Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2865 del 30/10/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 2865 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: MULLIRI GUICLA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Fadda Pierpaolo, nato a Quartu S.Elena 1’11.10.65
imputato art. 2 L. 638/83
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Cagliari del 4.2.13
Sentita la relazione del cons. Guida Mùlliri;
Sentito il P.M., nella persona del P.G. dr. Francesco Salzano, che ha chiesto una
declaratoria di inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato – Il ricorrente è accusato di avere,
nella sua qualità di titolare della omonima ditta, omesso di versare le ritenute previdenziali ed
assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, nel periodo compreso tra
gennaio 2005 e maggio 2006. La Corte d’appello, con la decisione qui impugnata, ha ribadito la
condanna, pur riducendo la pena in relazione a quella parte della condotta che risultava essersi
estinta per prescrizione.
2. Motivi del ricorso personalmente, deducendo:

Avverso tale decisione, l’imputato ha proposto ricorso,

per incompatibilità di uno dei componenti il collegio
1) violazione di legge
giudicante in appello in quanto trattavasi del medesimo giudice che si era pronunciato nei
confronti del ricorrente, come giudice monocratico;

Data Udienza: 30/10/2013

2) violazione di legge non potendosi ravvisare la sussistenza del reato
ipotizzato in difetto di prova della effettiva corresponsione delle retribuzioni.
Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso inammissibile perché manifestamente infondato.

3.1. Per quel che attiene alla questione sollevata con il primo motivo, si fa
notare che è principio di diritto pacifico che la situazione di incompatibilità di uno dei
componenti il collegio non era causa di nullità ma, al massimo, avrebbe giustificato una
dichiarazione di ricusazione. Come, infatti, ribaditosi anche di recente (sez. v, 8.11.06, Zonch, Rv.
236307): “l’esistenza di cause di incompatibilità ex art. 34 c.p.p., non incidendo sulla capacità
del giudice, non determina la nullità del provvedimento adottato dal giudice ritenuto
incompatibile, ma costituisce esclusivamente motivo di ricusazione, che deve essere fatto
valere tempestivamente con la procedura di cui all’art. 37 c.p.p.”.
Evidente che, nel caso in esame, il ricorrente non ha attivato nei termini tale procedura
e non può cercare di ovviare attraverso un ricorso dinanzi a questa S.C. in cui si denuncia
un’anomalia non più denunciabile.

Il secondo motivo è del tutto generico oltre che destituito di fondamento.
Dopo l’intervento di queste S.U. (28.5.2003, Silvestri, Rv. 224609), non c’è più dubbio che elementi
essenziali del reato previsto dalla L. 638/83, art. 2, comma 1 bis, sono, da una parte, la
corresponsione delle retribuzioni ai lavoratori dipendenti, e dall’altra, il mancato versamento
all’istituto previdenziale delle relative ritenute previdenziali ed assistenziali. Orbene, la
presentazione da parte del datore di lavoro degli appositi modelli attestanti le retribuzioni
corrisposte ai dipendenti e gli obblighi contributivi verso l’istituto previdenziale (c.d. DM 10)
“possono essere valutati, in assenza di elementi contrari, come prova piena della effettiva
corresponsione delle retribuzioni stesse” (sez. III, 14.2.07, Saggese, Rv. 237203v. anche Sez. III, 46451/09).
Alla stregua di ciò, risulta ineccepibile ciò che la Corte osserva in proposito richiamando
la giurisprudenza di legittimità ed affermando che «i modelli DM 10 hanno natura ricognitiva
della situazione debitoria esposta e fanno piena prova a carico dell’imprenditore». Nella
specie, oltretutto, (essendo incontestata l’avvenuta presentazione dei Mod DM10) vi è anche la deposizione
del teste Medda che ha confermato di avere ricevuto sempre e per intero le retribuzioni
maturate.
3.2.

Alla presente declaratoria segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di 1000 C.

P.Q.M.
Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
ed al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di 1000 C

Così deciso il 30 ottobre 2013

Il C

estensore

3. Motivi della decisione

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