Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28689 del 06/06/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 28689 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: AMATORE ROBERTO

SENTENZA
sul ricorso proposto da :
CIMMINO LUIGI, nato a Napoli 15.01.1961 ;
avverso la ordinanza del Tribunale della Libertà di Napoli del 2.2.2016 ;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso ;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Roberto Amatore ;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Balsamo
che ha concluso per il rigetto del ricorso ;
udito per l’imputato l’Avv.to Maurizio Riccardi, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del
ricorso ;

RITENUTO IN FATTO
1.Con l’ordinanza impugnata il Tribunale della Libertà di Napoli, decidendo in sede di rinvio
dalla Corte di Cassazione, ha confermato la ordinanza genetica impositiva nei confronti del
predetto imputato della custodia cautelare in carcere per i reato di cui agli artt. 416 bis c.p. ;
110, 56, 629 in relazione all’art. 628 comma 3 n.1 c.p. ; 110, 374 bis c.p. ed art. 7 della I.
203/91.
Avverso la predetta ordinanza ricorre l’indagato, per mezzo del suo difensore, affidando la sua
impugnativa ad un’unica ragione di doglianza variamente articolata.
1.1 Denunzia il ricorrente violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione.
Eccepisce la difesa dell’indagato, in primo luogo e in via processuale, la nullità della
notificazione dell’avviso di fissazione dell’udienza camerale innanzi al Tribunale del Riesame
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Data Udienza: 06/06/2016

effettuata presso il difensore ai sensi del quarto comma dell’art. 161 c.p.p., anziché, ai sensi
dell’art. 166 medesimo codice, presso il tutore dell’indagato, e cioè presso la di lui moglie.
Si duole, sempre in via processuale, la difesa dell’indagato che il giudizio del riesame, in sede
di giudizio di rinvio dalla Corte di Cassazione, non fosse stato celebrato dal medesimo collegio
che aveva già esaminato la vicenda e che aveva annullato il provvedimento genetico della
disposta misura cautelare
Denunzia altresì la difesa dell’indagato l’apparenza della motivazione, giacché ritiene che

senza una riproduzione integrale dei dati processuali e senza una sintesi ricostruttiva fondata
sulla selezione dei dati e sulle prospettive ritenute rilevanti per la ricostruzione del quadro
indiziario ; deduce, più in particolare, l’insufficienza del quadro indiziario raccolto nei confronti
del Cimmino, giacché l’attività captativa aveva riguardato terzi soggetti dalle cui dichiarazioni
non si evinceva una gravità indiziaria tale da far ritenere probabile la ricostituzione del clan
Cimmino ; che l’attività di captazione telefonica ed ambientale non lo aveva mai riguardato
direttamente ; che, sebbene dall’attività di captazione dei colloqui di Festa, Tostola e Sica si
evincesse la circostanza della percezione di somme di denaro a titolo di aiuto economico, ciò
non evidenziava che tali elargizioni avvenissero per ordine del Cimmino né che le stesse
avessero un carattere di continuità e di sostanziale obbligatorietà ; che più in particolare il
flusso informativo intervenuto tramite sms tra Cimmino Franco Diego e Montalbano riguardava
comunque informazioni verso le quali il Cimnnino era un terzo non interveniente ; che se è vero
che la corresponsione di denaro ai familiari dei detenuti ed il pagamento dei legali rappresenta
un elemento indiziario per la configurazione dell’associazione di stampo mafioso, tuttavia tale
indizio richiedeva ulteriori elementi di conferma giacché lo stesso poteva essere letto come
momento di solidarietà tra più coindagati di un reato concorsuale e non già come la prova
dell’esistenza di una struttura associativa ; che anzi le intercettazioni a “telefono aperto” tra il
Montalbano e la Tostola evidenziavano solo il timore del primo che quest’ultima potesse agire
in suo pregiudizio e non già la prova di un obbligo dell’associazione camorristica alla
corresponsione di denaro alla moglie di un detenuto ; che anche le intercettazioni telefoniche
del Caiazzo non assumevano alcuna rilevanza dimostrativa dell’esistenza del vincolo
associativo ; che, pertanto, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia si presentavano
imprecise, vaghe e riferibili ad un periodo di gran lunga antecedente rispetto ai fatti per i quali
si procede.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.11 ricorso è infondato.
3. Le eccezioni processuali sollevate dalla difesa del Cimmino sono manifestamente infondate.
3.1 La notificazione dell’avviso di fissazione dell’udienza camerale innanzi al Tribunale del
Riesame è stata correttamente effettuata presso il difensore ai sensi del quarto comma dell’art.
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l’ordinanza impugnata non sia altro che un pedissequo copia-incolla delle precedenti ordinanze

161 c.p.p., stante l’impossibilità di notifica presso il domicilio eletto. Né la parte ricorrente ha
fornito adeguata documentazione dimostrativa della necessità dell’esecuzione della predetta
notifica ai sensi del diverso disposto normativo di cui all’art. 166 del codice di rito, atteso che
la parte avrebbe dovuto fornite la prova documentale dell’invocata dichiarazione giudiziale di
interdizione legale dell’indagato, non essendo all’uopo sufficiente la relata di notifica del
ripristino della misura custodiale allegata dalla difesa, che non fornisce alcuna certezza, anche
temporale, in ordine all’invocata dichiarazione di interdizione posta a sostegno della reclamata

3.2 Ma risulta manifestamente infondata anche l’altra eccezione processuale, atteso che per
costante giurisprudenza di questo giudice di legittimità nell’ipotesi in cui la Corte di cassazione
annulli con rinvio un’ordinanza pronunciata dal tribunale del riesame, non sussiste alcuna
incompatibilità dei magistrati che abbiano adottato la precedente decisione a comporre il
collegio chiamato a deliberare in sede di rinvio, poichè l’art. 623, lett. a), cod. proc. pen., non
richiede che i componenti siano diversi e il procedimento incidentale “de libertate” non
comporta, per sua natura, un accertamento sul merito della contestazione ( Cass., Sez. 6, n.
33883 del 26/03/2014 – dep. 31/07/2014, Gabriele, Rv. 261076).
Ciò vale a fortiori nell’inversa ed improbabile ipotesi invocata dalla parte ricorrente.
4. Nel merito le censure sono infondate.
4.1 Sul punto, una premessa è d’obbligo.
In tema di misure cautelari, giova ricordare che l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza
ai sensi dell’articolo 273 c.p.p., e delle esigenze cautelari di cui all’articolo 274 medesimo
codice è rilevabile in Cassazione solo se si traduca nella violazione di specifiche norme di legge
ovvero in mancanze o manifeste illogicità della motivazione, risultanti dal testo del
provvedimento impugnato ( art. 606, lett. e ), sotto il profilo della congruità e della
completezza della valenza sintomatica attribuita alle premesse costituite dagli indizi e dalla
coerenza intrinseca delle conseguenze che se ne traggono in ordine alla prognosi di probabilità
della colpevolezza dell’indagato ( Cass. 25 febbraio 2003, n. 9008 ). Peraltro, va aggiunto, per
quanto interessa più da vicino l’odierna vicenda processuale che la giurisprudenza di questa
Corte ha avuto modo di precisare ulteriormente che, in tema di difetto di motivazione, il
giudice di merito non ha l’obbligo di soffermarsi a dare conto di ogni singolo elemento indiziario
o probatorio acquisito in atti, potendo egli invece limitarsi a porre in luce quelli che, in base al
giudizio effettuato, risultano gli elementi essenziali ai fini del decidere, purché tale valutazione
risulti logicamente coerente. Sotto tale profilo, dunque, la censura di non aver preso in esame
tutti i singoli elementi risultanti in atti, costituisce una censura del merito della decisione, in
quanto tende, implicitamente, a far valere una differente interpretazione del quadro indiziario,
sulla base di una diversa valorizzazione di alcuni elementi rispetto ad altri ( Cass. Sez. 5, n.
2459 del 17/04/2000 – dep. 08/06/2000, PM in proc. Garasto ).
4.2 Orbene, la difesa della parte ricorrente tenta di accreditare una ricostruzione “alternativa”
delle vicende fattuali già ampiamente scrutinate dal Tribunale del Riesame con una “critica
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nullità processuale.

diretta” delle fonti indiziarie raccolte nelle fasi delle indagini preliminari, senza preoccuparsi di
“calare” tali critiche all’interno di una censura dell’iter logico argomentativo utilizzato dal
giudice del riesame per la valutazione complessiva del quadro di gravità indiziaria,
proponendo, in diversi punti del suo argomentare, profili che lambiscono l’area della
“inammissibilità” del ricorso.
4.3 Comunque, è opinione di questo Collegio che il Tribunale del riesame abbia reso una
motivazione adeguata, scevra da aporie e contraddizioni logiche, e ricostruttiva in modo

rispondendo in modo puntuale alle richieste contenute nella prima sentenza di rinvio emessa
da questa Corte.
Proprio rispondendo a questa esigenza di ricostruzione complessiva e non parcellizzata del
predetto quadro indiziario, Il Tribunale partenopeo ha indicato con accuratezza le fonti di prova
da cui pacificamente emergeva la circostanza della ricostituzione del “clan Cimmino” – dopo
l’espletamento della misura di sicurezza ( ed anzi anche nel corso di quest’ultima ) – per la
organizzazione di un’attività di estorsioni in danno delle imprese edili operanti nel quartiere del
Vomero. Peraltro, il Tribunale impugnato ha dimostrato anche puntualità nel ricostruire la
“storia” del clan camorristico dopo l’arresto del “concorrente” Caiazzo e la strategie di alleanze
con le altre famiglie malavitose della zona ( qui le dichiarazioni dei pentiti ricostruiscono, in
realtà, retrospettivamente le vicende sino al 2011, ma comunque forniscono utili indicazioni
per la genesi del clan e per la sua collocazione strategica sul territorio ).
4.4 Ma in questo quadro ricostruttivo “iniziale” si inserisce l’episodio emblematico della tentata
estorsione al Mirolla che, fatto oggetto delle illecite pressioni del sodalizio criminoso, si decide
a denunziare i fatti e così a far arrestare anche un affiliato alla cosca camorristica ( il Festa ),
così ben evidenziando il giudice del riesame la piena “operatività” sul territorio della
consorteria criminale riorganizzata.
Ma il quadro indiziario qualificato correttamente dal Tribunale del riesame nei termini della
richiesta gravità si colora, in modo inequivoco, di numerosissimi episodi ben rappresentati e
descritti nell’ordinanza impugnata, tra i quali spiccano in particolar modo le emergenze
probatorie discendenti dall’attività captativa delle comunicazioni poste in essere dagli
inquirenti:

si leggano in questo senso l’attività captativa tra Cimmino Luigi, Cimmino Fiore,

Cimmino Diego e Cimmino Maria ( tutti famigliari ) dell’indagato e dalla quale emerge anche la
posizione di rilievo rivestita dal Montalbano all’interno del clan camorristico ; l’inquietante ma
significativo ritrovamento dello strumento captativo posto dagli inquirenti nella Fiat Panda che
crea grande preoccupazione all’interno della consorteria criminale ; la intercettazione tra
Montalbano, Cimmino e Rigione del 15.9.2014 in cui emerge, con chiarezza, il ruolo centrale
del Cimino nel sodalizio criminale ; l’individuazione – tramite l’attività di appostamento degli
inquirenti – del Festa ( poi arrestato ) come integro al gruppo camorristico ; e poi il racconto
del Mirolla che è il capo cantiere di una impresa che riceve l’avvertimento degli “amici del
Vomero” ( e la vicenda viene peraltro videoripresa ) ; il fermo del Sica per la tentata estorsione
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esemplare degli elementi di gravità indiziaria posti a sostegno dell’applicata misura custodiale,

e la conversazione “a telefono aperto” tra Montalbano e Mina ( “aperto” perché occorreva che
sentisse anche l’amante del Montealbano per questioni di gelosia amorosa ) ove si richiama,
chiaramente e senza possibilità di equivoci, la figura di Luigi Cimmino ed il suo ruolo di leader
del gruppo criminale ; l’ulteriore circostanza, anch’essa preoccupante per il clan, del rifiuto
della Tostola, moglie di un detenuto, delle “mesate” proposte dal Cimmino, preoccupazione
nascente dalla possibile volontà del Sica di voler collaborare con gli organi inquirenti ; la
insuperabile circostanza del “sistema” del pagamento alle famiglie dei detenuti di un

delazioni e collaborazioni dei detenuti ; il contenuto documentale del filmino che “inchioda” dal
punto di vista indiziario anche il Festa come conducente della moto che costringe l’autovettura
condotta dal Mirolla a fermarsi e a subire le minacce legate alla estorsione tentata dal clan
camorristico ; l’ulteriore comunicazione tra il Montalbano ed il Cimino che descrivono
quest’ultimo come il capo clan ( v. pag. 30 dell’ordinanza impugnata ) ; la repentina
cessazione delle attività di comunicazione telefonica dal 20 settembre collegata all’evidente
notizia delle intervenute captazioni in corso di esecuzione ; l’ulteriore captazione di
comunicazione tra il Festa, la Bifolco ed figlio in carcere ove appare chiara la irritazione del
detenuto per il mancato pagamento della mesata e ove si fa riferimento al Cimmino ( v. pag.
34 dell’ordinanza impugnata ) e con la inevitabile conseguenza che la figura del Cimmino
emerge come quella a cui chiedere aiuto nei momenti di difficoltà nella vita dei componenti del
clan, ed anche in quelli in cui emergono necessarie ed ineluttabili esigenze abitative della
famiglia del Festa ; l’intercettazione ambientale della Bifolco in carcere in cui informa il marito
della conversazione avuta con la moglie del Sica, anch’egli detenuto, e delle reciproche
difficoltà ; ed ancora l’ulteriore comunicazione captata della moglie del Festa ove emerge
anche il ruolo rivestito dal Palma nell’organizzazione criminale e di nuovo la figura apicale del
Cimmino ( chiamato addirittura “papa”) ; l’attività captativa delle comunicazioni della moglie
del Sica in carcere ; la comunicazione del 29.10.2014 tra il Cimmino e la moglie nella quale il
primo chiede al Montalbano della lettera che il Formigli gli aveva inviato ; ancora le cd.
“telefonate aperte” tra Montalbano e la moglie del Formigli ove si parla di nuovo delle “mesate”
da corrispondere per il sostentamento della famiglia del detenuto ; la captazione ambientale
tra Montalbano e la Tostola ove si parla direttamente del Cimmino ; la captazione telefonica
nella quale il Montalbano ammette di aver posto in essere l’attività di estorsione oggetto del
capo di imputazione provvisorio ; e poi il malcelato tentativo in carcere di contaminare le
indagini facendo sembrare che le richieste di soldi del Festa al Palma rientrassero nello
svolgimento dell’attività assicurativa svolta dal Palma.
4.5 Ebbene, di fronte ad un quadro probatorio così “granitico”, le doglianze sollevate dalla
difesa non possono intaccare in alcun modo quella ricostruzione di gravità indiziaria così ben
descritta dal Tribunale del Riesame di Napoli.
4.6 La difesa della parte ricorrente lamenta la totale estraneità dell’indagato alle conversazioni
telefoniche ed ambientali oggetto di captazione, e ciò nel senso che l’indagato non sarebbe
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sostentamento che è tipica delle organizzazioni criminali di stampo mafioso per evitare possibili

stato direttamente captato e sarebbe stato semplicemente richiamato nelle conversazioni tra
gli altri indagati.
Tale contestazione è in primo luogo non condivisibile in quanto, per quanto sopra ricordato,
anche il Cimmino è stato intercettato in alcune conversazioni dal contenuto in equivoco.
4.7 Peraltro, occorre ricordare che – in tema di associazione per delinquere di stampo mafioso gli indizi raccolti nel corso di conversazioni telefoniche intercettate, a cui non abbia partecipato
l’imputato, possono costituire fonte diretta di prova, senza necessità di reperire riscontri
esterni, a condizione che siano gravi, precisi e concordanti ( si veda la fattispecie affrontata da

sia chiaro; b) non vi sia dubbio che gli interlocutori si riferiscano all’imputato; c) per il ruolo
ricoperto dagli interlocutori nell’ambito dell’associazione di cui fanno parte, non vi sia motivo
per ritenere che parlino non seriamente degli affari illeciti trattati; d) non vi sia alcuna ragione
per ritenere che un interlocutore riferisca il falso all’altro) ( così, Cass. Sez. 1, n. 40006 del
11/04/2013 – dep. 26/09/2013, Vetro, Rv. 257398).
Ebbene, dal contenuto delle intercettazioni, e ciò con particolare riferimento a quelle
“inframurarie” captate durante i colloqui tra i detenuti, associati alla cosca camorristica, ed i
rispettivi familiari, non vi è margine di dubbio che gli interlocutori in questione si riferiscano,
nel corso del loro dialogo, alla persona dell’odierno indagato ( e ciò con particolare riferimento
al loro “diritto” di pretendere la “mesata” come affiliati all’associazione malavitosa ) e che, per
il ruolo ricoperto dagli interlocutori nell’ambito dell’associazione di cui fanno parte ( si tratta di
coloro i quali materialmente ponevano in essere le condotte di estorsione oggetto di
contestazione ) parlassero seriamente degli affari illeciti trattati dalla cosca ; come del resto
non emergono ragioni per ritenere che vi fossero particolari ragioni affinché gli interlocutori
captati riferissero il falso.
Va aggiunto, per completezza di esame, che in materia di intercettazioni telefoniche,
costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito,
l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non
può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed
irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite ( Cass., Sez. 2, n. 35181 del
22/05/2013 – dep. 21/08/2013, Vecchio e altri, Rv. 257784 ).
E non dato riscontrare, sul punto qui da ultimo in discussione, una critica argomentativa alla
motivazione resa dal giudice del riesame, quanto una diversa ( ed inammissibile )
sollecitazione, diretta al giudice di legittimità a rivalutare il “contenuto probatorio” delle
conversazioni intercettate.
Ne consegue il rigetto del ricorso.
Ricorre nel caso di specie l’ipotesi di cui all’art. 94 comma 1 ter disp. att. Cpp con necessità
pertanto che copia del provvedimento sia trasmessa a cura della cancelleria al ricorrente.

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questa Corte in cui si è fatto riferimento alla esigenza che: a) il contenuto della conversazione

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1 ter disp. att. Cpp.

Così deciso in Roma, il 6.6.2016

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