Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 287 del 15/11/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 287 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: FIANDANESE FRANCO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Felice,

Di }dice°

nato a Trani il 21.6.1968, avverso la

sentenza della Corte di Appello di Bari, in data 17
ottobre 2012, di riforma della sentenza del
Tribunale di Trani, in data 1 dicembre 2010;
Visti gli atti, la sentenza denunziata e il
ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione svolta dal
consigliere dott. Franco Fiandanese;
Udito il pubblico ministero in persona del
sostituto procuratore generale dott. Mario
Fraticelli, che ha concluso per l’annullamento
senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente

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Data Udienza: 15/11/2013

alla dichiarazione di prescrizione e per il rigetto
nel resto;
Udito, per la parte civile, l’avv. Vincenzo Pageo,
che ha depositato nomina con procura speciale, nota
spese e conclusioni alle quali si riporta;

che ha chiesto l’accoglimento dei motivi di
ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Bari, con sentenza in data
17 ottobre 2012, in accoglimento dell’appello
proposto dalla sola parte civile Di Micco Felice
(classe 1965), riformava la sentenza di assoluzione
pronunciata il l dicembre 2010, con la formula
perché il fatto non costituisce reato, dal
Tribunale di Trani nei confronti di Di Micco Felice
(classe 1968), in relazione al reato di
appropriazione indebita aggravata, dichiarando non
doversi procedere perché il reato medesimo era
estinto per intervenuta prescrizione e condannando
il Di Micco Felice (classe 1968) al risarcimento
del danno da liquidarsi in separata sede in favore
della suddetta parte civile.
Secondo l’originaria accusa, l’imputato, in diverse
occasioni e con più azioni esecutive di un medesimo

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Udito il difensore, avv. Giangregorio De Pascalis,

disegno criminoso, in qualità di amministratore
della MA.DI s.r.1., al fine di conseguire un
ingiusto profitto, si era appropriato della somma
di euro 39.612,30 di proprietà della s.r.l. della
quale aveva il possesso per ragioni d’ufficio ed in

quanto amministratore della società, in
particolare, perché, dopo avere ricevuto la
predetta somma quale pagamento in favore della
società attraverso assegni bancari, ometteva di
versarli sul conto corrente societario e li versava
sui propri conti correnti personali, nonché si era
appropriato della ulteriore somma di euro 888,11,
in quanto effettuava spese per ragioni personali
per tale ammontare utilizzando la carta di credito
appartenente alla stessa s.r.l.
Propone ricorso per cassazione il difensore
dell’imputato, deducendo i seguenti motivi:
l)

Inosservanza e/o erronea applicazione della

legge penale con riferimento all’art. 578 c.p.p.
Violazione del principio della intangibilità del
giudicato penale e del principio ne procedat iudex
ex officio,

in quanto l’assoluzione dell’imputato

pronunciata dal primo giudice doveva considerarsi
cosa giudicata quanto ai capi penali contestati,

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virtù del rapporto di prestazione d’opera, in

avendo la parte civile proposto appello con
riferimento ai soli capi civili ed ai soli effetti
civili. Pertanto, la Corte di Appello non avrebbe
potuto dichiarare il reato estinto per intervenuta
prescrizione.
mancanza, illogicità e contraddittorietà della

motivazione.
Il

ricorrente

afferma

che

dall’istruttoria

dibattimentale è emerso che il Di Micco aveva
effettivamente trattenuto le somme di cui alla
contestazione, ma con il consenso dell’altro socio,
odierna parte civile, affinché facesse fronte ai
pagamenti “in nero” di forniture effettuate in
favore della società. Infatti, l’ammontare delle
somme societarie versate sui conti correnti
personali del Di Micco coincide con quello delle
somme personali erogate dal medesimo a beneficio
della stessa società per operazioni extracontabili
e la stessa parte civile era perfettamente a
conoscenza dell’esistenza della documentazione non
ufficiale. Significativa in tal senso sarebbe la
circostanza che fu proprio il Di Micco a consegnare
al liquidatore, insieme alla documentazione
ufficiale della MI.DA s.r.1., anche le copie degli
assegni relativi alle somme versate sui conti

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2)

correnti personali.
3)

violazione dell’art.

646 c.p.,

in quanto per la

configurabilità del delitto contestato è necessario
che l’agente disponga uti dominus della cosa altrui
in modo arbitrario, determinando una dismissione

l’apprensione momentanea delle somme contestate da
parte del Di Micco deve considerarsi non
arbitraria, ma concordata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I motivi di ricorso sono fondati e devono essere
accolti ai sensi della presente motivazione.
In primo luogo, deve osservarsi che in caso di
“sentenza di proscioglimento pronunciata nel
giudizio” la parte civile può proporre impugnazione
“ai soli effetti della responsabilità civile” (art.
576 c.p.p.); pertanto, erroneamente il giudice di
appello, in mancanza di impugnazione da parte del
P.M., si è pronunciato anche agli effetti penali
rilevando la prescrizione del reato, con la
conseguenza che la relativa statuizione deve essere
annullata senza rinvio.
La sentenza impugnata deve,

inoltre,

essere

annullata anche nella parte in cui si pronuncia
agli effetti della responsabilità civile, poiché

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irreversibile del possesso. Nel caso di specie,

sussiste

il

vizio

motivazionale

denunciato.

Infatti, è principio costantemente affermato da
questa Suprema Corte che la decisione del giudice
di appello, che comporti totale riforma della
sentenza di primo grado, impone la dimostrazione

dell’incoerenza delle relative argomentazioni con
rigorosa e penetrante analisi critica seguita da
completa e convincente dimostrazione che,
sovrapponendosi in toto a quella del primo giudice,
dia ragione delle scelte operate e del privilegio
accordato ad elementi di prova diversi o
diversamente valutati (Sez. 2, n. 15756 del
12/12/2002 – 03/04/2003, Contrada, Rv. 225564; Sez.
U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679).
Deve, invece, rilevarsi che, nel caso di specie, il
giudice di appello, nel riformare totalmente la
decisione di primo grado, si è limitato a rilevare
una “divergenza” nella linea difensiva “che avrebbe
dovuto portare il Tribunale ad una diversa
conclusione in ordine all’elemento psicologico”,
ma, da un lato tale argomentare non è idoneo a
delineare le linee portanti di un proprio,
alternativo, ragionamento probatorio, dall’altro
lato omette di confutare specificamente i più

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dell’incompletezza o della non correttezza ovvero

rilevanti argomenti della motivazione della prima
sentenza, in particolare quelli desunti dal fatto
di “numerosi pagamenti effettuati da Di Micco
Felice (classe 1968) per conto della Ma.Di s.r.l.
con l’utilizzo di somme depositate su conti

stato proprio l’odierno imputato a consegnare al
liquidatore Di Giglio Atonia, insieme alla
documentazione ufficiale della Ma.Di s.r.1., anche
le copie degli assegni relativi alle somme versate
sui conti correnti personali”.
Pertanto, la sentenza impugnata deve essere
annullata con riferimento alle statuizioni civili,
con rinvio al giudice civile competente per valore
in grado di appello, che dovrà procedere ad una
completa e analitica ricostruzione dei fatti e
delle risultanze processuali, decidendo sul merito
della causa ed anche sulle spese sostenute dalla
parte civile nel presente grado di giudizio.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata
relativamente alla dichiarazione di improcedibilità
per prescrizione e con rinvio al giudice civile
competente per valore in grado di appello
relativamente alle statuizioni civili ivi comprese

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correnti personali” e dalla circostanza che “sia

le spese della parte civile.

Così deciso in Roma il 15 novembre 2013.

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