stabilita dall’art. 616 cod. proc. pen., ravvisandosi nella condotta processuale dell’imputato gli estremi della responsabilità ivi stabilita.

P.Q.M.

processuali e della somma di C 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il 3.3.2016

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

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