Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28663 del 17/05/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 28663 Anno 2013
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: SABEONE GERARDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CALI’ FABIO N. IL 21/09/1973
COSTA LORENZO N. IL 28/03/1969
D’AGOSTINO DOMENICO N. IL 03/07/1965
DOMINICI CALOGERO N. IL 24/01/1966
LOPES LUIGI N. IL 29/03/1974
PEDALINO ANGELO N. IL 01/01/1973
PONTIDORO GIUSEPPE N. IL 20/08/1971
SCURATO GIROLAMO N. IL 02/02/1964
VITRANO GIOVANNI N. IL 02/04/1976
MENDOLIA GIUSEPPE N. IL 30/10/1966
avverso la sentenza n. 4003/2010 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 23/09/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/05/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GERARDO SABEONE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
/14244-14
che ha concluso per i t

411a

Data Udienza: 17/05/2013

Udito, per la parte civile, l’Avs,

Uditi difensoràvv.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Palermo, con la sentenza del 23 settembre 2011
ha parzialmente confermato la sentenza del Tribunale di Palermo del 22 luglio
Cali

Fabio, Costa Lorenzo, Dominici Calogero, D’Agostino Domenico,
Mendolia Giuseppe, Lopes Luigi, Pedalino Angelo, Pontidoro Giuseppe,
Scurato Girolamo e Varano Giovanni erano stati condannati per delitti di
falso per avere, in concorso con altri soggetti giudicati separatamente, formato
pratiche di iscrizione o di modifica di iscrizione all’Albo degli Artigiani della
Camera di Commercio di Palermo, contenenti atti pubblici falsi quali bollettini
postali attestanti il pagamento dei diritti d’iscrizione nonché autentiche di firma
in calce all’istanza d’iscrizione, con l’uso di timbri falsi.
2. Avverso tale sentenza hanno proposto distinti ricorsi per cassazione gli
imputati lamentando:
il Cali, a mezzo del proprio difensore,
a) una mancanza di motivazione in merito all’affermazione della propria
penale responsabilità;
b) una violazione di legge e una motivazione illogica in merito all’applicato
trattamento sanzionatorio;
c) la prescrizione del reato.
Il Costa, a mezzo del proprio difensore,
a) la illogicità della motivazione in ordine al mancato proscioglimento e al
mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
Il Dominici, personalmente,
a) una carenza di motivazione, con particolare riferimento alle censure
mosse con l’atto di appello.
Il D’Agostino e il Mendolia, a mezzo del comune difensore,
a) una mancanza di motivazione in ordine all’affermazione della penale
responsabilità;
b) l’erroneità del trattamento sanzionatorio, la mancata concessione delle
attenuanti generiche e la mancata applicazione della prescrizione.
Il Lopes, personalmente,
a) una omessa motivazione in merito all’affermazione della penale
responsabilità.

2009 con la quale, per quanto di interesse del presente procedimento,

Il Pedalino, personalmente,
a) una motivazione illogica nel rigettare i motivi d’impugnazione;
b) l’intervenuta prescrizione degli ascritti reati.
Il Pontidoro, a mezzo del proprio difensore,
a)

una mancanza di motivazione circa l’affermazione della penale

responsabilità;
b) l’erroneo mancato riconoscimento delle attenuanti generiche nonché

Lo Serrato, personalmente,
a) una omessa motivazione circa l’affermazione della penale
responsabilità quale istigatore dell’associazione costituita dai correi giudicati
separatamente.
Il Vitrano, a mezzo del proprio difensore,
a) una carenza di motivazione in ordine all’affermazione della penale
responsabilità quale istigatore dell’attività delittuosa;
b) la mancata concessione delle attenuanti generiche e la prescrizione dei
reati ascritti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono tutti caratterizzati da inammissibilità.
2. In primo luogo, si evidenzia una genericità delle doglianze in quanto
meramente riproduttive di quelle avanzate in grado di appello ed alle quali,
contrariamente a quanto sostenuto nei ricorsi, la Corte territoriale ha dato logica
ed adeguata risposta.
3.

Inoltre, in linea generale giova premettere, come ribadito

costantemente da questa Corte, pur dopo la nuova formulazione dell’articolo 606
cod.proc.pen., lett. e), novellato dalla Legge 20 febbraio 2006, n. 46, articolo 8,
che il sindacato del Giudice di legittimità sul discorso giustificativo del
provvedimento impugnato debba essere volto a verificare che la motivazione
della pronunzia:
a) sia “effettiva” e non meramente apparente, ossia realmente idonea a
rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione
adottata;
b) non sia “manifestamente illogica”, in quanto risulti sorretta, nei suoi
punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori
nell’applicazione delle regole della logica;
2

l’erroneo riconoscimento della recidiva.

c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da
insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche
tra le affermazioni in essa contenute;
d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo”
(indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno
del ricorso per Cessazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente
inficiata sotto il profilo logico.
siano semplicemente “contrastanti” con particolari accertamenti e valutazioni del
giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle
responsabilità, nè che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più
persuasiva di quella fatta propria dal giudicante.
Ogni giudizio, infatti, implica l’analisi di un complesso di elementi di segno
non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati che, per essere
obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un’unica
spiegazione, siano in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di
fondare il convincimento del Giudice e di consentirne la rappresentazione, in
termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del
provvedimento.
È, invece, necessario che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per
sostenere l’esistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati
di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in
grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al
suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere
manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione.
Il Giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla
persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e
internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti “atti
del processo”.
Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi, anche a fronte di
una pluralità di deduzioni connesse a diversi “atti del processo” e di una correlata
pluralità di motivi dì ricorso, in una valutazione, di carattere necessariamente
unitario e globale, sulla reale “esistenza” della motivazione e sulla permanenza
della “resistenza” logica del ragionamento del Giudice.
Al Giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla
motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
3

Non è, dunque, sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente

ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal Giudice di
merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità
esplicativa.
Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo
Giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale
dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei
provvedimenti adottati dai Giudici di merito rispetti sempre uno standard di
seguito dal Giudice per giungere alla decisione.
A ciò si aggiunga come, in tema di ricorso per cassazione, quando ci si
trovi dinanzi a una “doppia pronuncia conforme” e cioè a una doppia pronuncia
(in primo e in secondo grado) di eguale segno (vuoi di condanna, vuoi di
assoluzione), l’eventuale vizio di travisamento possa essere rilevato in sede di
legittimità, ex articolo 606 cod.proc.pen., comma 1, lett. e), solo nel caso in cui il
ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio
asseritamente travisato sia stato per la prima volta introdotto come oggetto di
valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (v. Cass. Sez.
IV 10 febbraio 2009 n. 20395).
Inoltre, in tema di sentenza di appello, non sussiste mancanza o vizio
della motivazione allorquando i Giudici di secondo grado, in conseguenza della
completezza e della correttezza dell’indagine svolta in primo grado, nonché della
corrispondente motivazione, seguano le grandi linee del discorso del primo
Giudice.
Ed invero, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello,
fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico e
inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della
congruità della motivazione (v. Cass. Sez. H 15 maggio 2008 n. 19947).
La sentenza di merito non è, poi, tenuta a compiere un’analisi
approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame
dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che, anche
attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in
modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che ogni
fatto decisivo è stato tenuto presente, sì da potersi considerare implicitamente
disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate,
siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (v. Cass. Sez. IV 13
maggio 2011 n. 26660); infine, l’omesso esame di un motivo d’appello non è

4

intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico

causa di nullità della sentenza se il motivo è manifestamente infondato (v. Cass.
Sez. V 18 febbraio 1992 n. 3952).
Tutto ciò premesso, in linea generale, occorre procedere all’esame delle
singole doglianze nelle parti aventi carattere di peculiarità, tenendo ben presente
il dettato dell’articolo 173, comma 1 delle norme di attuazione del codice di
procedura che afferma che “i motivi del ricorso sono enunciati nei limiti
3. Quanto a Cali Fabio (capo 37 dell’imputazione), la Corte ne ha fatto
discendere la penale responsabilità dagli accertamenti istruttori compiuti in
prime cure e in particolare dalle deposizioni testimoniali e dalle modalità di
compimento dei fatti d’immutazione, tutti aventi le medesime caratteristiche e il
medesimo modus operandi, per cui non può richiedersi a questa Corte di
legittimità di rileggere l’attività istruttoria alla luce di considerazioni e
ricostruzioni del tutto personali che non valgono a scalfire la logica motivazione
dei Giudici del merito.
La pena in concreto irrogata non è illegale e pertanto anch’essa, in quanto
fondata su accertamenti in fatto e su considerazioni soggettive della personalità
del reo, non sindacabile avanti questa Corte.
L’inammissibilità del ricorso rende ultroneo l’accertamento dell’intervenuta
prescrizione del reato, richiesta soltanto nelle subordinate conclusioni del
presente ricorso.
4. Quanto a Costa Lorenzo (capo 54 dell’imputazione), possono ripetersi
le considerazioni dianzi espresse in relazione all’affermazione della penale
responsabilità.
Si osserva, inoltre, che la mancata concessione delle attenuanti generiche
appare ispirata alla pacifica giurisprudenza di questa Corte che afferma: “ai fini
della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche è
sufficiente che il Giudice di merito prenda in esame quello, tra gli elementi
Indicati dall’articolo 133 cod.pen., che ritiene prevalente ed atto a determinare o
meno la concessione del beneficio ed anche un solo elemento, che attiene alla
personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di
esso, può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti medesime” (v.
da ultimo, Cass. Sez. II 18 gennaio 2011 n. 3609); nella specie la Corte ha
motivato sulla base del comportamento processuale dell’imputato e tanto è
sufficiente per considerare rispettato il canone motivazionale dianzi indicato; a
ciò si aggiunga come la Corte territoriale abbia, altresì, motivato in merito alla
rideterminazione della pena operata in prime cure a cagione dell’accertata
5

strettamente necessari per la motivazione”.

prescrizione dell’altro capo d’imputazione ascritto (capo 55) e non ravvisandosi,
anche in tale circostanza, né essendo stata prospettata una concreta irrogazione
di una pena Illegale non può questa Corte di legittimità che disattendere la
doglianza teste formulata.
5. Quanto al ricorso Dominici Calogero (capo 69 dell’imputazione) non
possono che ripetersi le considerazioni dianzi espresse in merito all’affermazione
6. Quanto ai comuni ricorsi D’Agostino Domenico (capo 58
dell’imputazione) e Mendolia Giuseppe (capo 99 dell’imputazione) oltre a
doversi ripetere quanto in precedenza espresso in linea generale circa
l’affermazione della penale responsabilità deve, poi, più in particolare ricordarsi
che, in ipotesi di concorso di persone debba rilevarsi come, secondo la pacifica e
immutata giurisprudenza di questa Corte, anche quando l’atto sia proprio del
solo pubblico ufficiale, della falsa attestazione rispondono a titolo di concorso
coloro che abbiano agito per il medesimo fine, sia intervenendo all’atto sia
istigando il pubblico ufficiale o rafforzandone il proposito delittuoso (v. Cass. Sez.
V 9 febbraio 1999 n. 3552).
Nel caso in esame, dall’intera motivazione della sentenza impugnata si
desume come i Giudici dei merito abbiano incensurabilmente considerato
determinante l’apporto dei “clienti” all’attività dei pubblici impiegati infedeli, in
relazione alla comune finalità di attestare falsamente l’esistenza delle condizioni
per il rilascio delle autorizzazioni amministrative.
In merito al trattamento sanzionatorio e alla mancata concessione delle
attenuanti generiche possono ripetersi le considerazioni di cui al paragrafo 4).
Il reato commesso dal D’Agostino il 12 luglio 1999 non è prescritto, in
quanto pur applicando, in quanto più favorevole, il nuovo termine prescrizionale
(articoli 476, secondo comma e 482 cod.pen. per anni sei e mesi otto in luogo di
anni quindici secondo la vecchia normativa) si avrà la prescrizione base di anni
sei e mesi otto, più 1/3 a cagione della recidiva qualificata pari ad anni otto mesi
dieci e giorni venti, più 2/3 ai sensi dell’articolo 161 secondo comma cod.pen.,
pari ad anni tredici mesi undici e giorni dieci, con scadenza finale al 29 giugno
2013 cui devono sommarsi ulteriori giorni sette di sospensione (dal 16 al 23
settembre in grado di appello) e termine definitivo al 6 luglio 2013.
Analogamente per il Mendolia, che ha commesso il reato il 15 novembre
1999, il termine finale di prescrizione, operando i medesimi calcoli, andrà a
scadere il 1 novembre 2013.

della penale responsabilità dei coimputati che lo precedono.

7. Quanto al ricorso Lopes Luigi (capo 85 dell’imputazione), imperniato
soprattutto sull’ascrivibilità dei fatti a titolo di concorso non possono che ripetersi
le medesime considerazioni dianzi espresse al paragrafo 6).
8. Quanto al ricorso Pedalino Angelo (capo 109 dell’imputazione), si
osserva che per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione “oltre
ogni ragionevole dubbio”, già adoperata dalla giurisprudenza di questa Corte
successivamente recepita nel testo novellato dell’articolo 533 cod.proc.pen.,
quale parametro cui conformare la valutazione inerente all’affermazione di
responsabilità dell’imputato, è opportuno evidenziare che, al di là dell’icastica
espressione, mutuata dal diritto anglosassone, ne costituiscono fondamento il
principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza e la cultura della
prova e della sua valutazione, di cui è permeato il nostro sistema processuale.
Si è, in proposito, esattamente osservato che detta espressione ha una
funzione meramente descrittiva più che sostanziale, giacché, in precedenza, il
“ragionevole dubbio” sulla colpevolezza dell’imputato ne comportava pur sempre
il proscioglimento a norma dell’articolo 530 cod.proc.pen., comma 2, sicché non
si è in presenza di un diverso e più rigoroso criterio di valutazione della prova
rispetto a quello precedentemente adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito
il principio, immanente nel nostro ordinamento costituzionale ed ordinario,
secondo cui la condanna è possibile soltanto quando vi sia la certezza
processuale assoluta della responsabilità dell’imputato (v. da ultimo Cass. Sez.
9 novembre 2012 n. 7035).
La Corte territoriale si è, nella specie, attenuta alla suddetta affermazione
di diritto, quanto alla posizione dell’odierno ricorrente e pertanto non può essere
censurata avanti questa Corte.
Il reato, infine, non è prescritto in quanto commesso il 21 giugno 1999,
per cui ripetendo il medesimo calcolo operato per i dianzi indicati coimputati
D’Agostino e Mendolia (anni tredici, mesi undici e giorni dieci con ulteriore
aggiunta di giorni sette di sospensione) si avrà il termine prescrizionale definitivo
al 7 giugno 2013
9. Quanto al ricorso Pontidoro Giuseppe (capo 114 dell’imputazione), il
compendio probatorio è anche indiziario, se con tale termine s’intende indicare la
presenza di prove indirette e l’assenza di fonti che riferiscano o riproducano la
realizzazione dell’azione delittuosa direttamente vista o registrata.
Non è detto, però, che le prove indirette (o critiche) siano sempre e
comunque meno significative della prova rappresentativa (o a funzione narrativa)
7

Suprema (v. per tutte, Cass. Sez. Un. 10 luglio 2002 n. 30328) e

e non è la fonte né l’oggetto della prova ciò che qualifica l’indizio ai sensi
dell’articolo 192 cod.proc.pen., comma 2 ma il suo contenuto e il suo grado di
persuasività (v. Cass. Sez. I 9 novembre 2011 n. 47250).
Basterà ricordare che l’articolo 192, al comma 2 introduce nel diritto
processuale penale una regola operante nel processo civile, in virtù dell’articolo
2729 cod.civ., una regola che serva da freno nei confronti degli usi arbitrari e

efficacia persuasiva delle prove.
Chiaro è dunque il riferimento alle presunzioni semplici di cui agli articoli
2727 e 2729 cod.civ. e cioè al procedimento logico attraverso il quale da certe
premesse si afferma la esistenza di fatti ulteriori “alla stregua di canoni di
probabilità con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di
accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possono verificarsi secondo regole di
comune esperienza” (v. Cass. Sez.Un. Civ. 13 novembre 1996 n. 9961).
Nel caso in esame, il materiale vagliato risulta dettagliatamente scrutinato
per singoli elementi, per coerenza interna ed esterna di ciascuno, e per loro
significato complessivo.
Correttamente, all’esito, si è attribuito a tale materiale un valore
probatorio tanto grave, univoco e concordante, da risultare idoneo a fondare un
giudizio di colpevolezza che supera ogni ragionevole dubbio.
A ciò si aggiunga come l’intero ricorso sia teso alla ricostruzione dei fatti
di causa secondo tesi del tutto personali, che non valgono ad inficiare il logico e
corretto argomentare dei Giudici del merito.
Quanto alla pena inflitta deve ribadirsi come in assenza di violazioni palesi
di legge (c.d. pena illegale) la stessa non possa essere censurata in sede di
legittimità.
Del pari la Corte territoriale, conformemente al primo Giudice e al
certificato penale dell’imputato, ha affermato la sussistenza della contestata
recidiva e l’odierno ricorrente neppure deduce l’inesistenza di tale circostanza
aggravante.
10. Quanto al ricorso Scurato Girolamo (capo 128 dell’imputazione),
incentrato sulla partecipazione a titolo di concorso nell’ascritto reato, vale quanto
dianzi espresso al paragrafo 6).
11.

Quanto al ricorso Vitrano Giovanni (capo 141 dell’imputazione)

l’affermazione della penale responsabilità è stata motivata, per quanto dianzi
espresso, sulla base delle dianzi indicate considerazioni generali e più in
particolare per quanto esposto al paragrafo 3).

indiscriminati di elementi ai quali, sul piano logico, non è riconosciuta la stessa

Del pari motivata è la mancata concessione delle attenuanti generiche
secondo quanto dianzi espresso al paragrafo 4).
Il reato, commesso il 4 ottobre 1999, non è neppure prescritto perchè
ribadendo il calcolo dianzi operato per i coimputati D’Agostino, Mendolia e
Pedalino (anni tredici mesi undici e giorni dieci oltre giorni sette di sospensione)
si avrà il termine definitivo di prescrizione al 21 settembre 2013.
ricorrenti ciascuno al pagamento delle spese processuali e della somma di euro
1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.T.M.

La Corte, dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore
della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 17/5/2013.

12. L’inammissibilità dei ricorsi determina, in conclusione, la condanna dei

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