Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28658 del 04/02/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 28658 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LO GIUDICE DOMENICO N. IL 19/01/1968
avverso il decreto n. 98/2014 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 20/03/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALFREDO
GUARDIANO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. (“”\-0-2-g–.1t1/4-

1

Uditi difensor Avv.;

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tele o ‘tde

Data Udienza: 04/02/2016

FATTO E DIRITTO

1. Con il decreto di cui in epigrafe la corte di appello di Torino
rigettava l’appello proposto nell’interesse di Lo Giudice Domenico,

della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per la durata di
anni quattro, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza o
di dimora abituale, e della misura di prevenzione patrimoniale
della confisca, avente ad oggetto la ditta individuale “Italgross di
Lo Giudice Domenico”, compreso l’intero patrimonio aziendale ed i
conti correnti riconducibili alla ditta.
2.

Avverso il decreto della corte territoriale, di cui chiede

l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il
Lo Giudice, a mezzo del suo difensore di fiducia, avv. Basilio
Pitasi, del Foro di Reggio Calabria, eccependo: 1) violazione
dell’art. 606, lett. b) e c), c.p.p., in relazione agli artt. 10, d.lgs.
n. 159 del 2011, e 178, c.p., in quanto la decisione della corte
territoriale è stata resa senza che al D’Agostino, detenuto in
carcere, sia stato consentito dall’autorità di polizia penitenziaria,
di portare con sé documentazione ritenuta essenziale per la sua
difesa, al fine di produrla nel giudizio di appello, con conseguente
vulnus del diritto di difesa; 2) violazione dell’art. 606, co. 1, lett.
b) ed e), c.p.p., 10, d.lgs. n. 159 del 2011, in relazione all’art. 4
dello stesso decreto e 125, c.p.p., in quanto, con riferimento alla
prognosi riguardante la pericolosità sociale del proposto, il
provvedimento impugnato è affetto da carenza di motivazione,
posto che ricollega l’attualità della pericolosità sociale, alla
vicinanza nel tempo della pronuncia di condanna del Lo Giudice
per reato associativo, laddove andava presa in considerazione

volto ad ottenere la revoca della misura di prevenzione personale

l’epoca, di molto risalente nel tempo, delle condotte poste in
essere dal ricorrente, descritte dai collaboratori di giustizia, non
potendosi demandare la valutazione dei fatti posti a fondamento
della ritenuta pericolosità sociale, all’esito di un procedimento

arresti citati dal Lo Giudice; 3) violazione dell’art. 606, co. 1, lett.
b) ed e), c.p.p., 10, d.lgs. n. 159 del 2011, in relazione all’art. 24
dello stesso decreto legislativo ed all’art. 125, c.p.p., in quanto la
corte territoriale estende apoditticamente “la mafiosità”
dell’impresa “Ingr.AI.Sud”, accertata nell’ambito del procedimento
penale a carico del Lo Giudice, alla ditta “Italgross”, in ragione
della sostanziale continuità di quest’ultima, rispetto alla prima,
omettendo di considerare che proprio l’estinzione della
“Ingr.AI.Sud” e la costituzione della “Italgross” non trovare
giustificazione se non nell’esigenza di dare un corso diverso
all’impresa. 3. Con requisitoria depositata il 28.10.2015 il sostituto
procuratore generale della Repubblica presso la Corte di
Cassazione, nella persona del dott. Roberto Aniello, chiede che il
ricorso sia rigettato.
4 Con memoria depositata in cancelleria il 7.1.12016, l’avv. Pitasi
insiste, in particolare, per la fondatezza del primo motivo di
ricorso, citando, a sostegno della sua tesi, precedenti della
giurisprudenza di legittimità.
5. Il ricorso non può essere accolto per le seguenti ragioni.
6.

Preliminarmente vanno ribaditi i principi affermati dal

consolidato orientamento della giurisprudenza del Supremo
Collegio, secondo cui in materia di misure di prevenzione il ricorso
per cassazione può essere proposto soltanto per violazione di
legge, in cui sono compresi i vizi di mancanza della motivazione e

penale, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità in alcuni

di motivazione apparente, sicché è inammissibile il ricorso con cui
vengano denunciati i vizi di contraddittorietà o di illogicità
manifesta della motivazione ovvero diretto a far valere vizi che
non rendano la motivazione del tutto carente e priva dei requisiti

apparente (cfr., ex plurimis, Cass., sez. I, 17.1/2011, n. 5838;
Cass., sez. I, 12.1.2011, n. 5117; Cass., sez. I, 10.12.2010, n.
580).
Tale orientamento ha ricevuto l’avallo delle Sezioni Unite di questa
Corte, che, in un recente arresto, hanno affermato il principio
secondo cui nel procedimento di prevenzione il ricorso per
cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il
disposto dell’art. 4 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato
dall’art. 3 ter, secondo comma, legge 31 maggio 1965, n. 575; ne
consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa
dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi
dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606, lett. e), c.p.p., potendosi
esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile
come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato
imposto al giudice d’appello dal nono comma del predetto art. 4
legge n.1423 del 56, il caso di motivazione inesistente o
meramente apparente.
In motivazione, peraltro, il Supremo Collegio ha ribadito che non
può essere proposta come vizio di motivazione mancante o
apparente la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi
che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o
comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a
fondamento del provvedimento impugnato (cfr. Cass, sez. U.,
29.5.2014, n. 33451, rv. 260246, nonché, sotto il profilo della

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minimi di coerenza e di logicità tale da risultare meramente

conformità a Costituzione dell’intero sistema delle impugnazioni in
materia di misure di prevenzione, Corte Costituzionale n. 106 del
2015).
Orbene, la corte di appello di Reggio Calabria, lungi dall’adottare

disatteso le singole doglianze difensive riportate nei motivi di
ricorso, sottolineando, con approfondita ed articolata motivazione,
corredata da pertinenti richiami giurisprudenziali, la sussistenza,
nel caso in esame, di tutti i presupposti di legge per l’applicazione
delle indicate misure di sicurezza nei confronti del Lo Giudice, le
cui censure risultano specificamente disattese, con motivazione
condivisibile, nel provvedimento impugnato.
Ed invero, come correttamente rilevato nella requisitoria del
pubblico ministero, i giudici di merito, peraltro con logico e
coerente argomentare, hanno desunto “l’appartenenza del
proposto ad associazione mafiosa”, esaminando autonomamente
le risultanze del procedimento penale che ha portato in sede
penale ad una condanna in primo grado ed hanno
conseguentemente ritenuto ampiamente dimostrata, in relazione
al livello indiziario richiesto per le misure di prevenzione, la
partecipazione del proposto alla omonima cosca della
‘ndrangheta”.
La corte territoriale, peraltro, si è diffusamente soffermata sul
profilo dell’attualità della pericolosità sociale del prevenuto,
attraverso un esaustivo richiamo dei diversi orientamenti
affermatisi nella giurisprudenza di legittimità, giungendo ad una
decisione che appare conforme all’orientamento ritenuto
preferibile da questo Collegio, secondo cui, ai fini dell’applicazione
di misure di prevenzione nei confronti di appartenenti ad

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una motivazione inesistente o apparente, ha puntualmente

associazioni di tipo mafioso, non è necessaria alcuna particolare
motivazione in punto di attuale pericolosità, una volta che, come
nel caso in esame, l’appartenenza, da intendere non come vera e
propria partecipazione al sodalizio mafioso, ma come “mera

interessi della struttura criminale e nel contempo denoti la
pericolosità sociale specifica del proposto, risulti adeguatamente
dimostrata (in presenza di indizi dotati di effettiva consistenza, in
termini di sintomaticità della suddetta appartenenza, presi
specificamente in esame, come si è detto, dalla corte territoriale,
alla luce del noto principio dell’autonomia tra il giudizio di
cognizione e quello di prevenzione,) e non sussistano elementi dai
quali ragionevolmente desumere che essa sia venuta meno per
effetto del recesso personale, non essendo dirimente a tal fine il
mero decorso del tempo dall’adesione al gruppo o dalla concreta
partecipazione alle attività associative (cfr.,

ex plurimis, Cass.,

sez. V, 18.3.2015, n. 43490; rv. 264927; Cass., sez. II,
09.3.2015, n. 24782, rv. 264367; Cass., sez. VI, 1.10.2014, n.
41977, rv. 260437; Cass., sez. V, 16.5.2014, n. 32353).
Né va taciuto che la corte territoriale, nel ricostruire
compiutamente la figura del Lo Giudice nelle sue condotte
penalmente rilevanti e nei suoi rapporti con l’omonima cosca,
soffermandosi, inoltre, sulle dimensioni e sulla perdurante
operatività di tale sodalizio di stampo mafioso, nonché
sull’assenza di elementi positivi in grado di dimostrare il
sopravvenuto distacco del proposto dal contesto criminale
associativo di riferimento o il venir meno dell’associazione stessa,
ha, in ogni caso, soddisfatto l’esigenza di ancorare il giudizio in
concreto sulla persistenza della pericolosità sociale del proposto,

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contiguità” all’associazione stessa, che risulti funzionale agli

anche nel caso in cui sia stata accertata la sua “appartenenza” ad
un’associazione a delinquere di stampo mafioso, ai parametri
all’uopo specificamente indicati da altro orientamento della
giurisprudenza della Suprema Corte (cfr. Cass., sez. I, 11.2.2014,

A fronte di tale apparato motivazionale, invero di rara esaustività
(cfr. pp. 2-12 del decreto oggetto di ricorso), veramente non si
comprende come possa sostenersi che la decisione di cui si
discute sia sorretta da una motivazione inesistente o “apparente”.
Ad identiche considerazioni deve pervenirsi anche con riferimento
al terzo motivo di ricorso, con cui vengono rappresentate censure
attinenti alla pretesa illogicità o inadeguatezza della motivazione,
che, peraltro, si risolvono in una valutazione alternativa degli
elementi di fatto posti a fondamento della decisione della corte
territoriale, del pari non consentita in sede di legittimità.
Anche in questo caso, del resto, la motivazione della corte
territoriale è ineccepibile, in quanto il giudice di secondo grado,
dopo avere svolto approfondite considerazioni, in generale, sul
significato di “impresa mafiosa”, si è soffermato, in particolare,
sulle ragioni per cui deve ritenersi tale la “Ingr.ALSud”,
evidenziando come quest’ultima sia stata lo strumento utilizzato
dalla cosca Lo Giudice per operare direttamente sul mercato e per
conseguire i proventi illeciti delle forniture imposte attraverso la
forza di intimidazione promanante dal sodalizio.
Su tale presupposto e sulla dimostrata assoluta continuità
aziendale (una vera e propria sovrapposizione) tra la suddetta
“Ingr.AI.Sud” e la “Italgross”, resa evidente da una serie di
elementi fattuali sui cui si sofferma specificamente, la corte
territoriale ha compiutamente fondato la sua decisione di

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n. 23641, rv. 260104).

conferma anche del provvedimento di applicazione della misura di
prevenzione reale, conformandosi all’onere motivazionale che su
di essa gravava (cfr. pp. 12-20 del decreto oggetto di ricorso).
Quanto al primo motivo di ricorso, ne va rilevata l’assoluta

non avendo il ricorrente indicato, come sarebbe stato suo onere,
non solo la decisività, ai fini della decisione, della documentazione
di cui non è stata possibile la produzione, ma, ancor prima,
nemmeno la natura di tale documentazione.
7. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso di cui in
premessa va rigettato, con condanna del ricorrente, ai sensi
dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q. M .
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
Così deciso in Roma il 4.2.2016.

genericità, che lo rende di per sé non scrutinabile in questa sede,

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