Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28680 del 12/05/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 28680 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CALVO ENTONI MARTINO nato il 13/11/1989 a BARCELLONA POZZO DI GOTTO

avverso l’ordinanza del 22/02/2016 del TRIB. LIBERTA’ di MESSINA
sentita la relazione svolta dal Consigliere FERDINANDO LIGNOLA;
lette/sentite le conclusioni del PG PASQUALE FIMIANI

Udit i difensor Avv.;

Data Udienza: 12/05/2016

Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
dr. Pasquale Fimiani, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 11 febbraio 2013, il Tribunale per il riesame di
Messina, in accoglimento dell’appello del pubblico ministero, applicava a Calvo
Entoni Martino la misura degli arresti domiciliari, in relazione al reato di lesioni

Giancarlo; il Tribunale rovesciava la decisione del GIP, il quale aveva ritenuto
insussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato.
2. Con l’odierno ricorso, proposto personalmente dall’indagato, viene dedotta
erronea applicazione dell’articolo 274 cod. proc. pen., per l’insussistenza dei
gravi indizi di colpevolezza e del pericolo di reiterazione di condotte criminali
specifiche, che non può desumersi dalle modalità del fatto; vizio di motivazione
in relazione al giudizio di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, con
particolare riferimento alle modalità del riconoscimento; violazione di legge in
ordine al giudizio di pericolosità, poiché si ignora che l’indagato non ha trascorsi
giudiziari o precedenti specifici.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
1.1 In via preliminare è necessario ricordare che a questa Corte non possono
essere sottoposti giudizi di merito, non consentiti neppure alla luce del nuovo
testo dell’art. 606 cod. proc. pen., lettera e). Va infatti ricordato che la modifica
normativa di cui alla L. 20 febbraio 2006, n. 46, lascia inalterata la natura del
controllo demandato alla Corte di cassazione, che può essere solo di legittimità e
non può estendersi ad una valutazione di merito.
1.2 Con specifico riferimento all’impugnazione dei provvedimenti adottati dal
giudice del riesame sulla libertà personale, l’ordinamento non conferisce alla
Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali
delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, nè alcun potere di
riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso
l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate,
trattandosi di giudizi rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice
cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonché del Tribunale del

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gravissime (artt. 582-583 comma 2, n. 4 cod. pen.) in danno di Capone

riesame. Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto
all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia
rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui
presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle
ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di
illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine
giustificativo del provvedimento (Sez. 2, n. 56 del 07/12/2011 – dep.
04/01/2012, Siciliano, Rv. 251760).

riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare,
da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo
che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza
dell’indagato e, dall’altro, la valenza sintomatica degli indizi. Tale controllo,
stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del
fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la
rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la
motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici.
2. Fatte queste premesse di ordine generale, appare evidente che le censure
proposte da Calvo Entoni Martino sono inammissibili, poiché attengono proprio al
giudizio ricostruttivo del fatto, sollecitando una revisione del giudizio di gravità
indiziaria e della valutazione delle esigenze cautelari, oltre a criticare in maniera
del tutto generica il provvedimento impugnato, senza confrontarsi con i singoli
passaggi motivazionali.
2.1 Così, rispetto ai gravi indizi di colpevolezza, l’indagato si limita a
denunciare una carenza di motivazione in ordine all’attendibilità della persona
offesa ed alle modalità del suo riconoscimento, ignorando completamente
l’articolata motivazione, che chiarisce come la vittima sentì chiamare il suo
aggressore “Entoni” e lo riconobbe in più occasioni: tramite una ricerca su
facebook fatta dal cognato; nella prima denuncia a 3 giorni dal fatto, allorchè ne
fornì anche una descrizione; dopo 8 giorni, in sede di ricognizione fotografica,
allorchè lo indicò senza ombra di dubbio e dopo pochissimi secondi tra le foto
dell’album che gli furono mostrate.
2.2 Quanto alle esigenze cautelari, la prima doglianza di erronea applicazione
dell’art. 274 cod. proc. pen. è manifestamente infondata, poiché la norma
processuale prevede espressamente che il giudice valuti le

“modalità e

circostanze del fatto”, la seconda è generica, poiché si afferma in maniera del
tutto assertiva che l’indagato non ha trascorsi giudiziari o precedenti specifici, a

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1.3 Inoltre il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di

fronte di una motivazione che invece segnala due precedenti giudiziari per fatti
recenti di violenza alle persone, uno dei quali in danno di una donna.
3. Consegue da quanto sopra l’inammissibilità del ricorso; alla declaratoria di
inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali nonché (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile
alla volontà, e quindi a colpa, della ricorrente: cfr. Corte Costituzionale sent. n.
186 del 7-13 giugno 2000) al versamento, a favore della cassa delle ammende,
di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in €1.000,00.

provvedimento impugnato, va disposta l’esecuzione da parte della Cancelleria
degli adempimenti previsti dall’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di €1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende. Manda alla cancelleria per gli incombenti di cui all’art. 28 reg. esec.
c.p.p..
Così deciso in Roma, il 12 maggio 2016
Il consigliere estensore

Il Presidente

Dal momento che alla presente decisione consegue l’esecuzione del

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