Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28747 del 19/04/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28747 Anno 2016
Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: GAI EMANUELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Cenicola Angelo, nato a Pavullo nel Frignano il 16/1171975

avverso la sentenza del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di
Modena, in data 08/10/2015;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Pietro Gaeta, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 8 ottobre 2016, il Giudice delle indagini preliminari
del Tribunale di Modena ha applicato, su accordo delle parti, a Cenicola Angelo la
pena di anni uno di reclusione in ordine ai reati di cui agli artt. 2 d.lgs 10 marzo
2000, n. 74 (capo a), 3 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 (capo b), fatti accertati in
Modena nel maggio 2014

Data Udienza: 19/04/2016

2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso Angelo Cenicola, a mezzo del
difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo, con un unico
motivo, la violazione di legge processuale e pena in relazione alla mancata
pronuncia di sentenza ex art. 129 cod.proc.pen. e, con riferimento al capo b),
errata qualificazione giuridica del fatto contestato. Argomenta il ricorrente che
l’illegittima detrazione Iva, l’applicazione di Iva agevolata e la violazione
dell’obbligo di autofatturazione e la mancata registrazione di fatture in contabilità

rilevanza penale.

3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia rigettato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è infondato.
Va precisato, in via preliminare, come il ricorrente, pur in presenza di una
specifica motivazione (vedi pag. 2 della sentenza) circa gli elementi dai quali il
giudice ha tratto il convincimento della penale responsabilità, non indichi alcun
elemento che il giudice stesso avrebbe dovuto considerare e che invece non ha
valutato per applicare la disposizione reclamata (art. 129 cod. proc. pen.), con la
conseguenza che, sotto tale profilo, il motivo non rispetta il requisito della
specificità inderogabilmente richiesto dall’art. 581, comma 1, lett. c) cod. proc.
pen. per l’ammissibilità di qualsiasi gravame.
5. Questa Corte ha affermato che, in caso di patteggiamento ai sensi dell’art.
444 cod. proc. pen., l’accordo intervenuto esonera l’accusa dall’onere della prova
e comporta che la sentenza che recepisce l’accordo fra le parti sia da considerare
sufficientemente motivata con una succinta descrizione del fatto (deducibile dal
capo d’imputazione), con l’affermazione della correttezza della qualificazione
giuridica di esso, con il richiamo all’art. 129 cod. proc. pen. per escludere la
ricorrenza di alcuna delle ipotesi ivi previste, con la verifica della congruità della
pena patteggiata ai fini e nei limiti di cui all’art. 27 Cost. (Sez. 4, n. 34494 del
13/07/2006, P.G. in proc. Koumya, Rv. 234824).
Essendo la sentenza impugnata motivata con riferimento a tutti i suddetti
requisiti e contenendo, peraltro, elementi specifici dai quali è stata desunta la
prova della commissione dei fatti contestati, il vizio denunciato deve ritenersi

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non integrerebbero il fatto di reato contestato trattandosi di condotte prive di

insussistente.
6. Quanto al secondo profilo, deve ricordarsi che secondo la consolidata
giurisprudenza di questa Corte, a partire dalla sentenza S.U. n. 5 del
19/01/2000, Rv 215825, in tema di patteggiamento, l’erronea qualificazione
giuridica del fatto, così come prospettata nell’accordo delle parti recepito dal
giudice, può essere denunciata in sede di legittimità in quanto la qualificazione

essa costituisce errore di diritto rilevante ai sensi dell’art. 606, lett. b) cod. proc.
pen. ( Sez. 5, n. 14314 del 29/01/2010, Sinatra, Rv. 246709; Sez. 4, n. 39526
del 17/10/2006, P.G. in proc. Santoro, Rv. 235389). Ciò non di meno, avuto
riguardo alla natura del rito speciale che si connota per l’accordo tra le parti su
una pena in relazione ai reati contestati, in cui l’imputato rinuncia ad avvalersi
della facoltà di contestare l’accusa ed esonera l’accusa dall’onere probatorio dei
fatti, la possibilità di ricorrere per cassazione avverso la sentenza, emessa ai
sensi dell’art. 444 cod.proc.pen., per errata qualificazione giuridica del fatto,
deve ritenersi limitata alle ipotesi in cui trattisi di un errore manifesto e tale,
quindi, da far ritenere che vi sia stato un indebito accordo non sulla pena ma sul
reato, dovendosi, per converso, escludere detta possibilità, anche sotto il profilo
del difetto di motivazione, mentre deve essere esclusa tutte le volte in cui la
diversa qualificazione presenti margini di opinabilità (ex multis, Sez. 3, n. 34902
del 24/06/2015, Brighitta, Rv. 264153; Sez. 6, n. 15009 del 27.11.2012,
Bisignani, Rv. 254865; Sez. 4, n. 10692 dell’11/03/2010, Hernandez, Rv.
246394; Sez. 6, n. 45688 del 20/11/2008, Bastea, Rv. 241666). Dunque
l’erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza è limitata ai casi in cui
tale qualificazione risulti palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo
di

imputazione,

dovendo

in

particolare

escludersi

l’ammissibilità

dell’impugnazione che richiami, quale necessario passaggio logico del motivo di
ricorso, aspetti in fatto e probatori che non risultino con immediatezza dalla
contestazione, situazione che non ricorre nel caso in esame laddove emerge la
completa descrizione dei fatti e delle operazioni rilevanti fiscalmente
caratterizzate da condotte diverse (illegittime detrazioni Iva, mancata
registrazione in contabilità di fatture comportamento senza dubbio prodromico
alla commissione dei delitti in materia di dichiarazione fiscale ecc.) a fronte della
quale il ricorrente propone una lettura del materiale probatorio alternativa non
consentita nel rito speciale del patteggiamento che, si ricorda, segue alla
richiesta di parte.
7.

Deve pertanto essere riaffermato il principio secondo cui in tema di

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giuridica del fatto è materia sottratta alla disponibilità delle parti e l’errore su di

patteggiamento, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo l’erronea
qualificazione del fatto contenuto in sentenza è limitata ai casi in cui tale
qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza, palesemente eccentrica
rispetto al contenuto del capo di imputazione, dovendo in particolare escludersi
l’ammissibilità dell’impugnazione che richiami, quale necessario passaggio logico
del motivo di ricorso, aspetti in fatto e probatori che non risultino con

8. Il ricorso va, pertanto, rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle
spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 19/04/2016

immediatezza dalla contestazione.

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