Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28649 del 07/05/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 28649 Anno 2013
Presidente: BEVERE ANTONIO
Relatore: SABEONE GERARDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GATTELLARO CARMELA N. IL 20/11/1942
avverso la sentenza n. 12/2011 TRIBUNALE di VERONA, dei
09/05/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/05/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GERARDO SABEONE
lì,
Udito il Procuratore Generale in peqona del Dott. 420.4,•.4,
che ha concluso per li 4 uJio R■11 Wi Oh&

Udito, per la parte civile, l’Avv
UditaitlifensotlAvv.

F4uL .

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Data Udienza: 07/05/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Verona, con sentenza del 9 maggio 2012, ha confermato
la sentenza del Giudice di pace di Verona del 12 gennaio 2011, con la quale
Gattellaro Carmela era stata condannata per il delitto di lesioni personali
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cessazione l’imputata, a
mezzo del proprio difensore, lamentando:
a) una violazione di legge e la mancata assunzione di una prova decisiva
in ordine alle dichiarazioni rese da due coimputati assolti nel giudizio di prime
cure;
b) una violazione di legge e la mancanza di motivazione in ordine
all’affermazione della penale responsabilità sulla base delle dichiarazioni della
parte offesa costituita parte civile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per un duplice ordine di motivi.
2. In primo luogo perché la ricorrente non si discosta affatto da quanto
già ha formato oggetto dei motivi di appello che sono stati disattesi dal Tribunale
con motivazione logica ed ispirata ai principi della materia.
3. In secondo luogo, come ribadito costantemente da questa Corte (v. a
partire da Sez. VI 15 marzo 2006 n. 10951 fino di recente a Sez. V 6 ottobre
2009 n. 44914), pur dopo la nuova formulazione dell’articolo 606 cod.proc.pen.,
lettera e), novellato dalla Legge 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, il sindacato del
Giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato
deve essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia:
a) sia “effettiva” e non meramente apparente, ossia realmente idonea a
rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione
adottata;
b) non sia “manifestamente illogica”, in quanto risulti sorretta, nei suoi
punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori
nell’applicazione delle regole della logica;

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continuate in danno di Marchesini Giovanni.

c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da
insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche
tra le affermazioni in essa contenute;
d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” in
termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.
Al Giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla
motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a
ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal Giudice di
merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità
esplicativa.
Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo
Giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale
dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei
provvedimenti adottati dai Giudici di merito rispetti sempre uno standard di
intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico
seguito dal giudice per giungere alla decisione.
4. Con riferimento al primo motivo, il Tribunale ha correttamente
applicato le norme invocate.
Si osserva, infatti, come l’articolo 603 cod.proc.pen. conferisca al Giudice
un potere e non un dovere di integrazione probatoria.
L’esercizio di tale potere presuppone, poi, la sussistenza dell’assoluta
necessità del nuovo mezzo di prova e postula l’apprezzamento e la valutazione al
riguardo da parte del Giudice, il quale, ove non eserciti tale potere, non è tenuto
a darne espressamente conto, evincendosi implicitamente dall’effettuata
valutazione, adeguata e logica, delle risultanze probatorie già acquisite la
superfluità di una eventuale integrazione istruttoria (v. Cass. Sez. VI 16 febbraio
2010 n. 24430).
L’iniziativa deve essere, pertanto, “assolutamente necessaria” (sia
l’articolo 507 che il 603 del codice di rito per l’appello usano questa espressione)
e la prova deve avere carattere di decisività (altrimenti non sarebbe
“assolutamente necessaria”), diversamente da quanto avviene nell’esercizio
ordinario del potere dispositivo delle parti in cui si richiede soltanto che le prove
siano ammissibili e rilevanti.
Nella specie il Tribunale ha addirittura motivato in merito alla non
necessità di ascoltare nuovamente i coimputati già sentiti in prime cure.

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fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di

5. Quanto al secondo motivo, del pari, non si ravvisa alcuna manifesta
illogicità nella motivazione del Giudice del merito, avendo il giudicante applicato
la costante giurisprudenza di legittimità sul punto secondo la quale le regole,
dettate dall’articolo 192, comma terzo cod.proc.pen. non si applicano alle
dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste
da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato,
previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del
caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le
dichiarazioni di qualsiasi testimone (v. da ultimo, Cass. Sez. Un. 19 luglio 2012
n. 41461).
Il Giudice a quo ha motivato in merito alla credibilità soggettiva della
dichiarante parte offesa nonché all’attendibilità intrinseca del racconto per cui ciò
è sufficiente all’affermata penale responsabilità dell’imputata, anche con il citato
riscontro della documentazione medica circa le procurate lesioni.
6. L’inammissibilità del ricorso determina, altresì, la condanna della
ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della
Cassa delle Ammende.

P.T.M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore
della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 7/5/2013.

dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal

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