Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28678 del 30/05/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 28678 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: DEMARCHI ALBENGO PAOLO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CONA GIUSEPPE N. IL 22/05/1980
avverso la sentenza n. 3204/2011 CORTE APPELLO di CATANIA, del
28/02/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/05/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PAOLO GIOVANNI DEMARCHI ALBENGO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 30/05/2013

Il Procuratore generale della Corte di cessazione, dr. Carmine Stabile,
ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Per il ricorrente è presente l’Avvocato Di Giovanni Umberto, il quale
chiede l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Cona Giuseppe propone ricorso per cessazione contro la sentenza

tribunale di Caltagirone, sezione distaccata di Grammichele, con la quale
è stato condannato alla pena di mesi quattro di reclusione perché
riconosciuto colpevole del reato di cui agli articoli 81 capoverso, 582 e
585 del codice penale.
2. A sostegno del ricorso deduce i seguenti motivi:
a. nullità per violazione degli articoli 178 e 179 del codice di
procedura penale, anche in relazione all’articolo 123 dello
stesso codice ed all’articolo 111 della costituzione, nonché
errata interpretazione ed applicazione degli articoli 530 del
codice di rito e 582-585 cod. pen., con disapplicazione
dell’articolo 120 del codice penale e per violazione e
disapplicazione dell’articolo 129 del codice di procedura
penale.
b. Nullità

della

sentenza

per errata

applicazione

ed

interpretazione degli articoli 582-585 del codice penale e
disapplicazione dell’articolo 530 cod. proc. pen..
c. Nullità della sentenza per illogicità, contraddittorietà ed
insufficienza di motivazione sui punti decisivi della nullità
dell’udienza del 31 marzo 2008 e sulla insussistenza
dell’aggravante dell’arma.
d. Nullità della sentenza per violazione dei criteri di cui all’art.
133 cod. pen..
3. Il 14 maggio 2013 la difesa ha depositato in cancelleria una
memoria con la quale ha ribadito i motivi di ricorso, evidenziando la
violazione degli articoli 178 e 179 c.p.p., la mancanza di prova certa in
ordine alla commissione del fatto, il vizio di motivazione della sentenza
impugnata e la violazione dell’art. 133 c.p. per mancata concessione
dell’indulto e della sospensione condizionale della pena. Il ricorrente ha

1

della Corte d’appello di Catania che ha confermato la sentenza del

chiesto altresì la declaratoria di estinzione del reato per remissione di
querela e in subordine per prescrizione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo e principale motivo di ricorso è infondato. Il rinvio operato
all’udienza del 10 marzo 2008 era formalmente ineccepibile perché nel

e perché, avendo il giudice ritenuto ingiustificata l’assenza del difensore
alla precedente udienza del 10 marzo, nessuna comunicazione doveva
essere data.
2. L’imputato dice di essersi recato in cancelleria e di aver avuto
certificazione dal cancelliere circa una data erronea di rinvio, ma su tale
affermazione si osserva che: a) il provvedimento del cancelliere non può
superare ed invalidare l’ordinanza resa dal giudice in udienza e
correttamente riportata a verbale; b) il controllo sulla data di rinvio deve
essere fatto sul verbale e non mediante richiesta al cancelliere; c) la
affermata ignoranza circa la data di rinvio effettiva del 31 marzo
contrasta con lo svolgimento di attività difensiva in quel giorno sia da
parte del difensore (che ha inviato istanza di differimento ad horas), sia
da parte dell’imputato (che addirittura ha fatto pervenire certificazione

t /f

medica).
3. A fronte di ciò, la difesa cita la certificazione del cancelliere che ill.
però reca plurimi elementi di dubbio: innanzitutto (contrariamente a
quanto affermato nel ricorso) non è datata e pertanto non si può sapere
quando è stata rilasciata; in secondo luogo, non è chiaro perché il
cancelliere abbia emesso un provvedimento formale, timbrato e firmato
(ma non datato!) invece che comunicare semplicemente la data di rinvio
o lasciare che la parte consultasse il verbale; in terzo luogo l’attestazione
risulta allegata in originale al verbale del 31 marzo 2008, ma nel
predetto verbale non c’è alcun cenno al predetto documento (viene
attestato solo il deposito di un certificato medico, senza peraltro inspiegabilmente – indicarne il latore. Latore che non poteva essere
l’imputato, che si era appunto dichiarato impedito, né il difensore, che ha
dichiarato di non essere arrivato in tempo presso il tribunale per poter
partecipare all’udienza).

2

verbale di udienza si indicava correttamente la data di rinvio al 31 marzo

4. L’attestazione del cancelliere relativa al rinvio dal 10 marzo non
risulta nemmeno provvista di timbro di deposito, ragion per cui non è
possibile sapere come e quando è stata inserita nel fascicolo.
5. Vi è, poi, un ultimo elemento da considerare; la difesa ha
giustificato la propria attività difensiva del 31 marzo con la notizia
casualmente appresa della celebrazione dell’udienza di rinvio in tale
data; ebbene, tenuto conto delle incongruenze sopra evidenziate, era
onere del ricorrente indicare in modo preciso e dettagliato in quale
potendosi limitare ad una generica dichiarazione.
6. Con riferimento alla dedotta illegittimità del diniego di rinvio per
impedimento dell’imputato, sulla considerazione che il certificato medico
era riferibile ad altra persona (ovvero non era certo che fosse riferibile
all’imputato), si rileva in primo luogo che corrisponde a verità che il
nome indicato in tale certificato sembra diverso da quello dell’imputato
(si legge chiaramente Coco e non Cona); in secondo luogo, il certificato è
talmente generico da non assumere alcun rilievo in causa, posto che
spetta al giudice valutare l’assolutezza dell’impedimento e per
permettere tale controllo il medico deve riportare con precisione i
sintomi e la presunta diagnosi, non potendo decidere autonomamente se
lo stato di salute del paziente sia impeditivo della partecipazione
all’udienza.
7. La doglianza circa l’asserita violazione dell’art. 123 c.p.p. è
inammissibile, mancando sul punto uno specifico motivo di appello, ed è
comunque infondata.
8. Le questioni relative alla utilizzabilità delle produzioni e delle
deposizioni rese all’udienza del 31 marzo 2008 – anche con riferimento
al secondo motivo di ricorso – sono assorbite dal rigetto del primo
motivo.
9. La richiesta di declaratoria di estinzione del reato per remissione di
querela è manifestamente infondata perché l’aggravante dell’arma (che
la Corte, nell’esercizio dei propri insindacabili poteri di merito, ha
ritenuto sussistente; cfr. pag. 5 della sentenza) rende il reato procedibile
d’ufficio.
10.

La richiesta di declaratoria di estinzione del reato per

prescrizione è manifestamente infondata, dovendosi tener conto di 1749

momento e con quale modalità aveva appreso tale circostanza, non

giorni di sospensione, che portano il maturare della prescrizione al
9.12.2015.
11.

Il terzo motivo di ricorso è inammissibile perché il vizio di

motivazione denunciabile nel giudizio di legittimità è solo quello attinente
alle questioni di fatto e non anche di diritto, giacché ove queste ultime,
anche se in maniera immotivata o contraddittoriamente od illogicamente
motivata, siano comunque esattamente risolte, non può sussistere
Rv. 247123).
12.

Il quarto motivo è inammissibile. In tema di ricorso per

cassazione, non costituisce causa di annullamento della sentenza
impugnata il mancato esame di un motivo di appello che, per la sua
assoluta indeterminatezza e genericità, doveva essere dichiarato
inammissibile (sez. VI, 7 aprile 2009, n. 17891). Nel caso di specie, in
appello il ricorrente si era limitato ad affermare genericamente che il
tribunale avrebbe dovuto concedere “..tutti i benefici”, senza alcun
riferimento specifico all’indulto ed alla sospensione condizionale della
pena. Non è vero, dunque, che la sentenza non ha risposto al motivo che
deduceva la “.. ingiustificata negazione dell’applicazione e dell’indulto e
persino della sospensione della pena..”.
13. Consegue a quanto esposto che il ricorso deve essere rigettato; ai
sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso,
la parte privata che lo ha proposto deve essere condannato al
pagamento delle spese del procedimento.

p.q.m.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 30/05/2013

ragione alcuna di doglianza (Sez. 2, n. 19696 del 20/05/2010, Maugeri,

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