Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28648 del 17/03/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 28648 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ZINDATO FRANCESCO N. IL 13/06/1977
ZINDATO GAETANO ANDREA N. IL 29/07/1984
avverso la sentenza n. 17/2014 CORTE ASSISE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 20/11/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/03/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 17/03/2016

- Udito il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione,
dr.ssa Paola Filippi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
– Udito, per gli imputati, l’avv. Giuseppe Nardo, che ha chiesto l’annullamento
della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

Calabria, con accertamento di responsabilità ormai divenuto definitivo a seguito
del rigetto dell’impugnativa proposta dinanzi alla Suprema Corte, per
associazione mafiosa, siccome capo e promotore della cosca di `ndrangheta
Borghetto-Caridi Zindato (capo A), nonché per detenzione e porto in luogo
pubblico di armi e munizioni (capo L) e per plurimi reati di cui all’art. 12quinquies L. 356/92, per aver intestato fittiziamente a terzi beni di cui aveva la
disponibilità, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di
prevenzione. L’intestazione fittizia ha riguardato, in particolare, una impresa
edile, intestata a Paris Tommaso (capo N); l’impianto sportivo denominato
“Palaghiaccio”, intestato alla Pro Loco Sport Organization (capo O); il circolo
ricreativo Las Vegas, intestato a Parisi Biagio Consolato e Parisi Giuseppe (capo
P); un appartamento, intestato a Nava Carmela Maria (capo P-bis); una impresa
di pulizia, intestata a Quirino Franco Fabio (capo P-ter).

2. Zindato Gaetano Andrea è stato ritenuto responsabile in via definitiva dalla
medesima Autorità e con la stessa sentenza, insieme al fratello Francesco, per
detenzione e porto in luogo pubblico di armi (capo L) e per intestazione fittizia di
beni, a parte che per l’aggravante dell’art. 7 L. 203/91 (capi O e P), nonché, in
via non definitiva, per concorso nel reato di cui al capo A), quale partecipe.

3. La situazione processuale sopra descritta consegue alla pronuncia della Corte
Cassazione del 18/6/2014, che ha accolto, per vizio di motivazione, il ricorso di
Zindato Gaetano Andrea in ordine alla sua ritenuta partecipazione alla cosca e,
per quanto riguarda i reati di cui ai capi N – O – P – P/ter (art. 12-quinquies L.
356/92), i ricorsi di entrambi gli imputati, limitatamente alla ritenuta aggravante
dell’agevolazione mafiosa, ed ha rinviato ad altra sezione della Corte d’Assise
d’appello di Reggio Calabria per nuovo esame sul punto.

4. Corte d’Assise d’appello di Reggio Calabria, decidendo in sede di rinvio, ha,
con la sentenza impugnata, confermato il giudizio di responsabilità formulato a
carico di Zindato Gaetano Andrea per il delitto di associazione mafiosa, in qualità
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1. Zindato Francesco è stato condannato dall’Autorità giudiziaria di Reggio

di partecipe, e l’aggravante dell’agevolazione mafiosa per il capo O), contestato
a entrambi gli imputati; ha escluso l’aggravante dell’art. 7 L. 203/91 in relazione
ai capi N-P-P/ter e rideterminato la pena irrogata ad entrambi.

5. L’aggravante dell’art. 7 L. 203/91 – contestata ad entrambi gli imputati in
relazione al capo O) – ha riguardato la costruzione e la gestione del
“Palaghiaccio”, attuata apparentemente da Sconti Massimo, ma riferibile, in
realtà, ed entrambi gli imputati, che del primo si sarebbero serviti come soggetto

pattinaggio su ghiaccio, che, secondo i giudici di merito, ha visto il diretto
coinvolgimento, sia in fase attuativa che operativa, di un buon numero di
associati, quali Borghetto Eugenio, Modafferi Giuseppe, Perla Matteo. Iannì
Natale, Sapone Sebastiano (alcuni anche in posizione verticistica), oltre a quella
di Alampi Natale (ritenuto intraneo alla cosca Rosmini), i quali hanno trattato
l’iniziativa come affare comune. Fatto questo che, secondo i giudici, dimostra che
“la realizzazione della pista di ghiaccio ha travalicato la più ridotta dimensione
dell’interposizione fittizia strumentale all’elusione della normativa di prevenzione
per diventare essa stessa espressione dell’egemonia mafiosa sul territorio”,
essendosi tradotta in una vera e propria operazione di infiltrazione nel tessuto
economico cittadino, strumentale al consolidamento della cosca, i cui interessi
avrebbe soddisfatto.

7. la responsabilità di Zindato Gaetano Andrea per il reato di cui al capo A) è
stata ricollegata dalla Corte d’Assise d’appello alle seguenti circostanze:
a) ha coadiuvato il fratello Francesco nella costruzione e nella gestione del
Palaghiaccio, funzionale, per quanto è stato sopra detto, alla penetrazione nel
tessuto economico e sociale di Reggio Calabria della cosca Borghetto-CaridiZindato;
b) era conosciuto, insieme al fratello, da Sconti Massimo come soggetto a cui
bisognava rivolgersi per ottenere il placet alle iniziative da sviluppare sul
territorio, al fine “di evitare problemi futuri” (pag. 39);
c) procurò alla cosca, nel mese di ottobre del 2008 (fatto già accertato in
maniera irretrattabile), armi e munizioni, acquisite da Ferrito Mauro (guardia
giurata, che le aveva acquistate presso armerie varie) ed alterate mediante
punzonatura dei numeri di matricola al fine di impedire l’accertamento della
provenienza;
d) era un abituale fornitore di droga di Ferrito Mauro (fatto per il quale è stato
condannato) e lo faceva in cooperazione col fratello Francesco, capo della cosca.
Il collaboratore Fregona Vittorio ha, infatti, parlato di lui come di un soggetto che
aveva “alle spalle” il fratello;

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diurA

interposto. Si tratta di una struttura sportiva destinata a ospitare una pista di

e) si prestò, nel 2005, ad accompagnare – con pronta sollecitudine – il capocosca Domenico Libri dalla Toscana a Reggio Calabria, per consentirgli di
sfruttare al meglio un permesso accordatogli dal Tribunale di Sorveglianza;
f) fu riconosciuto da Canale Claudio (che gestiva, col padre, una concessionaria
di ciclomotori) – in una conversazione da questi avuta con Modafferi Giuseppe come soggetto che era in grado di fargli ottenere – rapidamente – la restituzione
di un computer da lui prestato a tale Pippo e che questi si rifiutava di rendergli.

degli imputati, l’avv. Giuseppe Nardo
8.1. Questi, dopo averli riassunti, esamina e critica i dati che, a giudizio della
Corte di merito, impongono di ricondurre l’affare del Palaghiaccio ad una ipotesi
di trasferimento fraudolento di valori attuato nell’interesse della cosca, in quanto
– deduce – dagli stessi traspare solo un moderato intervento dei sodali, attuato,
peraltro non nell’interesse del gruppo malavitoso di appartenenza, ma
nell’interesse dei solo Zindato Francesco o, al massimo, di entrambi i fratelli, che
sono gli unici beneficiari dell’aiuto e i soli “domini” dell’iniziativa. Ne è prova il
fatto che nessuno di loro fu costretto a prestare la propria attività per il fine
avuto di mira dai f.11i Zindato, ma lo fece spontaneamente, per recare ausilio ai
comuni sodali, uno dei quali ritenuto, con decisione irretrattabile sul punto, al
vertice del sodalizio. Deduce, poi, che vi è contraddizione nelle diverse
proposizioni della Corte di merito, secondo cui l’aiuto prestato dai sodali sarebbe,
da una parte, segno di cointeressenza in un affare “comune”, dall’altro sarebbe
finalizzato a “consolidare l’egemonia del gruppo di riferimento”, e che questa
seconda finalità è incompatibile con la fisiologia del reato di intestazione fittizia,
che è commesso per occultare l’appartenenza mafiosa dei beni – al fine di
sottrarli all’ablazione- e non per dare ad essa visibilità. D’altra parte, aggiunge,
nessuna prova è stata fornita di un contributo economico dei sodali all’avvio
dell’attività, così come nessuna prova è stata data di una loro partecipazione agli
utili, tant’è che nessuno dei sodali è stato chiamato concorrente nel reato: il che
smentisce l’affermazione che si sia trattato di un affare “comune”. Da ultimo,
censura la sentenza per violazione dell’art. 627 cod. proc. pen., avendo il giudice
di rinvio motivato la sussistenza dell’aggravante con gli stessi dati e argomenti
valutati nei pregressi gradi di giudizio e ritenuti insufficientì dal giudice
rescindente.
8.2. Con riguardo alla posizione di Zindato Gaetano Andrea lamenta,
innanzitutto, che la Corte di merito abbia sovrapposto i profili della
partecipazione associativa e quelli dell’interposizione fittizia, attribuendo alla
gestione economica del Palaghiaccio da parte dell’imputato il significato ulteriore
di appartenenza alla cosca, dimenticando che il reato di cui all’art. 416/bis cod.
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8. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione, nell’interesse

pen. esige il concorso di requisiti (scopo condiviso, organizzazione e affectio
societatis) che sono estranei alla fattispecie dell’art. 12-quinquies L. 356/92,
quand’anche aggravato ex art. 7 L. 203/91. Ugualmente erronea – prosegue – è
l’altra deduzione della Corte d’Assise d’Appello, che ha “inferito” una condotta
partecipativa dalla mera cogestione del Palaghiaccio da parte dell’imputato,
giacché in questo modo si confondono, ancora una volta, “i confini di tipicità del
reato associativo con quelli evidentemente più contenuti del reato di intestazione
fittizia”.

segue: a) la detenzione e il porto di armi clandestine, per cui l’imputato è già
stato condannato, non sono stati ritenuti sufficienti dal giudice rescindente per
provare l’intraneità al sodalizio. In ogni caso, dalla dimostrazione della
consumazione di una qualsiasi condotta delinquenziale non è possibile inferire
anche la consumazione di una condotta associativa; b) l’episodio
dell’accompagnamento di Domenico Libri e il recupero del computer di Canale
non sono stati rivalutati alla luce dei principi stabiliti nella sentenza di
annullamento, perché non inseriti in un contesto fatto di “circostanze nuove,
diverse ed esterne” rispetto ad essi, tali da connotare in termini di mafiosità le
due vicende e trarne elementi di giudizio nella direzione ritenuta dal giudicante.
Anche con riguardo alla dimostrazione della condotta partecipativa, quindi, la
motivazione esibita dalla Corte d’Assise l’Appello è contraddittoria e
manifestamente illogica, oltre che lesiva della norma di cui all’art. 627, comma
3, cod. proc. pen..

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è fondato in ordine al primo motivo di doglianza.
1. In tema di agevolazione dell’attività di un’ associazione di tipo mafioso, la
circostanza aggravante prevista dall’art. 7 D.L. 13 maggio 1991, n.152,
convertito nella legge 12 luglio 1991, n. 203, richiede per la sua configurazione il
dolo specifico di favorire l’ associazione, con la conseguenza che questo fine deve
essere l’obiettivo “diretto” della condotta, non rilevando possibili vantaggi
indiretti, né il semplice scopo di favorire un membro della cosca, sia pure posto
al vertice della stessa. Occorre, cioè, la prova della oggettiva finalizzazione
dell’azione a favorire l’ associazione e non un singolo partecipante (ex multis,
Cass., n. 49090 del 4/12/2015).

2. Tale impostazione soccorre anche allorché si tratti di valutare la sussistenza
dell’aggravante in relazione al reato di cui all’art. 12-quinquies d.l. n. 306 del
1992, conv. in legge n. 356 del 1992; aggravante che, in base alla
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In ordine agli ulteriori elementi valorizzati dalla Corte di merito, osserva quanto

giurisprudenza di questa Corte, può trovare applicazione anche in relazione al
delitto di trasferimento fraudolento di valori, in quanto l’occultamento giuridico di
un’attività imprenditoriale, attraverso la fittizia intestazione ad altri, implementa
la forza del sodalizio di stampo mafioso, determinando un accrescimento della
sua posizione sul territorio attraverso il controllo di un’attività economica (Cass.,
n. 12622 del 13/2/2015, che ha ravvisato la sussistenza dell’aggravante nella
intestazione fittizia di un distributore di benzina, e Cass., n. 9185 del 25/1/2012,
che ha ravvisato l’aggravante nella intestazione a terzi, a fini di occultamento, di

3. Occorre, quindi, in applicazione del principio di carattere generale sopra
enunciato, che l’intestazione fittizia sia diretta allo specifico fine di agevolare
l’associazione mafiosa cui è riferibile l’attività economica. Tanto presuppone,
logicamente, che l’attività economica – seppur gestita, com’è inevitabile, in
maniera indiretta e mediata da persone legate all’associazione (posto che
l’associazione criminale non ha cittadinanza nel mondo giuridico) – sia funzionale
agli interessi dell’associazione, nel senso che da essa l’associazione tragga
mezzi, forza e prestigio per esercitare il proprio predominio sul territorio. Non
basta, quindi, che l’attività occultata nella maniera sanzionata dall’art. 12quinquies serva gli interessi del singolo associato, sia pure posto a livello di
vertice, ma occorre che sia l’associazione nel suo insieme a beneficiare
dell’intestazione fittizia, attraverso l’occultamento di un’attività che abbia
carattere strategico per l’associazione, o rechi un significativo contributo alla sua
esistenza o alla sua operatività.

4. Alla luce di tali principi – conosciuti e condivisi dal giudice di merito, ma non
coerentemente applicati – non può dirsi che sia stata data dimostrazione del
finalismo agevolativo della intestazione, in capo a Sconti Massimo (rectius, alla
Pro Loco Organization), del cd. Palaghiaccio, poiché, pur essendo stato
dimostrato l’interessamento, intorno all’iniziativa economica, di una serie di
soggetti legati al clan Borghetto-Caridi-Zindato, non è stata dimostrata la
strumentalità dell’iniziativa agli interessi della cosca, invece che a quelli dei suoi
membri, e non ha ricevuto convincente dimostrazione l’affermazione che anche
l’intestazione fittizia sia avvenuta per favorire il clan suddetto. Si è trattato,
infatti, a quanto è dato apprendere dalla sentenza impugnata, di una iniziativa di
modesto impegno economico (non più di 70 mila euro), che è stata condotta in
prima persona (seppur dietro le quinte) dai fili Zindato, con lo sfruttamento
della capacità economica di Sconti Massimo e con un limitato contributo
finanziario dei due imputati (soprattutto di Zindato Francesco), i quali si sono
avvalsi, per talune attività (principalmente, lo spianamento del terreno e la
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un supermercato).

pubblicizzazione dell’iniziativa) dell’opera di soggetti legati all’associazione. Tale
coinvolgimento degli adepti non è sufficiente a ricondurre l’iniziativa nella sfera
di competenza e cointeressenza della cosca, sia per la limitatezza dell’intervento
dei sodali, sia perché non è dimostrato che – a parte alcuni vantaggi derivanti ai
sodali dalla prestazione delle attività sopra menzionate – sia stata l’intera cosca
a trarre beneficio dall’iniziativa; e, quindi, che l’iniziativa sia servita – alla cosca a “implementare l’egemonia e la capacità di penetrazione nel tessuto
economico-sociale” della città (pag. 37). Soprattutto, non è dimostrato che il

principali beneficiari dell’iniziativa – nel mentre si sostituivano a Sconti Massimo
nella realizzazione e gestione del Palaghiaccio e nell’operare il “trasferimento
fraudolento” che è loro imputato.

5. Sono infondate, invece, le doglianze di Zindato Gaetano Andrea in ordine alla
sua ritenuta partecipazione al clan Borghetto-Caridi-Zindato. Gli elementi fattuali
sopra sinteticamente esposti hanno effettivamente la forza dimostrativa loro
attribuita dai giudici di merito, giacché dimostrano che: a) l’imputato operava in
stretto collegamento col fratello nella gestione – in maniera illecita – delle
iniziative economiche che interessavano la sua famiglia di origine, che era al
vertice – tramite il fratello – del sodalizio mafioso (la vicenda del Palaghiaccio,
anche priva del disvalore connesso all’aggravante dell’art. 7 L. 203/91, dimostra
che Zindato Gaetano Andrea si preoccupava, insieme al fratello, di “schermare”
le attività economiche cui partecipava); b) operava insieme al fratello nello
spaccio degli stupefacenti; vale a dire in una attività che richiede, a Reggio
Calabria, il placet delle organizzazioni criminali imperanti sul territorio; c) era
uomo di fiducia del copocosca Libri (che a lui si affidò, nel 2005, nel
trasferimento dalla Toscana alla Calabria: segno, evidente, della massima fiducia
in lui riposta, dati i rischi – anche per l’incolumità personale – cui Libri si
sottoponeva); d) era conosciuto come soggetto in grado di “fare giustizia” con la
sua parola (ne è effettivamente prova la vicenda Canale) e come soggetto a cui
bisognava rivolgersi per ottenere l’autorizzazione ad operare sul territorio; e)
soprattutto, era in grado di procurare all’associazione armi clandestine. Si tratta
di argomenti immotivatamente svalutati dal ricorrente attraverso la loro
considerazione atomistica e che la Corte d’appello ha, invece, correttamente
valorizzati in una visione unitaria, che tiene conto delle specifiche dinamiche
delle associazioni mafiose e dell’effetto moltiplicatore connesso alla sommatoria
degli elementi indizianti.
Non è esatto, poi, affermare che la precedente sentenza di annullamento
abbia ritenuto inidonei a provare l’inserimento di Zindato Gaetano nella
compagine associativa gli elementi oggi valorizzati dalla Corte d’assise d’appello.
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rafforzamento della cosca fosse l’obbiettivo avuto di mira dagli imputati –

Vero è, invece, che il giudice rescindente non ha tenuto conto del principale
elemento dì accusa a carico di Zindato Gaetano, rappresentato dal
procacciamento di armi clandestine a favore del sodalizio (la parte della sentenza
di annullamento che riguarda Zindato Gaetano – pagg. 26-27 – non fa menzione
di questo dato, definitivamente acquisito al processo), che la Corte d’Assise
d’appello ha, invece, adeguatamente e logicamente posto al centro del suo
ragionamento, posto che si tratta, effettivamente, di condotta chiaramente
conducente verso l’ipotesi fatta propria dal giudicante. D’altra parte, le censure

sé, ma l’uso che di essi era stato fatto, rilevando che, “in carenza di ulteriori
elementi significativi”, né l’accompagnamento di Libri né l’attivismo a favore di
Canale (episodio rappresentato – secondo la sentenza di annullamento – dal
primo giudice “in termini affatto generici”) potevano dirsi univocamente indicativi
della partecipazione di Zindato al sodalizio. Ed è proprio tenendo conto di siffatte
censure che il giudice del rescissorio ha approfondito l’indagine introspettiva ai
singoli elementi, rilevando – quanto al primo episodio – che Zindato Gaetano fu
coinvolto in via emergenziale nel trasporto del boss in Calabria, essendo risultato
impedito, per tale incombente, il fido Tuscano ed essendo sorta la necessità di
reperire, nel più breve tempo possibile, altro soggetto ugualmente fidato, che si
prestasse ad eseguire l’incombente e lo facesse in compagnia di altro soggetto
da lui reperito; quanto al secondo episodio, che Canale non aveva un rapporto
amicale o privilegiato con Zíndato Gaetano e che anche il suo “avversario” (tale
Pippo) era nella sua stessa condizione, e tuttavia entrambi erano stati tentati di
rivolgersi, o si erano effettivamente rivolti, a Zindato Gaetano per soddisfare
l’interesse – contrapposto – che li muoveva. E’ per tale via che la Corte di merito
ha rivalutato gli episodi in questione, sottolineando – come non aveva fatto il
giudice della sentenza annullata – che il primo di essi è indicativo della pronta e
incondizionata disponibilità dimostrata a favore del capo della cosca alleata (e
non di un amico) e della totale fiducia che era riposta in lui dal capocosca e dai
membri della cosca da questi capeggiata; che il secondo è effettivamente
indicativo dell’autorità riconosciuta a Zindato Gaetano dai soggetti operanti sul
territorio del rione Modena di Reggio Calabria, che gli consentiva di esercitare
una “giurisdizione domestica” a favore di quanti scegliessero di avvalersi della
sua protezione. Nessuna violazione di legge (in particolare, dell’art. 627 cod.
proc. pen.) si è, pertanto, consumata, dal momento che, come la giurisprudenza
di legittimità sottolinea in modo costante, il giudice di rinvio é investito – quando
l’annullamento è stato disposto per vizio di motivazione – di pieni poteri di
cognizione e può – salvi i limiti nascenti da eventuale giudicato interno – rivisitare
il fatto con pieno apprezzamento ed autonomia di giudizio, sicché egli non é
vincolato ad eventuali elementi di fatto e valutazioni contenutì nella pronunzia di
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della sentenza di annullamento non avevano riguardato gli elementi indiziari in

annullamento (vedi Rv. 226418; Rv. 209692), ben potendo accedere ad una
piena rivisitazione del compendio probatorio, con l’unico limite di non riproporre
il percorso logico e le valutazioni censurate nel giudizio rescindente. Ne deriva
che in esito alla compiuta rivisitazione ben può addivenire a soluzioni diverse da
quelle del precedente giudice di merito, ma può anche condividerne le
conclusioni, pervenendo ad identico epilogo decisorio, purché motivi il suo
convincimento sulla base di argomenti diversi da quelli ritenuti illogici o carenti in

6. In conclusione, il ricorso degli imputati va accolto per quanto attiene al
riconoscimento – in relazione al capo O) – dell’aggravante dell’art. 7 L. 203/91,
che va eliminata, mentre va rigettato per quanto attiene alla ritenuta
partecipazione associativa di Zindato Gaetano Andrea. Di conseguenza, la
sentenza va annullata – nei limiti anzidetti – con rinvio al giudice a quo per la
rideterminazione della pena.

P.Q.M.

Esclusa l’aggravante dell’art. 7 L. 203/91 quanto al reato di cui al capo O),
annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Assise di
Appello di Reggio Calabria per il trattamento sanzionatorio. Rigetta nel resto il
ricorso di Zindato Gaetano Andrea.
Così deciso il 17/3/2016

sede di illegittimità (Rv. 245389). E’ quanto – in concreto – avvenuto.

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