Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2867 del 30/10/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 2867 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso — erroneamente qualificato come appello — proposto da Pieri
Roberto, nato a Lucca il 9.4.1948;
avverso la sentenza emessa il 20 dicembre 2012 dal giudice del tribunale di
Lucca;
udita nella pubblica udienza del 30 ottobre 2013 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Francesco Salzano, che ha concluso per l’annullamento con rinvio limitatamente all’art. 674 cod. pen. e per il rigetto del primo motivo;
udito il difensore avv. Cristiano Calussi;
Svolgimento del processo
A Pieri Roberto venne contestato il reato di cui al seguente testuale capo di
imputazione: «Reato p. e p. dagli artt. 124, 101 e 137 D.Lgs 152/06, 81 e 674
c.p. perché, violando con la medesima azione più disposizioni di legge, in qualità di delegato in materia antinfortunistica e inquinamento ambientale presso la
società Ditta Ondulati Giusti spa, realizzava un nuovo scarico di acque reflue
industriali senza autorizzazione, precisamente sul piazzale asfaltato lato sud
dello stabilimento stoccava all’aperto le bobine — costituenti la materia prima
per la realizzazione di cartone ondulato – così che le acque meteoriche di dilavamento trascinano poltiglia e frammenti di carta mescolandosi a questi e si trasformano in acque meteoriche contaminate che confluiva, senza alcun trattamento ed unendosi alle acque non contaminate proveniente dai tetti, nei tombini
di raccolta e quindi scaricava sul suolo, provocando l’imbrattamento del terreno
ed infine le recapitava nel corpo recettore Fosso del Molino» (sic).
Con la sentenza in epigrafe il giudice del tribunale di Lucca dichiarò il Pie-

Data Udienza: 30/10/2013

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ri colpevole dei due reati ascrittigli e lo condannò alla pena di € 4.000,00 di
ammenda.
Osservò il giudice: – che le acque piovane, impregnate delle sostanze che
trascinavano nel loro passaggio, dovevano ritenersi contaminate e come tali equiparate dal D.L.vo n.152/2006 alle acque industriali, con la conseguenza che
lo scarico necessitava di autorizzazione; – che effettivamente l’attività
dell’impresa non rientrava tra quelle della tabella 5 dell’allegato 5 alla 1. reg.
n.20/2006 (tabella che prevede appunto quali siano le attività che producono
acque meteoriche contaminate), ma ciò non esime, qualora risulti un inquinamento delle acque, dal presentare un piano di gestione o, in ogni caso, di richiedere l’autorizzazione; – che nel piazzale di stoccaggio delle bobine in prossimità
del tombino e nell’area adiacente al sistema di depurazione erano presenti poltiglia, fanghiglia e frammenti di carta, che tracimavano, unitamente alle acque,
fuori del recinto dell’azienda, con evidente imbrattamento del terreno; – che nella specie non era applicabile il regime transitorio previsto dalla delibera regionale n. 46/R, contenente il regolamento di attuazione della L.R. n.20/2006, che
non era ancora in vigore al momento dei fatti e che comunque non esclude la
autorizzazione.
L’imputato, a mezzo dell’avv. Cristiano Calussi, propone ricorso per cassazione — erroneamente qualificato come appello — deducendo:
1) falsa e erronea applicazione del d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, e della 1.
reg. toscana n. 20/2006, e del relativo regolamento di attuazione (d.p.g.r. 46/R
dell ‘8.9.2008);
2) falsa e erronea applicazione dell’art. 674 cod. pen.;
3) omessa motivazione in ordine al mancato accoglimento degli elementi
di prova forniti dalla difesa sia in ordine alle prove tecniche (assenza di inquinamento dell’acqua meteorica) sia in ordine alle fonti normative applicabili.
In particolare:
A) in ordine al reato di cui agli artt. 124, 101, 137 d. lgs. 3 aprile 2006, n.
152. Osserva che l’imputato è stato condannato, quanto al reato previsto dagli
art. 124-101 D.Lgs. n. 152/2006, poiché avrebbe realizzato un nuovo scarico di
acque reflue industriali senza autorizzazione, nella specie trascinamento di
frammenti di carta e poltiglia da parte delle acque meteoriche di dilavamento
cadute su bobine di carta stoccate all’aperto, sul piazzale dello stabilimento. La
condanna è, pertanto, sanzione per la violazione delle statuizioni a presidio degli scarichi di acque reflue industriali. Lamenta che erroneamente il giudice ha
applicato al caso concreto la normativa statale in materia di reflui industriali anziché la normativa regionale (1. reg. Toscana n. 20/2006 e reg. attuazione di cui
al D.P.G.R. Toscana n. 46 dell’8.9.2008) secondo quanto dispone l’art. 113 del
d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152. In ogni caso è pacifico che “le acque meteoriche di
dilavamento” non siano assimilabili alle acque reflue industriali, in quanto queste ultime sono diverse dalle prime. Peraltro, il nuovo testo dell’art. 74 TUA (risultante dall’art. 2, comma 1, D.Lgs. 16/01/2008 n. 4) esclude qualsiasi riferimento qualitativo alla tipologia delle due acque essendo stato tolto l’inciso “intendendosi per tali (acque meteoriche di dilavamento) anche quelle venute in
contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connesse con le attività

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-3 esercitate nello stabilimento”, di talché non è più possibile oggi assimilare, sotto
un profilo qualitativo, le due tipologie di acque (reflui industriali e acque meteoriche di dilavamento) né è possibile ritenere che le acque meteoriche di dilavamento (una volta venute a contatto con materiali o sostanze anche inquinanti
connesse con l’attività esercitata nello stabilimento) possano essere assimilate in
qualche modo ai reflui industriali. In sostanza, non è più possibile accomunare
le acque meteoriche di dilavamento e le acque reflue industriali.
Lamenta poi che il giudice è incorso in un ulteriore errore non applicando
al caso di specie la normativa regionale di riferimento. Osserva inoltre che l’art.
133, comma 9, TUA sanziona in via amministrativa le violazioni delle prescrizioni o delle autorizzazioni disposte in sede regionale, ai sensi dell’art. 113, e
ciò tassativamente, non solo in virtù dei principi, generali che presiedono alla
punibilità penale e amministrativa nel senso della non estensione in via analogica della prima, alla seconda, ma anche in virtù del fatto che legislatore non ha
inserito al comma 9 dell’art. 133 la clausola di stile “salvo che il fatto costituisca
reato”. Infine l’art. 137 del TUA sanziona penalmente, con le pene di cui al
comma 1 (arresto o ammenda) e per richiamo fattone al comma n 9 “chiunque
non ottempera alla disciplina dettata dalle Regioni ai sensi dell’art. 113, comma
3”. Osserva che la sanzione penale di cui al comma n. 1 dell’art. 137 D.Lgs. n.
152/2006, sebbene sia quella prevista per gli scarichi di reflui industriali non
consente di equiparare, attraverso la sanzione, le acque meteoriche di dilavamento alla, tipologia dei reflui industriali e ciò perché il comma 9 dell’art. 137
richiama la disciplina regionale di cui all’art. 113 comma n. 3 T.U.A. e cioè la
disciplina relativa alle acque meteoriche di dilavamento. Peraltro, poiché l’art.
113 comma 3 prevede “particolari condizioni e pericolosità” delle sostanze miscelate alle acque meteoriche di dilavamento, la condotta illecita oggetto di sanzione deve estrinsecarsi in un pericolo concreto e non presunto.
Ricorda quindi la disciplina dettata dalla legge reg. 20/2006, che dovrebbe
essere applicata nel caso in esame. Ricorda altresì: – che la difesa aveva provato
che le bobine erano costitute da carta tipo Kraft, resistente agli agenti atmosferici e che le acque meteoriche provenienti dallo stabilimento Ondulati Giusti
non erano da ritenersi contaminate; – che l’attività dello stabilimento non rientrava tra quelle di cui all’allegato 5 del Regolamento n. 46/R emanato dalla
Giunta Regionale Toscana 1’8/9/2008, in quanto non era quella di produrre carta ma di utilizzare carta prodotta da altri per fabbricare il cartone ondulato; – che
anche a voler ipotizzare la contaminazione dell’acqua di dilavamento meteorica
tuttavia lo stabilimento, fornito di autorizzazione allo scarico di reflui industriali, aveva comunque tempo tre anni dall’entrata in vigore (08/09/2008) del regolamento attuativo della Legge R. T. n. 20/2006, per presentare, ex art. 39 n. 7 e
43 co. 1 del Regolamento n. 46/R/2008, un piano di adeguamento; – che nessuna prova vi era sulla contaminazione delle acque piovane a seguito di dilavamento delle bobine di carta tipo Kraft stoccate all’esterno dello stabilimento.
B) in ordine al reato di cui all’art. 674 cod. pen. lamenta la assoluta mancanza di prova circa la contaminazione delle acque da parte di residui trascinati
durante il passaggio delle acque stesse e circa l’idoneità a molestare o offendere .
le persone.

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Il ricorso è fondato.
Quanto al fatto contestato ai sensi dell’art. 137 d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152,
invero, lo stesso non integra il reato prospettato, bensì un illecito amministrativo, e ciò per due diverse ragioni, riconducibili all’erronea applicazione nella
specie della normativa statale in materia di reflui industriali anziché della normativa regionale locale (legge reg. Toscana n. 20/2006 e reg. attuazione di cui
al D.P.G.R.. Toscana n. 46 dell’8.9.2008) secondo quanto disposto dall’art. 113
del d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, che demanda alle regioni la disciplina locale in
materia di acque meteoriche di dilavamento e di prima pioggia.
In primo luogo, esattamente il ricorrente ricorda che nel d. lgs. 3 aprile
2006, n. 152, si fa cenno alle «acque meteoriche di dilavamento» nella Sezione
II, Parte III, che è dedicata alla «Tutela, delle acque dall’inquinamento», ma non
si fornisce una specifica definizione delle stesse che indirettamente, e in negativo, viene data nell’art. 74. In tale disposizione, dedicata alle definizioni, «le acque meteoriche di dilavamento» non sono definite in modo diretto nel loro contenuto, ma citate nella definizione di un’altra tipologia di acque, e cioè dei reflui
industriali (lett. h), allo scopo di delimitarne in negativo il significato. L’art. 74
cit., infatti dispone, alla lett. g), che si intendono per «acque reflue domestiche»,
le «acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e
derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche», ed
alla lett. h) che si intendono per «acque reflue industriali» «qualsiasi tipo di
acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento».
L’art. 74 cit., pertanto, pur non fornendo una diretta definizione delle acque meteoriche di dilavamento, le considera diverse e distinte dalle acque reflue
industriali e, quindi, non assimilabili a quest’ultime.
E’ peraltro opportuno ricordare che la suddetta formulazione dell’art. 74
cit. è quella risultante dalla modifica operata dall’art. 2, comma 1, del d.lgs.
16/01/2008 n. 4 , modifica con la quale è stato escluso il riferimento qualitativo
alla tipologia delle due acque. E difatti il previgente testo dell’art. 74, lett. h),
stabiliva invece che si intendono per «acque reflue industriali: qualsiasi tipo di
acque reflue provenienti da edifici od installazioni in cui si svolgono attività
commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali
anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non
connessi con le attività esercitate nello stabilimento».
Proprio sulla base di questa diversa formulazione legislativa, la sentenza
della Sez. III, 11.10.2007, n. 40191, Schembri, m. 238056, aveva affermato il
principio che «le acque meteoriche di dilavamento ovvero le acque piovane che,
depositandosi su suolo impermeabilizzato, dilavano le superfici attingendo indirettamente i corpi recettori, oggi disciplinate dall’art. 113 del D.Lgs. 3 aprile
2006, n. 152, non rientrano, di norma, tra le acque reflue industriali, salvo che
le stesse vengano contaminate da sostanze o materiali impiegati nello stabilimento, nel qual caso sono da considerarsi come reflui industriali». Nella moti-

Motivi della decisione

vazione, tale decisione, dopo aver ampiamente ricordato la disciplina applicabile alle acque meteoriche di dilavamento alla stregua della normativa anteriore,
ed in particolare dell’art. 39 del d. lgs. 11 maggio 1999, n. 152, come modificato dal d.lgs. n. 258 del 2000, ha poi osservato che l’art. 113 del d. lgs. 3 aprile
2006, n. 152, prevede, al comma 1, che le regioni, ai fini della prevenzione di
rischi idraulici ed ambientali, stabiliscano e disciplinino: a) le forme di controllo degli scarichi di acque meteoriche di dilavamento provenienti da reti fognarie
separate (cioè adibite a raccogliere esclusivamente acque meteoriche); b) i casi
in cui può essere richiesto che le immissioni delle acque meteoriche di dilavamento, effettuate tramite altre condotte separate (diverse dalle reti fognarie separate), siano sottoposte a particolari prescrizioni, ivi compresa l’eventuale autorizzazione. Questi sono gli unici casi in cui le acque meteoriche sono soggette
al d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Difatti, il citato art. 113 al comma 2 prevede che
fuori di dette ipotesi «le acque meteoriche non sono soggette a vincoli o prescrizioni derivanti dalla parte terza del presente decreto» (e quindi, ove non
siano commiste ad altri reflui prodotti dall’attività antropica, non costituiscono
uno «scarico» soggetto alla disciplina del D.Lgs. n. 152 del 2006). La sentenza
n. 40191/2007, peraltro, osservò poi che mentre nel regime del d. lgs. 11 maggio 1999, n. 152, le acque di dilavamento sembravano apparentemente escluse
dalla nozione di scarico anche ove si fosse trattato di acque che avessero raccolto sostanze inquinanti provenenti da insediamenti industriali„ la nuova disciplina posta dall’art. 74, lett. h), d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, «ridefinisce le acque
reflue industriali come “qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici od
installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di
dilavamento, intendendosi per tali anche quelle venute in contatto con sostanze
o materiali, anche inquinanti, non connesse con le attività esercitate nello stabilimento”. La nuova definizione, come la precedente, esclude dalle acque reflue
industriali quelle meteoriche di dilavamento, precisando però che devono intendersi per tali anche quelle contaminate da sostanze o materiali non connessi con
quelli impiegati nello stabilimento. Sembrerebbe perciò che quando le acque
meteoriche siano, invece, contaminate da sostanze impiegate nello stabilimento,
non debbano più essere considerate come “acque meteoriche di dilavamento”,
con la conseguenza che dovrebbero essere considerate reflui industriali. In particolare, mentre in precedenza appariva evidente l’intento del legislatore di espungere il più possibile dal D.Lgs. n. 152 del 1999 le acque meteoriche in
mancanza di apposita disciplina regionale e, stante il chiaro tenore letterale delle norma, non pareva più possibile l’equiparazione delle acque di dilavamento
(seppure contaminate) delle aree esterne di un’azienda alle acque industriali, con
il D.Lgs. n. 152 del 2006 le acque di dilavamento contaminate dall’attività produttiva tipica dell’insediamento da cui provengono sembrano doversi ritenere
assimilate a quelle industriali, e quindi soggette al relativo regime normativo».
Nel caso di specie il giudice di primo grado ha applicato le norme statali
sui reflui industriali antecedenti alla modifica legislativa, appunto mediante il
richiamo alla sentenza della Sez. III, 11.10.2007, n. 40191, Schembri, senza però tenere conto della modifica apportata all’art. 74, lett. g), dall’art. 2 del d. lgs.
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16.1.2008, n. 4, ed omettendo di verificare se le conclusioni cui era giunta la citata decisione (fondate sul precedente testo dell’art. 74, lett. g)) possano ritenersi ancora valide dopo la ricordata modifica normativa. E difatti la nuova formulazione dell’art. 74, lett. g), esclude ogni riferimento qualitativo alla tipologia
delle acque, dal momento che è stato eliminato dal dato normativo sia il riferimento alla differenza qualitativa dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, sia l’inciso «intendendosi per tali (acque meteoriche di
dilavamento) anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche
inquinanti, non connesse con le attività esercitate nello stabilimento», di talché
sembrerebbe non più possibile oggi assimilare, sotto un profilo qualitativo, le
due tipologie di acque (reflui industriali e acque meteoriche di dilavamento) né
sembrerebbe possibile ritenere che le acque meteoriche di dilavamento (una volta venute a contatto con materiali o sostanze anche inquinanti connesse con l’attività esercitata nello stabilimento) possano essere assimilate ai reflui industriali. Sembrerebbe, cioè, che data la ricordata modifica legislativa, non sarebbe più
possibile accomunare le acque meteoriche di dilavamento e le acque reflue industriali.
In ogni caso, anche volendo prescindere dalla modifica legislativa — ignorata dal giudice di primo grado — il giudice ha anche omesso di considerare che
l’art. 113 del d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, rubricato appunto «Acque meteoriche
di dilavamento e acque di prima pioggia», prevede che le Regioni, «ai fini della
prevenzione di rischi idraulici ed ambientali», emanino una disciplina delle acque meteoriche che dilavano le superfici e si riversano in differenti corpi recettori.
Ed invero — come si è già dianzi ricordato — l’art. 113 cit. dispone, al comma 1, che le regioni disciplinano e attuano: «a) le forme di controllo degli scarichi di acque meteoriche di dilavamento provenienti da reti fognarie separate;
b) i casi in cui può essere richiesto che le immissioni delle acque meteoriche di
dilavamento, effettuate tramite altre condotte separate, siano sottoposte a particolari prescrizioni, ivi compresa l’eventuale autorizzazione». Il comma 2 poi
stabilisce che «le acque meteoriche non disciplinate ai sensi del comma 1 non
sono soggette a vincoli o prescrizioni derivanti dalla parte terza del presente
decreto». Il terzo comma infine dispone che «Le regioni disciplinano altresì i
casi in cui può essere richiesto che le acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne siano convogliate e opportunamente trattate in impianti di depurazione per particolari condizioni nelle quali, in relazione alle attività svolte,
vi sia il rischio di dilavamento da superfici impermeabili scoperte di sostanze
pericolose o di sostanze che creano pregiudizio per il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici».
Per quanto attiene alle sanzioni, l’art. 133, comma 9, del d. lgs. 3 aprile
2006, n. 152, sanziona in via amministrativa – pena pecuniaria da € 1.500,00 ad
€ 15.000,00 — chiunque non ottemperi alla disciplina dettata dalle regioni ai
sensi dell’art. 113, comma 1, lett. b), ossia la violazione delle prescrizioni o delle autorizzazioni disposte in sede regionale. La previsione della punizione mediante sanzione amministrativa è tassativa, sia perché non possono essere estese
in via analogica le norme che prevedono una sanzione penale, sia perché il leg

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slatore non ha inserito al comma 9 dell’art. 133 la clausola di stile «salvo che il
fatto costituisca reato». L’art. 137, comma 9, poi, sanziona penalmente, con le
pene di cui al comma 1 (arresto o ammenda) «chiunque non ottempera alla disciplina dettata dalle Regioni ai sensi dell’art. 113, comma 3». Poiché
quest’ultima disposizione fa riferimento a «particolari condizioni nelle quali, in
relazione alle attività svolte, vi sia il rischio di dilavamento da superfici impermeabili scoperte di sostanze pericolose o di sostanze che creano pregiudizio
per il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici», la condotta illecita oggetto di sanzione penale, deve estrinsecarsi in un pericolo concreto e
non presunto.
In sostanza, dunque, il d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, demanda alla normativa regionale la disciplina delle acque meteoriche di dilavamento. Con riguardo
al caso di specie vengono quindi in rilievo la legge reg. toscana 20/2006 nonché
il regolamento di attuazione di cui al D.P.G.R. Toscana n. 46/R12008.
In particolare, la legge reg. 20/2006, all’art. 2 («Definizioni»), definisce al
comma 1, lett. d), le acque meteoriche dilavanti (AMD) suddividendole in acque meteoriche dilavanti non contaminate (ADNC) e acque meteoriche dilavanti contaminate (AMC). Alla successiva lett. e) definisce acque meteoriche dilavanti contaminate (AMC) le acque meteoriche dilavanti diverse dalle acque meteoriche dilavanti non contaminate ivi incluse le acque meteoriche di prima
pioggia, derivanti dalle attività che comportino oggettivo rischio di trascinamento, nelle acque meteoriche, di sostanze pericolose o di sostanze in grado di
determinare effettivi pregiudizi ambientali, individuate (le attività) dal regolamento di cui all’art. 13. Alla lettera f) dell’ art. 2 vengono definite acque meteoriche dilavanti non contaminate (AMDNC) le acque meteoriche dilavanti derivanti da superfici impermeabili anche di aree industriali dove non vengono
svolte attività che possano oggettivamente comportare il rischio oggettivo di
trascinamento di sostanze pericolose o di sostanze in grado di determinare effettivi pregiudizi ambientali.
L’art. 8 della medesima legge reg. n. 20/2006, disciplina poi lo scarico di
acque di prima pioggia e di acque meteoriche dilavanti contaminate, regolando
ai commi 1-2 lo scarico in pubblica fognatura e fuori dalla pubblica fognatura di
acque di prima pioggia provenienti da aree pubbliche; ed ai commi 3-4 lo scarico delle acque di prima pioggia e le acque meteoriche dilavanti contaminate diverse da quelle indicate ai numeri 1-2 prevedendo un meccanismo di autorizzazione e un sistema di depurazione.
Il successivo art. 13, comma 2, demanda alla Giunta regionale di disciplinare con regolamento, entro 180 giorni dalla entrata in vigore della legge regionale, l’elenco delle attività di cui all’art. 2, comma 1, lettera e), che comportano
oggettivo rischio di trascinamento nelle acque meteoriche dilavanti di sostanze
pericolose o di sostanze in grado di determinare effettivi pregiudizi ambientali.
Nel regolamento emanato dalla Giunta regionale toscana il giorno 8 settembre 2008 (D.P.G.R n. 46/R/2008) all’art. 39 intitolato “acque meteoriche
contaminate” si indicano (con apposito allegato 5) le attività di cui all’art. 2,
comma 1. lett. e), della legge reg. n. 20/2006 che presentano oggettivo rischio di
trascinamento nelle acque meteoriche di sostanze pericolose o di sostanze in

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grado di determinare effetti pregiudizievoli ambientali. Il comma 7 di detto articolo prevede che per le imprese autorizzate allo scarico di acque reflue industriali il piano di cui al comma 6 (il piano di gestione delle acque meteoriche) è
presentato contestualmente alla domanda di nuova autorizzazione o di rinnovo.
L’art. 43 del regolamento citato al comma 1 prevede che il titolare delle attività di cui all’art. 39 comma 1 (quelle di cui all’allegato 5, tabella 5) comunque
entro tre anni dalla entrata in vigore del regolamento stesso presenta il piano di
gestione delle AMD.
Nel caso in esame, quindi, la normativa applicabile alla fattispecie concreta, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice del merito, è quella di cui alla
legge reg. toscana n. 20/2006 e al suo regolamento di attuazione. Non è invece
applicabile la normativa di cui agli artt. 101-124 del d. lgs. 3 aprile 2006, n.
152, non solo perché esclusa dall’art. 113 del medesimo decreto delegato ma
anche perché essa riguarda gli scarichi di reflui industriali e non già gli scarichi
o immissioni di acque meteoriche di dilavamento, tipologie di acque diverse tra
loro.
Ciò posto, nel caso di specie all’imputato è stata contestato la scarico delle
acque meteoriche di dilavamento senza autorizzazione, ossia è stata contestata
la violazione della disciplina dettata dalla regione ai sensi dell’art. 113, comma
1, lett. b), del d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, e cioè la violazione delle prescrizioni, ivi compresa l’eventuale autorizzazione, dettate dalla normativa regionale
per la immissione di acque meteoriche di dilavamento effettuata tramite condotta separata dalla rete fognaria. Siffatta violazione — come del resto già deciso da
questa Corte in un caso analogo al presente con la sentenza Sez. III, 21.10.2010,
n. 40857, Rizzi, non massimata — non è punita penalmente ma integra solo un
illecito amministrativo punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da €
1.500,00 ad € 15.000,00 ai sensi dell’art. 133, comma 9, del d. lgs. 3 aprile
2006,n. 152.
Non può infatti essere applicata la sanzione penale di cui all’art. 137,
comma 9 (“Chiunque non ottempera alla disciplina dettata dalle regioni ai sensi dell’art. 113, comma 3, è punito con le sanzioni di cui all’art. 137, comma 1”)
posto che non è questa la violazione contestata ed accertata nella specie. Non è
stato invero contestata né accertata la sussistenza dei presupposti richiesti per la
previsione di convogliamento e di trattamento in impianti di depurazione delle
acque meteoriche, in ragione della presenza di particolari condizioni nelle quali,
in relazione alle attività svolte, vi sia il rischio di dilavamento da superfici impermeabili scoperte di sostanze pericolose o di sostanze che creano pregiudizio
per il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici. Dalla sentenza
impugnata, invero, non risulta che sia stata fornita alcuna prova della concreta
sussistenza delle condizioni richieste dal citato art. 113, comma 3, ed anzi la
stessa sentenza dà espressamente atto (pag. 2) che anche l’Arpa aveva concordato con l’eccezione avanzata dal consulente tecnico della difesa che l’attività
svolta dalla società Ondulati Giusti non rientrava tra quelle elencate nella tabella 5 dell’allegato 5 al regolamento regionale n. 46/R dell’8.9.2008.
Per completezza può anche ricordarsi che in ogni caso esattamente il ricorrente osserva che, anche a voler ipotizzare la contaminazione dell’acqua mete

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rica di dilavamento, lo stabilimento, che era fornito di autorizzazione allo scarico di reflui industriali, aveva comunque tempo tre anni dall’entrata in vigore
(8.9.2008) del regolamento di attuazione della legge regionale n. 20/2006 per
presentare, ai sensi degli artt. 39 e 43 del detto regolamento, un piano di adeguamento.
In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio in
ordine al reato contestato ai sensi degli artt. 124 e 137 del d. lgs. 3 aprile 2006,
n. 152, perché il fatto in tal modo contestato non è comunque previsto dalla legge come reato.
Di conseguenza va disposta la trasmissione degli atti alla regione Toscana
per quanto di competenza in ordine ad eventuali illeciti amministrativi.
Per quanto concerne il reato di cui all’art. 674 cod. pen. la sentenza impugnata deve essere invece annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
Come si è già evidenziato, infatti, nella sentenza impugnata vi è una assoluta mancanza di prova circa la contaminazione delle acque da parte dei residui
trascinati durante il passaggio delle acque stesse. Vi è quindi, a maggior ragione, assoluta mancanza di motivazione sulla prova della idoneità in concreto
dell’acqua mista ai residui di molestare o offendere le persone. In sostanza,
manca qualsiasi prova sulla sussistenza degli elementi costitutivi del reato in
questione e di qualsiasi lesione del bene giuridico tutelato dall’art. 674 cod.
pen., che è rappresentato dalla pubblica incolumità.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto contestato ex art.
137 del d. 1gs. 3 aprile 2006, n. 152, non è previsto dalla legge come reato ed il
fatto contestato ex art. 674 cod. pen. non sussiste.
Dispone trasmettersi gli atti alla regione Toscana per quanto di competenza.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 30
ottobre 2013.

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