Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28714 del 10/03/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28714 Anno 2016
Presidente: ROSI ELISABETTA
Relatore: RICCARDI GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Fazzino Concetta, nata a Caltagirone il 21/04/1962

avverso la sentenza del 21/01/2014 della Corte di Appello di Catania

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Giuseppe Riccardi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Pasquale Fimiani, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 21 gennaio 2014 la Corte di Appello di Catania, in
riforma della sentenza di assoluzione emessa dal Tribunale di Siracusa,
Sezione distaccata di Augusta, in data 07/06/2012, condannava, previo
riconoscimento delle attenuanti generiche, Fazzino Concetta alla pena di mesi
due di arresto ed C 140,00 di ammenda per il reato di cui all’art. 718 cod.
pen. .

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il
difensore della ricorrente, Avv. Domenico Giuseppe Fichera, deducendo tre

Data Udienza: 10/03/2016

motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la
motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.:
1)

vizio di motivazione: la sentenza impugnata ha affermato la

sussistenza del reato di esercizio del gioco d’azzardo sul presupposto che
l’imputata avesse installato quattro apparecchi automatici del tipo

slot

machine, dando facoltà agli avventori di esercitare il gioco d’azzardo; lamenta
che la sentenza non abbia motivato in merito all’elemento soggettivo, e che
abbia illogicamente fondato l’affermazione di responsabilità sulla deposizione

uno degli avventori, tale Canigiula, per procedere alla successiva
corresponsione in denaro; il fine di lucro sarebbe stato escluso dalla sentenza
di 10 grado, non essendo stato accertato il pagamento di somme di denaro o
di altre utilità economicamente apprezzabili in cambio della vincita delle
partite; il giocatore, Canigiula, ha infatti riferito di aver premuto i bottoni
dell’apparecchio ‘a casaccio’, in tal senso escludendo il fine di lucro; censura,
altresì, l’erronea valutazione nell’individuazione del gestore del locale,
contraddittoriamente indicato prima nella Fazzino e poi in un certo
Pappalardo;
2)

vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione della

sospensione condizionale della pena e della non menzione;
3) vizio di motivazione in ordine all’eccessività della pena, ed alla
mancata sostituzione in pena pecuniaria.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.

2.

Il primo motivo è manifestamente infondato, riguardando la

valutazione probatoria in ordine alla responsabilità affermata nei confronti
dell’imputata ed alla natura illegale dei giochi riprodotti dagli apparecchi
rinvenuti nell’esercizio pubblico.
Al riguardo, la sentenza impugnata, riassumendo gli esiti del processo di
10 grado, ha ricostruito il fatto evidenziando che il fine di lucro della
predisposizione degli apparecchi automatici si evinceva non soltanto dalla
potenziale utilizzazione come gioco d’azzardo, in ragione della natura

del

gioco (del tipo slot machine), rimesso esclusivamente al caso, ma altresì dalla

concreta utilizzazione da parte di un giocatore, che, del resto, ad escludere
qualsiasi profilo di abilità, dichiarava di “premere i tasti a casaccio senza
conoscere le regole del gioco” (p. 3); inoltre, il fine di lucro veniva desunto

2

del teste Grimaldi, che aveva visto l’impiegata azzerare i punti realizzati da

dalla circostanza che i punti accumulati non venivano utilizzati per la
ripetizione della partita, bensì azzerati per il conseguimento della vincita in
denaro.
La responsabilità dell’imputata è stata poi affermata sul presupposto che
la stessa fosse il gestore dell’esercizio pubblico nel quale erano stati installati
gli apparecchi per il gioco d’azzardo.
Tanto premesso, le doglianze proposte sono inammissibili, in quanto
sollecitano una rivalutazione del materiale probatorio non consentita in sede
(ex multis,

Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini,

Rv. 203767; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794), salvo che
ricorrano le ipotesi di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione (art. 606, lett. e), cod. proc. pen.); nella specie, come si è
evidenziato, l’apprezzamento in fatto sul profilo dell’individuazione dell’autore
del reato contestato e sulla natura illecita dei giochi è corretto ed immune da
censure logiche.

3. Altrettanto infondata è la censura riguardante l’omessa concessione
della sospensione condizionale della pena e della non menzione, il cui
riconoscimento, in assenza di richiesta di parte, rientra nella discrezionalità
del giudice; nel caso in esame, non risulta avanzata alcuna richiesta
dall’odierna ricorrente in sede di conclusioni, allorquando si è limitata a
chiedere la conferma dell’assoluzione.
In assenza di richiesta, dunque, non è possibile individuare un profilo di
omessa motivazione censurabile in sede di legittimità (Sez. 6, n. 30201 del
27/06/2011, Ferrante, Rv. 256560:

“Il giudice d’appello ha l’obbligo di

motivare sulla mancata concessione, ai sensi dell’art. 597, quinto comma,
cod. proc. pen., della sospensione condizionale della pena solo se il beneficio
sia stato espressamente richiesto da una delle parti almeno in sede di
conclusioni, ovvero se la sentenza d’appello abbia condannato l’imputato in
riforma della decisione assolutoria di primo grado, sempre che la sospensione
condizionale fosse stata richiesta, in via subordinata, dinanzi al giudice “a
quo””).

4. Anche il terzo motivo è manifestamente infondato, in quanto la pena
inflitta è stata determinata nel minimo edittale, previo riconoscimento, altresì,
delle circostanze attenuanti generiche.
Quanto alla sostituzione con la pena pecuniaria, alcuna richiesta risulta
avanzata dalla ricorrente.

3

di legittimità

Nel caso di omessa esplicita richiesta della sostituzione della pena
detentiva da parte dell’imputato, il giudice non è tenuto a motivare se, in base
agli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., non ritiene di disporre la
sostituzione, come si desume dalla norma contenuta nell’ultimo comma
dell’art. 58 legge 24 novembre 1981, n. 689, che impone l’obbligo della
specifica indicazione dei motivi in relazione alla scelta del tipo di pena erogata
e quindi soltanto nell’opposto caso di applicazione della sanzione sostitutiva
(Sez. 5, n. 4859 del 21/02/1984, Pedalino, Rv. 164461); del resto, il giudice

detentive brevi in assenza di specifici motivi di impugnazione in ordine alla
mancata applicazione della sanzione sostitutiva, né a tal fine è sufficiente la
generica doglianza in merito alla eccessiva severità della pena inflitta (Sez. 3,
n. 43595 del 09/09/2015, Russo, Rv. 265207, che, in motivazione, ha
sottolineato come tale limite si giustifichi in ragione della eccezionalità delle
deroghe al principio devolutivo e della natura della sanzione sostitutiva
costituente pena autonoma e non, invece, semplice modalità esecutiva della
pena sostituita).

5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al
pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di
denaro in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo
determinare in Euro 1.000,00: infatti, l’art. 616 cod. proc. pen. non distingue
tra le varie cause di inammissibilità, con la conseguenza che la condanna al
pagamento della sanzione pecuniaria in esso prevista deve essere inflitta sia
nel caso di inammissibilità dichiarata ex art. 606 cod. proc. pen., comma 3,
sia nelle ipotesi di inammissibilità pronunciata ex art. 591 cod. proc. pen. .
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di C 1.000,00 ciascuno in favore della
Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma il 10/03/2016

Il Consigliere estensore

Al Presidente

di appello non ha il potere di applicare d’ufficio le pene sostitutive di quelle

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