Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28728 del 30/03/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28728 Anno 2016
Presidente: GRILLO RENATO
Relatore: DE MASI ORONZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
MELO GIUSEPPE, nato a Melito di Porto Salvo l’ 8/8/1979

avverso la sentenza in data 23/12/2014 della Corte di Appello di Milano

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Oronzo De Masi;
udito il Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale Mario Fraticelli,
che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della impugnata sentenza;

Data Udienza: 30/03/2016

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza dell’11/12/2012 il G.I.P. presso il Tribunale di Monza, all’esito di giudizio
abbreviato, dichiarava MELO GIUSEPPE responsabile del reato p. e p. dal D.P.R. n. 309 del
1990, art. 73, comma 1 bis a lui ascritto per aver illecitamente detenuto all’interno della
propria abitazione 1.550,1 grammi di sostanza stupefacente del tipo marijuana, con una
percentuale di principio attivo del 10,26%, pari a grammi 159,04, destinata ad uso non
esclusivamente personale (fatto accertato in Seveso 1’8/6/2012). Esclusa l’ipotesi lieve di cui

specifica infraquinquennale, ed applicata la riduzione per il rito, condannava l’imputato alla
pena di anni 3 di reclusione ed Euro 14.000 di multa.
L’interposto gravame

dell’imputato, in punto di responsabilità penale, concessione

dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, e trattamento
sanzionatorio, veniva rigettato dalla Corte d’Appello di Milano, con la sentenza del 19/7/2013,
che confermava integralmente la sentenza impugnata.
Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione il MELO e questa Corte, in ragione
della sopravvenuta illegalità della pena edittale applicata dai giudici di merito, conseguente alla
nota pronuncia della Corte costituzionale n. 32 del 12/25 febbraio 2014 – illegalità rilevabile
d’ufficio – disponeva con sentenza n. 4384/2014 l’annullamento della sentenza impugnata
limitatamente all’entità della pena inflitta, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di
Milano, per nuovo esame sul punto. Il ricorso4 2MELO era rigettato nel resto, con conseguente
irrevocabilità (c.d. giudicato progressivo) della sentenza impugnata in ordine all’affermazione
di responsabilità dell’imputato.
La Corte di Appello di Milano, decidendo in sede di giudizio di rinvio, con la sentenza emessa il
23/12/2014, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Monza dell’11/12/2012, ha
rideterminato la pena inflitta all’appellante in anni 1 e mesi 4 di reclusione ed euro 12.000 di
multa.
Avverso la sentenza, il MELO propone, personalmente, ricorso per cassazione affidato ad un
unico motivo con cui deduce, ai sensi dell’art. 606 lett. b) ed e), c.p.p., violazione del divieto
di reformatio in peius, per avere la Corte territoriale, nel determinare la pena finale, fatto
riferimento alla pena base di anni 3 di reclusione ed euro 27.000 di multa, diminuita ex art. 62
bis c.p. ad anni 2 di reclusione ed euro 18.000 di multa, ed applicata l’ ulteriore riduzione per
il rito prescelto. Assume il ricorrente che si tratta di pena di molto superiore a quella cui si era
attenuto il G.I.P. presso il Tribunale di Monza che, in primo grado, aveva fatto riferimento alla
pena base di anni 6 di reclusione ed euro 33.000 di multa, assai prossima al minimo edittale
(da 6 anni a 20 anni di reclusione e da euro 26.000 ad euro 260.000 di multa), e che la Corte
di Appello, se avesse rispettato il principio di proporzionalità, avrebbe comminato un
trattamento sanzionatorio più mite, giustificato peraltro dall’esito positivo, attestato dalla Asl,
del percorso di riabilitazione avviato dall’imputato.
2

al comma 5, concesse le attenuanti generiche, con giudizio di prevalenza sulla ritenuta recidiva

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso va dichiarato inammissibile.
Il MELO contesta la decisione del Giudici di rinvio e deduce la violazione del divieto di
“reformatio in peius” perché la pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione ed euro 12.000 di multa
al medesimo comminata sarebbe superiore, secondo un criterio meramente aritmetico proporzionale, a quella di anni 3 di reclusione ed Euro 14.000 di multa applicata dal primo
Giudice, in un quadro normativo affatto diverso da quello attuale.

sede di rinvio il trattamento sanzionatorio, ha fatto applicazione dei principi di diritto enunciati
r SztAXtt.k.
da questa Corte con la sopra richiannata\ er3W4/2014, avendo preso le mosse dalla
affermazione che la cornice edittale di riferimento non era più quella (da 6 a 20 anni di
reclusione e da 26.000 a 260.000 euro di multa) vigente al momento della pronuncia della
annullata sentenza del 19/7/2013 – che aveva confermato integralmente la sentenza
dell’11/12/2012 del G.I.P. presso il Tribunale di Monza – ma quella ben più mite (da 2 anni a 6
anni e da 5.164 a 77.468 euro di multa) prevista dal testo originario dell’art. 73 D.P.R. n. 309
del 1990, trattamento sanzionatorio peraltro rimasto sostanzialmente invariato anche all’esito
delle modifiche introdotte dalla L. n. 79 del 2014, di conversione del D.L. n. 36 del 2014, in
vigore a far data dal 21/5/2014.
La Corte territoriale ha quindi tenuto conto della consistenza della sostanza sequestrata e delle
documentazione ASL attestante l’esito positivo del percorso di riabilitazione intrapreso dal
MELO e ha riquantificato la pena in anni 1, mesi 4 di reclusione ed euro 12.000 di multa (p.b.
di anni 3 di reclusione ed euro 27.000 di multa), che certamente si discosta dal minimo
edittale per le “droghe leggere” ( p.b. in primo grado anni 6, mesi 6 di reclusione ed euro
33.000 di multa) ma che risponde ad una rinnovata valutazione della offensività della condotta
posta in essere dall’imputato rispetto al mutato quadro di riferimento.
Giova infatti ricordare che questa Corte ha avuto modo di chiarire che, in tema di stupefacenti,
il principio dell’applicazione della disciplina più favorevole determinatasi per effetto della
sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, con riferimento al trattamento
sanzionatorio relativo ai delitti previsti dall’art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990, in relazione alle
cosiddette “droghe leggere”, non impone al giudice di appello o del rinvio di rimodulare la
sanzione adeguandosi ai criteri in precedenza utilizzati dal giudice di merito, potendo egli
rideterminarla nell’ambito della nuova cornice edittale, con il solo limite costituito dal divieto di
sovvertire il giudizio di disvalore espresso dal precedente giudice (Sez. 4, n. 46973 del
6/10/2015, Menntonis, Rv. 265209).
Ne discende che, nella fattispecie in esame, la decisione della Corte d’ Appello meneghina va
esente da censure atteso che ha fatto applicazione dei criteri di cui agli art. 132 e 133 c.p.p.,
senza incorrere in alcuna violazione del divieto di reformatio in pejus (art. 597, comma 3,
c.,p.p.), posto che nessuno dei precedenti Giudici di merito aveva espresso alcuna valutazione
3

La doglianza è manifestamente infondata in quanto la Corte territoriale, nel rideterminare in

di scarsa offensività della condotta – non riconducibile neppure all’ipotesi lieve – pur risultando
originariamente determinata la pena base in misura prossima all’allora vigente minimo
ed ittale.
Il Giudice di rinvio si è, infatti, attestato su di una misura media, con motivazione che, ai fini
qui considerati, è del tutto sufficiente (Sez. 4, n. 21294 del 2073/2013, Serratore, Rv.
256197).
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso,

procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro
1.500,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento della spese processuali
e della somma di C 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 30 marzo 2016.

l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del

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