Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28724 del 30/03/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28724 Anno 2016
Presidente: GRILLO RENATO
Relatore: DE MASI ORONZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
LA TEMPA STEFANO, nato a Capua il 26/10/1994

avverso la sentenza del 24/1/2014 della Corte di Appello di Napoli
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Oronzo De Masi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Mario Fraticelli,
che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

Data Udienza: 30/03/2016

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del 24/1/2014 la Corte di Appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza
emessa il 20/6/2013 dal G.U.P. del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, pronunciata
all’esito di giudizio abbreviato nei confronti di LA TEMPA Stefano, imputato dei reati di cui agli
artt. 81 cpv c.p., 73, cc. 1 e 1 bis, D.P.R. n. 309/1990 (capo A) – per cessione a Mazzarella
Anna di 3 stecche di hashish del peso complessivo di gr. 9,58 con concentrazione di THC puro
pari ad 8,054 %, quantitativo utile per ricavare 31 dosi medie singole, ed illecita detenzione,

concentrazione di THC puro pari a 9,142 °h, quantitativo utile per ricavare 35 dosi medie
singole, nonché di gr. 3,58 circa di sostanza stupefacente del tipo cocaina, con percentuale di
THC puro pari al 56,021 °/(:), quantitativo utile per ricavare 13 dosi medie singole – e di cui
all’ art. 116, c. 13, Codice della Strada (capo B), per essersi posto alla guida del motoveicolo
Honda tg. CP 3484, senza aver conseguito la prescritta patente di guida – esclusa la
continuazione interna quanto alle condotte di cessione e illecita detenzione della sostanza
stupefacente e ritenuta l’ipotesi autonoma di cui al quinto comma dell’art. 73 D.P.R. n.
309/1990, rideterminava la pena inflitta all’imputato nella misura di anni due, mesi due e
giorni venti di reclusione ed Euro 8.000 di multa, con riferimento al reato di cui al capo A)
della rubrica, confermava la pena di giorni venti di arresto per la contravvenzione di cui al capo
B), non oggetto dell’appello, e revocava l’applicata pena accessoria dell’interdizione dai
pubblici uffici per anni cinque.
Ricorre per la cassazione della decisione il LA TEMPA, personalmente, con ricorso affidato
ad un unico motivo con cui deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione di
norme processuali, ai sensi dell’ art. 606, c. 1, lett. c, c.p.p., e segnatamente per aver
omesso la Corte di Appello di Napoli di rilevare d’ufficio le conseguenze scaturenti dal difetto
di notifica del decreto di citazione a giudizio, all’imputato e presso il difensore, quanto alla
prima notifica, perché tentata con esito negativo presso il domicilio dell’imputato – nella relata
dell’ufficiale giudiziario si legge” … non rintracciato, il nome non compare sui citofoni, né sulla
cassetta postale. Da informazioni assunte in loco, il destinatario risulta sconosciuto” – laddove
invece all’indirizzo di Via Amendola, in Caserta, l’imputato era detenuto in regime di arresti
donniciliari, per altro procedimento penale (R.G.N.R. n. 8670/2012) e, quanto alla seconda
notifica, quella eseguita presso il difensore, ai sensi dell’ art. 161, c.2, c.p.p., essa risulta
effettuata soltanto in data 23/1/2014, senza il rispetto dei termini stabiliti dall’art. 127 c.p.p.,
per l’udienza del 24/1/2014.

CONSIDERATO IN DIRITTO

La sentenza impugnata va parzialmente per le ragioni di seguito indicate.

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presso la propria abitazione, di 3 stecche di hashish del peso complessivo di gr. 9,503, con

Con il ricorso il LA TEMPA infondatamente lamenta violazione di legge processuale in punto di
notifica all’imputato del decreto di citazione per la trattazione del giudizio di appello, resa a
mani del difensore ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4, ma senza il rispetto del termine di
dieci giorni di cui all’art. 127, c.1, c.p.p., e non presso il domicilio eletto.
Secondo il ricorrente la predetta notifica al difensore fiduciario è affetta da vizio di nullità
assoluta in quanto al’epoca il LA TEMPA era sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, in
sostituzione della custodia in carcere, presso l’abitazione ubicata all’indirizzo di Via Annendola,
in Caserta, per altro procedimento penale (R.G.N.R. n. 8670/2012), come dimostrato dall’

documento dal quale si ricava, ad avviso del ricorrente, che lo stesso venne tratto in arresto il
21/5/2013, misura convalidata dal G.I.P. con applicazione della custodia in carcere sostituita
in seguito dalla misura degli arresti domiciliari.
Alla luce di un consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, il mancato reperimento
dell’imputato presso il domicilio dichiarato ovvero del domiciliatario da lui indicato, nel caso in
cui le informazioni raccolte nel vicinato non diano esito alcuno, si sostanzia in una situazione di
inidoneità o insufficienza della dichiarazione, rendendo così legittima la notifica mediante
consegna al difensore, senza che sia consentito dar corso agli adempimenti di cui all’art. 157,
comma 8, c. p. p. (Sez. 3, n. 21626 del 15/4/2015, Cetta, Rv. 263502, Sez. 5, n. 13051 del
19/12/2013, Barra e altro, Rv. 262540, Sez. U. n. 28451 del 28/4/2011, Pedicone, Rv.
250120, Sez. 5, n. 42399 del 18/9/2009, Donà, Rv. 245819; Sez. 2, n. 38768 del 10/11/2006,
Buongiorno, Rv. 235311; Sez. 5, n. 23670 del 26/4/2005, dep. 23/06/2005, Carbone, Rv
231908).
Con la dichiarazione di domicilio, infatti, l’indagato o l’imputato non si limita ad una
manifestazione di scienza o di semplice verità, ma opera una “vera e propria scelta” tra i luoghi
indicati nell’art. 157 c.p.p. con la consapevolezza degli effetti processuali di tale scelta, come si
desume dall’avvertimento che precede l’elezione o la dichiarazione di domicilio, previsto
dall’art. 161 c.p.p., diretto proprio all’espressione di una scelta consapevole (Sez. Un. 17
ottobre 2006 n. 41280, Clennenzi, Rv. 234905).
Il mancato reperimento del domiciliatario o dell’imputato stesso nel luogo di dichiarazione o
elezione di domicilio o di altre persone idonee, attestato nella relata – negativa – dell’ufficiale
giudiziario in data 10/12/2013, integra l’ipotesi della impossibilità della notificazione ai sensi
dell’art. 161, comma 4, c. p. p., sicché resta senza rilievo l’affermazione del LA TEMPA era
all’epoca sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, in quanto, a ben vedere, il ricorrente
neppure indica il momento della scarcerazione per l’applicazione degli arresti domiciliari,
circostanza che non si ricava dalla sentenza in data 21/1/2014 del Tribunale di Santa Maria
Capua Vetere allegata al ricorso.
D’altra parte, il rapporto fiduciario instaurato tra l’imputato e il difensore di fiducia
domiciliatario, e il connesso dovere d’informazione incombente su quest’ultimo, non vengono
meno per lo stato di detenzione del primo, con la conseguente idoneità di tale notificazione a

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allegata sentenza in data 21/1/2014 del G.I.P. del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere,

mettere l’imputato nella condizione di avere conoscenza effettiva della data del giudizio
circostanza questa, peraltro, neppure espressamente contestata dal LA TEMPA nel ricorso.
Va disatteso anche l’altro profilo della censura, quello concernente il mancato rispetto del
termine a comparire in quanto, com’è noto, nel giudizio di appello contro le sentenze
pronunciate con rito abbreviato non trova applicazione l’istituto della contumacia dell’imputato
che, in caso di assenza, è rappresentato dal suo difensore, in quanto il giudizio deve essere
celebrato – in ragione del rinvio dell’art. 443, c. 4, c.p.p., all’art. 599 dello stesso codice – nella
forma del procedimento in camera di consiglio, anche nelle ipotesi in cui l’impugnazione

Va considerato,inoltre, che per costante giurisprudenza di questa Corte il termine di
comparizione di dieci giorni, previsto dall’art. 127 c. p. p., comma 1, deve essere osservato a
pena di nullità quando si tratta della prima udienza, mentre per i successivi rinvii, anche se
motivati da legittimo impedimento della parte o del difensore, l’avviso dato non deve tenere
conto del predetto termine, in quanto il legislatore ha ritenuto congrua a garantire la pienezza
della difesa la sola dilazione iniziale, ed indifferente, a tali fini, la successiva cadenza delle
udienze camerali, a prescindere dalle attività acquisitive e conoscitive compiute nel frattempo
(Sez. 4, n. 19019 del 02/04/2009 Rv. n. 244007).
Ciò non di meno, l’annullamento con rinvio dell’impugnata sentenza si impone, quanto al
trattamento sanzionatorio, divenuto illegale, atteso che il fatto contestato è stato ritenuto dai
giudici di appello di lieve entità e dunque sussumibile nella “fattispecie autonoma” di cui
all’art. 73, comma 5, D.P.R. 309/1990.
La disposizione in parola è stata modificata, una prima volta, con il D.L. 23 dicembre 2013, n.
146, convertito con modificazioni nella L. 21 febbraio 2014, n. 10, con cui il fatto reato “lieve”
è stato configurato come ipotesi autonoma di reato (e non più come attenuante a effetto
speciale) e punito, per ogni tipo di sostanza stupefacente (pesante o leggera), con la pena
della reclusione da uno a cinque anni e con la multa da Euro 3.000 ad Euro 26.000.
Su tale norma ha, poi, inciso la sentenza n. 32/2014 (decisione del 12/2/2014, pubblicata il
25/2/2014) con cui la Corte Costituzionale ha reintrodotto il preesistente differenziato regime
sanzionatorio previsto per le droghe pesanti e le droghe leggere, regime che stabiliva ex art.
73, c. 5, D.P.R. 309/1990 per i fatti di lieve entità le pene detentive da uno a sei anni di
reclusione per le droghe pesanti e da sei mesi a quattro anni di reclusione per le droghe
leggere.
L’art. 73, comma 5, citato, è stato, poi, ulteriormente modificato, in sede di (sola) conversione
con modificazione del D.L. 20 marzo 2014, n. 36, (che non recava alcuna previsione al
riguardo), dalla L. 16 maggio 2014, n. 79, (art. 1, c. 24 ter) che l’ha così definitivamente
strutturato: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti
previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero
per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione
da sei mesi a quattro anni e della multa da Euro 1.032 a Euro 10.329”.
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avverso la decisione di primo grado concerna l’affermazione di penale responsabilità.

Trattasi di ipotesi autonoma di reato, che è tornata ad essere applicabile – come già statuito
dalla citata legge n. 10/2014 – sia a droghe pesanti che a droghe leggere con una pena
inferiore nel minimo e nel massimo rispetto a quella prevista da detta L. n. 10 del 2014.
Orbene, l’art. 73, comma 5, D.P.R. 309/1990, frutto di tale ultima modifica normativa, è
divenuto applicabile dalla data di entrata in vigore della L. 16 maggio 2014, n. 79, fissata al
21/5/2014 (G.U. n. 115 del 20/5/2014), ben dopo la pronuncia della sentenza di appello
(24/1/2014) che, per ragioni temporali, non ha neppure tenuto conto della sentenza n.
32/2014 della Corte Costituzionale (decisione del 12/2/2014, pubblicata il 25/2/2014).

luce di tale novella normativa (ius superveniens) e, prima ancora, della sentenza n. 32/2014
della Corte Costituzionale (cfr. Sez. U. n. 33040 del 26/2/2015, lazouli, Rv. 264205, in
fattispecie nella quale il ricorso era inammissibile).
È agevole infatti rilevare che la pena inflitta al ricorrente è stata determinata dai giudici di
merito in base a parametri normativi che, seppur contenuti all’interno della cornice edittale
della norma incriminatrice oggi vigente (art. 73, comma 5, autonoma ipotesi di reato),
appaiono dissonanti rispetto al diverso coefficiente di offensività (pene edittali, minima e
massima, inferiori) della fattispecie criminosa attribuita all’imputato.
Fermo il giudizio di responsabilità in ordina al reato di cui al capo A) – per quello
contravvenzionale di cui al capo B) il La tempesta non aveva proposto neppure appello per cui
si è formato sul punto il giudicato progressivo e Vabolitio criminis potrà anche esser fatta valer
in sede esecutiva – si rende quindi necessaria una rivisitazione correttiva del trattamento
punitivo in conformità al più favorevole regime dettato dall’art. 73, comma 5, D.P.R.
309/1990, nel testo oggi in vigore (L. n. 79 del 2014), e non ricorrendo i presupposti di cui
all’art. 620 c.p.p., lett. I), avuto riguardo alla correlazione della pena, sia detentiva che
pecuniaria, agli attuali limiti edittali della fattispecie già individuata dai giudici di appello.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio ad altra
sezione della Corte di Appello di Napoli. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 30 marzo 2016.

La determinazione della pena è diventata ex post illegale – questione rilevabile d’ufficio – alla

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