Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28723 del 30/03/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28723 Anno 2016
Presidente: GRILLO RENATO
Relatore: ACETO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto dal
Procuratore generale presso la Corte di appello di Catanzaro
nel processo a carico di
Miller Lijana, nata a Pasvalis il 01/07/1964,

avverso la sentenza del 28/04/2014 della Corte di appello di Catanzaro;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Mario
Fraticelli, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.11 Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di
Catanzaro ricorre per l’annullamento della sentenza del 28/04/2014 di quella
medesima Corte che, in riforma della sentenza del 02/10/2013 del Giudice per
l’udienza preliminare del Tribunale di Castrovillari ed in parziale accoglimento
dell’appello proposto dall’imputata, Miller Lijana, ha riqualificato il fatto ai sensi

Data Udienza: 30/03/2016

del meno grave reato di cui all’art. 412, cod. pen. (a fronte dell’ipotizzato delitto
di cui all’art. 411, cod. pen.), condannandola alla minor pena di un anno di
reclusione.
1.1.Con unico motivo eccepisce l’errata qualificazione del fatto operata dalla
Corte di appello posto che, nel caso di specie, si deve ritenere la sussistenza del
reato di cui all’art. 411, cod. pen., ipotizzato sin dall’inizio e ritenuto anche dal
Giudice del primo grado.

2.11 ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato e supportato
da allegazioni di natura fattuale.

3.Secondo la costante interpretazione di questa Suprema Corte, il discrimine
tra la sottrazione e l’occultamento di cadavere va individuato nelle modalità del
nascondimento, tali da rendere il rinvenimento del corpo tendenzialmente
impossibile nel primo caso; altamente probabile, sia pure a mezzo di una ricerca
accurata, nel secondo. Peraltro la sottrazione va valutata non in senso assoluto
bensì relativo, sulla base di presunzioni fondate su elementi obiettivi, quali il
luogo prescelto e le modalità adottate, con apprezzamento “ex ante”, non
rilevando in proposito che il cadavere venga eventualmente ritrovato
fortuitamente o a seguito di difficili ricerche, atteso che la durata effettiva del
nascondimento non costituisce elemento di distinzione fra le due ipotesi di reato
(Sez. I, n. 32038 del 10/06/2013, Belmonte, Rv. 256452; Sez. 3, n. 27290 del
06/05/2004, Michaeler, Rv. 229061; nello stesso senso anche Sez. 1, n. 36465
del 26/09/2011, Misseri, Rv. 250813; Sez. 3, n. 5772 del 21/01/2005, Rossello,
Rv. 230658, secondo cui nel delitto di occultamento di cadavere il celamento
dello stesso deve essere temporaneo, ossia operato in modo tale che il cadavere
sia in seguito necessariamente ritrovato, mentre nel delitto di soppressione o
sottrazione di cadavere il nascondimento deve avvenire in modo da assicurare,
con alto grado di probabilità, la definitiva sottrazione del cadavere alle ricerche
altrui).
3.1.1 verbi “sopprimere” ed “occultare” hanno un significato chiaro nella
linguistica italiana, corrispondente alla fisica eliminazione dell’oggetto della
condotta, nel primo caso) alla sua collocazione in un luogo in cui sia difficile
trovarlo, nel secondo. Il loro utilizzo per tipizzare le condotte di eliminazione
(art. 411, cod. pen.) o nascondimento (art. 412, cod. pen.) di un cadavere
richiede un’indagine che spingendosi oltre il dato oggettivo, di per sé neutro e
ambivalente, accerti la reale volontà dell’autore del fatto che deve essere,
2

CONSIDERATO IN DIRITTO

appunto, di (momentaneo) occultamento del cadavere ovvero di (definitiva)
soppressione, tenendo presente peraltro che mentre la volontà di occultare non
esclude la possibilità del ritrovamento successivo del cadavere, quella di
sopprimere la esclude sempre (ed è anzi finalizzata proprio a quella e, con essa,
anche alla possibilità di accertare le cause della scomparsa di una persona). La
latitudine applicativa dei due verbi (e delle due norme) non può dunque
prescindere dall’accertamento di ineliminabili momenti finalistici che concorrono
ad attribuire un senso penalmente rilevante alla condotta dell’impedire

corollario, che il giudice può e deve ricercare nel fatto gli elementi sintomatici
della effettiva intenzione dell’autore della condotta.
3.2.Si legge nella sentenza impugnata che il cadavere del Trumpa Povilas
era stato «semplicemente abbandonato in una campagna, facilmente
accessibile e frequentata, visto che, infatti, esso veniva trovato a poche ore dal
suo abbandono, da un raccoglitore di asparagi. Il cadavere, poi, veniva
semplicemente coperto in maniera approssimativa (…) i concorrenti non hanno
voluto sotterrare il cadavere, pur avendo a disposizione gli attrezzi a ciò utili (…)
il cadavere è stato privato dei vestiti e dei documenti identificativi (…) tale
privazione dei documenti di identità, invero, è palesemente strumentale
all’esigenza di non consentire l’identificazione del cadavere. Una tale esigenza,
però, si concilia soltanto con la consapevolezza del futuro ritrovamento del
cadavere medesimo, poiché nel caso in cui ci si proponga la soppressione, la
privazione dei documenti si mostra inutile a fronte dell’obiettivo di non far
ritrovare il corpo senza vita. Tutti gli elementi evidenziati, trascurati dal primo
giudice sotto il profilo della ricostruzione della volontà dei concorrenti nel reato,
inducono a ritenere che la condotta in esame fosse orientata ad evitare ogni
collegamento del cadavere con l’odierna imputata [clandestina], prima
allontanandolo dal luogo a essa riconducibile e, poi, rendendo senza nome il
corpo senza vita di Trumpa Povilas, privandolo dei documenti di identità. La
sovrapposizione di rovi doveva avere l’ulteriore obiettivo di ritardare, per quanto
più possibile, il ritrovamento del cadavere>>.
3.3.Non v’è alcuna frattura logica tra le premesse fattuali del ragionamento
della Corte territoriale e le conclusioni che, nel far buon governo dei principi di
diritto sopra esposte, essa ne trae; conclusioni per superare le quali il PG
ricorrente attinge anche a piene mani al materiale probatorio estraneo al testo
della motivazione che inammissibilmente sottopone all’attenzione diretta di
questa Corte quale metro di giudizio della correttezza della decisione impugnata.

3

oggettivamente il ritrovamento di un cadavere. Ne consegue, quale ulteriore

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso del RG.

Così deciso il 30/03/2016.

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