Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28709 del 09/03/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28709 Anno 2016
Presidente: ROSI ELISABETTA
Relatore: ACETO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Manai Tarek, nato in Tunisia il 23/11/1979,

avverso la sentenza del 17/03/2015 del Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Perugia;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
udito il Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale Fulvio Baldi,
che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.Con sentenza del 17/03/2015 resa ai sensi degli artt. 444 e segg., cod.
proc. pen., il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Perugia ha
applicato, nei confronti del sig. Manai Tarek, la pena concordata di tre anni e
sette mesi di reclusione e 12.000,00 euro di multa per il reato di cui all’art. 73,
comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 per aver detenuto, a fine di cessione a

Data Udienza: 09/03/2016

terzi, gr. 140,956 di sostanza stupefacente del tipo eroina; fatto commesso in
Perugia il 13/10/2014.

2.Propone ricorso per cassazione l’imputato chiedendo l’annullamento della
sentenza per vizio di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione circa l’insussistenza di cause di proscioglimento ai sensi dell’art.
129, cod. proc. pen..

3.11 ricorso è inammissibile perché generico e manifestamente infondato.

4. Ricorda la Suprema Corte che, secondo un ormai consolidato principio,
«facendo richiesta di applicazione della pena, l’imputato rinuncia ad avvalersi
della facoltà di contestare l’accusa, o, in altri termini, non nega la sua
responsabilità ed esonera l’accusa dall’onere della prova; la sentenza che
accoglie la detta richiesta contiene, quindi, un accertamento ed un’affermazione
impliciti della responsabilità dell’imputato, e pertanto l’accertamento della
responsabilità non va espressamente motivato, così come l’affermazione di
responsabilità non va espressamente dichiarata» (Sez. U, n. 5777 del
27/03/1992, Di Benedetto). Di conseguenza, «la motivazione della sentenza
che applica la pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 comma secondo
cod. proc. pen. si esaurisce in una delibazione ad un tempo positiva e negativa.
Positiva a quanto all’accertamento: 1) della sussistenza dell’accordo delle parti
sull’applicazione dì una determinata pena; 2) della correttezza della
qualificazione giuridica del fatto nonché della applicazione e della comparazione
delle eventuali circostanze; 3) della congruità della pena patteggiata, ai fini e nei
limiti di cui all’art. 27, terzo comma, Cost.; 4) della concedibilità della
sospensione condizionale della pena, qualora l’efficacia della richiesta sia stata
subordinata alla concessione del beneficio. Negativa quanto alla esclusione della
sussistenza di cause di non punibilità o di non procedibilità o di estinzione del
reato. Le delibazioni positive debbono essere necessariamente sorrette dalla
concisa esposizione dei relativi motivi di fatto e di diritto, mentre, per quanto
riguarda il giudizio negativo sulla ricorrenza di alcuna delle ipotesi previste
dall’art. 129 cod. proc. pen., l’obbligo di una specifica motivazione sussiste, per
la natura stessa della delibazione, soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle
dichiarazioni delle parti risultino elementi concreti in ordine alla non ricorrenza
delle suindicate ipotesi. In caso contrario, è sufficiente la semplice enunciazione,
anche implicita, di aver effettuato, con esito negativo, la verifica richiesta dalla

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CONSIDERATO IN DIRITTO

legge e cioè che non ricorrono gli estremi per la pronuncia di sentenza di
proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen..» (Sez. U, Di Benedetto, cit.).
4.1.Unico dovere indeclinabile del giudice resta perciò quello di
«esaminare, prima della verifica dell’osservanza dei limiti di legittimità della
proposta di pena concordata, gli atti del procedimento al fine di riscontrare
l’eventuale esistenza di una qualsiasi causa di non punibilità, la cui operatività,
giustificando il proscioglimento dell’imputato e creando un impedimento assoluto
all’applicazione della sanzione, è necessariamente sottratta ai poteri dispositivi

degli atti, che può condurre a una pronuncia di proscioglimento ai sensi dell’art.
129 cod. proc. pen. soltanto se le risultanze disponibili rendano palese l’obiettiva
esistenza di una causa di non punibilità, indipendentemente dalla valutazione
compiuta dalle parti e senza la necessità di alcun approfondimento probatorio e
di ulteriori acquisizioni» (Sez. U, n. 3 del 25/11/1998, Messina).
4.2.Nel caso di specie, il ricorrente si limita ad affermare assai
genericamente che il Giudice non ha valutato la possibilità di proscioglierlo ai
sensi dell’art. 129, cod. proc. pen., ma omette del tutto di indicare quali, tra gli
atti che il G.i.p. ha affermato di aver espressamente esaminato prima di
ratificare l’accordo (verbali di arresto in flagranza, di perquisizione e sequestro,
interrogatorio dell’imputato), dimostrino in modo palese la sua innocenza o quali
ulteriori specifici indicatori dell’evidenza di tale innocenza siano stati negletti.

5.Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod.
proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente
(C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento
nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che
si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di C 1500,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.500,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 09/03/2016

delle parti. Tale operazione preliminare consiste in una ricognizione allo stato

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