Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28707 del 09/03/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28707 Anno 2016
Presidente: ROSI ELISABETTA
Relatore: MANZON ENRICO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Livera Diego nato a Brindisi il 28/07/1971
avverso la sentenza del 30/01/2015 della Corte d’appello di Lecce
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Enrico Manzon;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto_ Procuratore generale Fulvio
Baldi, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso;

RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 30 gennaio 2015 la Corte d’appello di Lecce
parzialmente riformava la sentenza del Tribunale di Lecce in data 9 gennaio 2012
con la quale Diego Livera era stato condannato alla pena di anni sette di
reclusione ed euro 35.000 di multa per i reati di cui agli artt. 110, 81, cpv., cod.
pen., 73, commi 1 e 1 bis, lett. a), d.P.R. 309/1990, unificati tra loro e con altri
reati analoghi già giudicati irrevocabilmente nel vincolo della continuazione,
ritenuto più grave il reato di cui al capo 23. La Corte territoriale riduceva la pena
inflitta al Livera ad anni sei di reclusione ed euro 33.000 di multa in
considerazione della mitigazione delle pene relative alle “droghe leggere” per
effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 32/2014, applicabile alla
cessione di hashish di cui al capo 25; riaffermava tuttavia il giudizio di
responsabilità penale dell’imputato in ordine ai reati ascrittigli ed altresì
giudicava corretto il trattamento sanzionatorio applicato dal primo giudice, con

Data Udienza: 09/03/2016

detta eccezione, anche con riguardo alla individuazione del reato più grave tra
quelli ritenuti in continuazione.
2. Avverso la decisione, tramite il difensore fiduciario, ha proposto ricorso
per cassazione il Livera deducendo due motivi.
2.1 Con un primo motivo lamenta violazione di legge e vizio della
motivazione in ordine alla affermazione di penale responsabilità confermata dalla
Corte territoriale, con particolare riguardo alla valutazione delle prove a carico e
particolarmente di quelle ricavate dalle intercettazioni telefoniche nonché

2.2 Con un secondo motivo si duole di vizio della motivazione e violazione di
legge in relazione all’applicazione dell’istituto della continuazione di cui all’art.
81, cpv., cod. pen., censurando in particolare la valutazione di merito in ordine
all’individuazione del “fatto più grave”, non avendo comunque la Corte effettuato
un’analisi puntuale e separata dei singoli fatti unificati nel vincolo giuridico della
continuazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile.
2. Il ricorrente correttamente premette allo sviluppo argomentativo del suo
primo motivo di ricorso che in questa sede di legittimità non è consentita una
“rilettura degli elementi di fatto posti alla base della sentenza gravata» e tuttavia
articola la censura in modo del tutto incoerente con tale, pur esatta, premessa.
Il ricorrente infatti solo formalmente ha indicato, come motivo della sua
impugnazione, il vizio di mancanza o manifesta illogicità della motivazione della
decisione impugnata, ma non ha prospettato alcuna reale contraddizione logica,
intesa come implausibilità delle premesse dell’argomentazione, irrazionalità delle
regole di inferenza, ovvero manifesto ed insanabile contrasto tra quelle
premesse e le conclusioni; né ha lamentato, come pure sarebbe stato
astrattamente possibile, una incompleta descrizione degli elementi di prova
rilevanti per la decisione, intesa come incompletezza dei dati informativi
desumibili dagli atti del procedimento.
Bisogna dunque rilevare come il ricorso, lungi dal proporre un ‘travisamento
delle prove’, vale a dire una incompatibilità tra l’apparato motivazionale del
provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del procedimento, tale da
disarticolare la coerenza logica dell’intera motivazione, è stato presentato per
sostenere, in pratica, una ipotesi di ‘travisamento dei fatti’ oggetto di analisi,
sollecitando un’inammissibile rivalutazione dell’intero materiale d’indagine,
rispetto al quale è stata proposta dalla difesa una spiegazione alternativa alla

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all’avvenuto arresto per un fatto già separatamente giudicato.

semantica privilegiata dalla Corte territoriale nell’ambito di un sistema
motivazionale logicamente completo ed esauriente.
Questa Corte, pertanto, non ha ragione di discostarsi dal consolidato
principio di diritto secondo il quale, a seguito delle modifiche dell’art. 606,
comma 1, lett. e), cod. proc. pen., ad opera dell’art. 8 della legge 20 febbraio
2006, n. 46, mentre è consentito dedurre con il ricorso per cassazione il vizio di
‘travisamento della prova’, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia
fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di

affatto permesso dedurre il vizio del ‘travisamento del fatto’, stante la
preclusione per il giudice di legittimità a sovrapporre la propria valutazione delle
risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e
considerato che, in tal caso, si domanderebbe alla Cassazione il compimento di
una operazione estranea al giudizio di legittimità, qual è quella della
reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della
decisione (tra le tante, cfr. da ultimo Sez. 7, n. 12406 del 19/02/2015, Micciche’,
Rv. 262948).
La motivazione contenuta nella sentenza impugnata possiede una stringente
e completa capacità persuasiva, nella quale non sono riconoscibili vizi di
manifesta illogicità, avendo la Corte analiticamente spiegato le ragioni che
fondano la responsabilità penale del prevenuto in ordine ai reati ascrittigli, con
particolare riguardo alla fonte probatoria costituita dalle captazioni telefoniche,
molteplici, con piena logica inferenziale, perciò insindacabilmente, ritenute chiare
ed univoche.
In questo, di per sé completo, quadro motivazionale, il giudice di appello si è
poi correttamente riferito, ritenendolo rilevante elemento di riscontro, ad un altro
fatto illecito omologo già irrevocabilmente giudicato e non si comprende come
ciò possa costituire violazione di legge ovvero vizio della motivazione.
3. Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Analogamente che per il primo, il ricorrente fa una ulteriore giusta premessa
sulla insindacabilità in questa sede processuale del giudizio, tipicamente
meritale, di “maggior gravità” di uno tra più illeciti unificati nel vincolo della
continuazione, ma anche relativamente a tale censura dissertandone smentisce
la premessa.
Il ricorrente infatti pretende che questa Corte valuti se la scelta operata
dalla Corte territoriale sia o meno fondata, ma questo appunto non è nelle
funzioni del giudizio di legittimità.
La Corte d’appello di Lecce ha indicato una precisa ragione per giustificare la
propria opzione decisoria, confermativa di quella del primo giudice, ossia ha
ritenuto più grave il fatto oggetto del capo di accusa sub 23), perché

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prova obiettivamente ed incontestabilmente diverso da quello reale, non è

evidenziante una maggior pericolosità sociale del prevenuto, in quanto inserito in
“un contesto criminale più vasto”.
Si tratta di una considerazione tutt’affatto logica e come tale assolutamente
insindacabile da questa Corte.
4. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte
costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per
ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria

l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma,
in favore della Cassa delle ammende, equitativannente fissata in € 1.000,00.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 09/03/2016

dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.,

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