Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28645 del 07/05/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 28645 Anno 2013
Presidente: BEVERE ANTONIO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RUSSI MICHELANTONIO N. IL 26/04/1944
avverso la sentenza n. 2001/2011 TRIB.SEZ.DIST. di RODI
GARGANICO, del 17/05/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/05/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 07/05/2013

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Giovanni D’Angelo, ha

concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
per le parti civili De Bellis ed eredi Lanzetta è presente l’Avvocato Giovanni
Maggiano, anche in sostituzione dell’avv. Di Nauta per Agricola Eustachio, che
depositano conclusioni scritte e nota spese;
per il ricorrente è presente l’Avvocato Gianfranco Giangualano, che chiede
l’accoglimento del ricorso.

Con sentenza del 10 febbraio 2011, resa a seguito di annullamento con rinvio dalla
Quinta sezione penale di questa Corte (n. 8814 del 21 gennaio 2010) di una
precedente decisione di assoluzione, su impugnazione del P.M. di Lucera (un atto di
appello riqualificato come ricorso), Russi Michelantonio era condannato dal giudice
di pace di Rodi Garganico alla pena di giustizia per il delitto di ingiuria aggravata e
continuata; in particolare era stato contestato che l’imputato aveva offeso l’onore
ed il decoro degli avvocati Agricola Eustachio e Lanzetta Raffaele, nonché di De
Bellis Giovanni, pronunciando, nei confronti dei predetti, espressioni ingiuriose.
Secondo la versione dei querelanti, dopo la celebrazione di un’udienza civile che
vedeva contrapposti Il De Bellis ed il Russi, quest’ultimo, mentre scendeva le scale
del palazzo di giustizia, parlando col proprio figlio, diceva: “Maurizio, non devi più
andare sul terrazzo, perché questi non vogliono; questi sporchi di merda”. La frase

veniva pronunciata all’indirizzo del De Bellis e dell’Agricola, con un cenno verso di
loro, che scendevano le scale due o tre gradini dietro l’imputato.
Successivamente il Russi, nella sala avvocati, avvicinava l’avvocato Agricola e ciò
provocava l’intervento dell’avvocato Lanzetta, per spiegare all’imputato che non era
opportuno parlare con le controparti. Il Russi, quindi, rivolto al Lanzetta, gli
indirizzava l’espressione: “Zitto tu, chi cazzo sei; vaffanculo”.
La condanna, confermata dal Tribunale di Rodi Garganico con sentenza del 17
maggio 2012, si fondava sulle dichiarazioni delle persone offese, costituite parte
civile, confermate da quelle di Voto Maurizio, teste definito indifferente,
attendibilità non era smentite dalle deposizioni dei testi a discarico

la cui

Leo Anna e

Simone Giuseppe.
L’odierno ricorso, presentato personalmente dall’imputato, è affidato a quattro
motivi:
a) nullità del giudizio per incompatibilità del giudice di appello,

determinata

dall’attività valutativa dallo stesso compiuta nella fase di trattazione dell’erroneo
mezzo di impugnazione. Il ricorrente rileva che, a fronte dell’appello
impropriamente presentato dal procuratore di Lucera, contro la prima sentenza del
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RITENUTO IN FATTO

giudice di pace di Rodi Garganico, il giudice, dott. Nardelli, dispose la trasmissione
dell’impugnazione in cassazione, per cui egli era incompatibile a celebrare il giudizio
di appello, come invece avvenne. Il giudice propose dichiarazione di astensione, ma
il presidente del Tribunale non accolse la richiesta.
b) Violazione dell’articolo 606 c.p.p., lettera C ed E, in relazione agli artt. 192 e 533
c.p.p., sotto diversi profili: secondo il ricorrente il giudice di pace avrebbe dovuto
rinnovare l’istruttoria dibattimentale, pure in presenza di accordo delle parti ad
escluderla; vi erano rancori tra le persone offese e l’imputato; vi erano significative

teste Voto, quest’ultimo del tutto inattendibile; inoltre i testi Leo e Simone non
avevano confermato le dichiarazioni dei testi di accusa.
c) Erronea esclusione delle scriminanti previste dall’articolo 599, commi 1 e 2,
codice penale. Il ricorrente censura la motivazione della sentenza di appello, con la
quale è stata esclusa la reciprocità delle offese e la provocazione. A suo giudizio
l’espressione “vaffanculo” non ha valenza offensiva, ma rappresenta una parola di
uso comune col significato di

“non infastidirmi”,

al più espressione di

impoverimento del linguaggio.
d) Violazione ed erronea applicazione dell’articolo 538, in relazione all’articolo 576
c.p.p., perché, non avendo la parte civile proposto appello contro la prima decisione
di assoluzione del giudice di pace, l’imputato non poteva essere condannato al
pagamento delle spese, né potevano essere confermata le statuizioni civili di primo
grado.
Con memoria difensiva dell’Il aprile 2013 il difensore del Russi, avvocato
Gianfranco Giangualano, riprende tutti gli argomenti già proposti nel ricorso. Con
riferimento al secondo motivo, deduce che con sentenza “Dan contro Repubblica di
Moldavia” la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto che, nel caso in cui in
sede di gravame sia affermata la responsabilità dell’imputato assolto in primo
grado, sulla base di una diversa valutazione di attendibilità delle prove orali già
valutate dal primo giudice, l’art. 6 CEDU impone l’esame diretto dei testimoni da
parte del giudice dell’appello. Nello stesso senso depone il comma 3 dell’articolo
111 della Costituzione, in materia di giusto processo, per cui il giudice di pace
avrebbe dovuto procedere ad una nuova escussione dei querelanti-persone offese,
_anche in presenza di accordo delle parti ad utilizzare le prove già assunte, poiché il
principio di oralità ed immediatezza dibattimentale e la regola sancita dall’articolo
525 c.p.p., in caso di cambiamento della persona fisica del giudice, a pena di nullità
assoluta, impediscono il mero riesame degli atti già acquisiti da un diverso giudice
di pari grado.
Viene inoltre dedotta l’inammissibilità dell’appello presentato dal pubblico ministero
di Lucera, perché proposto con modalità diverse da quelle consentite, e cioè a
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divergenze nella ricostruzione dei fatti tra le deposizioni delle persone offese ed il

mezzo fax indirizzato la cancelleria del giudice di pace di Rodi Garganico, per cui
manca la certezza in ordine alla persona che ha provveduto la sua presentazione.
Viene ancora dedotta la carenza di interesse ad impugnare del pubblico ministero e
l’errore commesso dal Tribunale di trasmettere gli atti alla Corte di cassazione,
anziché dichiarare inammissibile appello. Quanto alla condanna al risarcimento del
danno a favore dei querelanti non appellante in sede civile della precedente
sentenza di assoluzione, si richiama l’ordinanza 313 del 2011, resa dalla Quinta
sezione di questa Corte, in cui (nella lettura che ne dà il ricorrente) sarebbe già

servendosi della eventuale sentenza di condanna.
Infine viene ribadita l’applicabilità alla fattispecie delle scriminanti previste
dall’articolo 599 c.p..
Con memoria difensiva del 16 aprile 2013, pervenuta 19 aprile 2013, il Russi
ribadisce infine le proprie censure nei confronti della sentenza del Tribunale ed
insistite per il riconoscimento della scriminante della provocazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e va pertanto disatteso.
1.1 Con riferimento al primo motivo di ricorso, deve richiamarsi la pacifica
giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’esistenza di cause di incompatibilità,
non incidendo sui requisiti di capacità del giudice, non determina la nullità del
provvedimento adottato dal giudice ritenuto incompatibile, ma costituisce
esclusivamente motivo di ricusazione, da far valere con la specifica procedura
prevista dal codice di rito; nè ha incidenza sulla capacità del giudice la violazione
del dovere di astensione, che non è causa, pertanto, di nullità generale ed assoluta
ai sensi dell’art. 178, lett. a), cod. proc. pen., ma costituisce anch’essa
esclusivamente motivo, per la parte, di ricusazione del giudice non astenutosi. Il
difetto di capacità del giudice di cui all’art. 178, lett. a), cod. proc. pen., deve
essere infatti inteso quale mancanza dei requisiti occorrenti per l’esercizio delle
funzioni giurisdizionali e non anche come difetto delle condizioni specifiche per
l’esercizio di tali funzioni in un determinato procedimento (per tutte: Sez. 5, n.
13593 del 12/03/2010, Bonaventura, Rv. 246716; cfr. S.U., n. 5 del 1996, ric.
D’Avino, RV 204464, S.U., n. 23 del 2000, ric. Scrudato, RV 215097). Nel caso di
specie, peraltro, l’attività svolta dal dott. Nardelli non ne determinava
l’incompatibilità a celebrare il giudizio, sia perchè non ha implicato alcuna
valutazione di merito sull’appello, sia perché la precedente attività compiuta nel
procedimento che determina l’incompatibilità è solo quella tassativamente prevista
dall’art. 34 c.p.p., anche all’esito delle numerose sentenze della Corte costituzionale
che ne hanno progressivamente esteso l’ambito.
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stato affermato che il risarcimento in sede civile va richiesto successivamente,

L’incompatibilità è stata recentemente esclusa da questa Corte con riferimento al
caso ancor più significativo di annullamento dell’ordinanza che dichiari
l’inammissibilità dell’impugnazione, osservando che tale provvedimento attiene a
questione di natura processuale, laddove invece la previsione della diversità del
giudice rispetto a quello che ha emesso il provvedimento annullato vale, nel caso di
annullamento con rinvio, solo per i casi tassativamente previsti, e, quindi, per l’art.
623 c.p.p., lett. c) e d), che fanno riferimento alle sentenze e non ad altri
provvedimenti del giudice, (Sez. 5, n. 13593 del 12/03/2010, Bonaventura, Rv.
In concreto, poi, vi è stata dichiarazione di astensione, rigettata dal Presidente del
Tribunale e non è stata proposta istanza di ricusazione.
2. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.
Correttamente il giudice di pace ha ritenuto non necessario procedere alla
rinnovazione dell’istruttoria, in presenza di esplicito accordo delle

parti

ad

escluderla.
2.1 Nella memoria dell’il aprile 2013 il difensore ha invocato il principio di diritto
espresso dalla recente decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo, Sezione
III, 14 giugno – 5 luglio 2011 Dan / Repubblica di Moldavia, secondo cui nel caso
In cui una Corte d’appello è chiamata ad esaminare i fatti e la legge

e quindi a

compiere una valutazione completa circa la colpevolezza o l’innocenza
dell’imputato, non può, secondo i principi del giusto processo, correttamente
giungere a decidere di tali questioni senza effettuare una valutazione diretta delle
prove. Eccezioni a tali principio sono consentite solo quando sia impossibile sentire
un testimone in prima persona al processo perché, per esempio, lui o lei è morto, o
al fine di tutelare il diritto della testimonianza di non incriminare sé.
2.2 Questa Corte ha già avuto modo di occuparsi della tematica sollevata,

affermando in una recente sentenza che “il giudice di appello per riformare in
“peius” una sentenza assolutoria è obbligato – in base all’art. 6 CEDU, così come
interpretato dalla sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo del 5 luglio
2011, nel caso Dan crnoldavia – alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale solo
quando intende operare un diverso apprezzamento di attendibilità di una prova
orale, ritenuta in primo grado non attendibile” (Sez. 6, n. 16566 del 26/02/2013,

Caboni ed altro, Rv. 254623).
Due sono i presupposti dell’obbligo del giudice di procedere al nuovo esame dei
testimoni, come chiaramente enunciati dalla decisione della Corte europea dei diritti
dell’Uomo del 5 luglio 2011:
a) la decisività della prova testimoniale ai fini dell’affermazione di responsabilità;
b) la necessità di una rivalutazione da parte del giudice di appello dell’attendibilità
dei testimoni, esclusa in primo grado.
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246717).

2.3 A ben vedere nel caso concreto manca del tutto il secondo presupposto, perché
la valutazione del materiale probatorio è avvenuto nell’ambito di un

giudizio di

rinvio, in seguito ad annullamento della sentenza del giudice di pace di Rodi
Garganico del 19 giugno 2008 e non di un giudizio di appello.
In particolare la prima decisione del giudice di pace era stata annullata per il
travisamento dei parametri di valutazione della prova, contemplati nell’art. 192
c.p.p., con particolare riferimento al consolidato il principio secondo cui la

testimonianza della persona offesa può costituire, anche da sola, prova della
una indagine positiva sulla sua credibilità.
La sentenza della Quinta Sezione n. 8814 del 21 gennaio 2010 ha osservato sul
punto che

“nella specie il decidente, lungi dall’escludere l’attendibilità dei

querelanti, ha, tuttavia concluso che – a fronte delle “posizioni contrastanti delle
parti e dei testi, tutte persone degne di rispetto” – non era possibile “formulare un
verdetto di colpevolezza”. È di tutta evidenza che in tal modo il giudicante – senza
compiere alcuna appropriata valutazione in ordine alle dichiarazioni dei testi assunti
ed alle circostanze del fatto – ha, in sostanza, obliterato quanto asseverato delle
persone offese, esprimendo unicamente un suo dubbio soggettivo”; di conseguenza
ha proceduto all’annullamento della decisione di assoluzione, precisando che “il
giudice di rinvio, al fine di emendare i vizi evidenziati, dovrà procedere al riesame
della vicenda, mediante approfondita valutazione degli elementi probatori acquisiti,
fornendo, nel quadro dei principi di cui all’art. 192 c.p.p., adeguata motivazione
circa le conclusioni che liberamente riterrà di adottare”.
Appare evidente, allora, che nel nuovo giudizio il decidente non doveva confrontarsi
con la precedente valutazione in punto di attendibilità dei testimoni, sia perché la
sentenza era stata annullata e dunque era da considerarsi tamquam non esset, sia
perché tale valutazione era stata del tutto pretermessa; egli doveva procedere al
nuovo giudizio, nei termini indicati dalla sentenza di annullamento, come sopra
precisati.
A ciò ha proceduto il giudice di pace, disponendo sull’accordo delle parti che
l’istruttoria si intendesse come eseguita e procedendo a nuova decisione all’esito
della discussione delle parti.
2.4 Deve escludersi, allora, anche la violazione degli artt. 525 c.p.p. e 111, comma
3, della Costituzione, contestata nei motivi nuovi dal difensore del ricorrente, poiché

la norma del codice di rito che impone in caso di mutamento della persona fisica del
giudice, a pena di nullità assoluta, la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale,
non riguarda la fattispecie del giudizio di rinvio e quella costituzionale conosce una
deroga, al comma 5, nei tre casi provata di condotta illecita, accertata impossibilità

di natura oggettiva o di consenso dell’imputato.
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responsabilità dell’imputato, senza necessità di riscontri, ove venga sottoposta ad

In questo caso ricorre la terza eccezione, prevista espressamente
comma 3, c.p.p., e tale consenso è validamente prestato

dall’art. 493
dal difensore

dell’imputato, nell’ambito delle funzioni di partecipazione alla definizione delle prove
da acquisire allo stesso conferite (Sez. 5, n. 13525 del 25/01/2011, Xhaferri, Rv.
250226).

L’acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti

nel fascicolo del

pubblico ministero (nonché di documentazione relativa all’attività difensiva) infatti pur costituendo eccezione al principio dell’assunzione diretta dei mezzi di prova per

costituisce estrinsecazione del generale potere di

Indicazione dei fatti che si intendono provare e delle prove di cui si chiede
l’ammissione (disciplinato dall’art. 493 c.p.p., comma 1 e certamente appartenente
al difensore anche dell’imputato, come espressamente previsto da tale comma); è
congrua al principio generale di rappresentanza dell’imputato assente o contumace,
previsto dall’art. 484 c.p.p., comma 2 bis in relazione all’art. 420 quater c.p.p.,
comma 2 e art. 420 quinquies c.p.p., comma 1, ultima parte e comma 2.

2.5 Peraltro, secondo la più recente giurisprudenza, la nullità

assoluta ed

insanabile, sancita dall’art. 525 c.p.p., comma 2, può ritenersi sussistente solo

quando, intervenuto un mutamento nella composizione del giudice, risulti dagli atti
di causa che sia stato impedito alte parti di celebrare un nuovo dibattimento e che,
quindi, la rinnovazione del dibattimento medesimo sia stata

deliberatamente

rifiutata od esclusa (Cass. Sez. 6, n. 2928 del 21/10/2009, P.G. in proc. Picozzi, Rv.
245768; Sez. 1, n. 18308 del 14/01/2011, Bellarosa, Rv. 250220).

Nel caso in esame all’udienza del 9 dicembre 2010, sull’esplicito accordo delle parti,
il processo era rinviato per la discussione, dandosi atto della utilizzazione delle
prove assunte nel precedente giudizio.
2.6 D’altronde anche qualora vi fosse stata opposizione alla utilizzabilità delle
dichiarazioni acquisite nella precedente fase dibattimentale, l’inutilizzabilità avrebbe
dovuto essere eccepita subito, non essendo tale inutilizzabilità
stato e grado del processo, trattandosi di elementi probatori

rilevabile in ogni
non assunti in

violazione di norma di legge e quindi non affetti da un vizio intrinseco derivante da
causa originaria (Cass. Sez. 1^, sent. 30 novembre 1999, n 781, Rv. 215107, Sez.

Un. N. 2 del 15.01.1999, rv 212395).
3. Le censure residue del secondo motivo sono inammissibili, in quanto relative ad

aspetti di merito e volte a sollecitare una rivalutazione del compendio probatorio.
Va ricordato, preliminarmente, che la Corte di cassazione non deve stabilire se la
decisione di merito proponga la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nè deve
condividerne la

giustificazione, ma deve limitarsi a verificare

se questa

giustificazione sia logica e compatibile con il senso comune. L’illogicità della
motivazione, come vizio denunciabile, dev’essere, inoltre, percepibile “ictu oculi”,
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il giudizio in dibattimento

dovendo il sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza,
restando ininfluenti le minime incongruenze. Dunque, non è possibile per questa
Corte procedere ad una ricostruzione alternativa del fatti, sovrapponendo a quella
compiuta dai giudici di merito una diversa valutazione del materiale istruttorio, se,
come nel caso di specie, vi è congrua e logica motivazione nel provvedimento (o,
meglio, nei provvedimenti, dato che le motivazioni della sentenza di primo grado e
di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo In un risultato organico e
Inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della
236181).
Nel caso di specie il Tribunale ha dato pienamente conto delle ragioni che l’hanno
Indotta a ritenere provato il delitto di Ingiuria, ritenendo attendibile la ricostruzione
dei fatti operata dalle persone offese, confermata dal teste Voto, la cui deposizione
secondo il giudice di appello “avrebbe potuto portare ad una affermazione di
responsabilità anche considerata da sola” e, per certi versi, anche dai testi della
difesa Simone e Leo.
Della linea argomentatIva così sviluppata il ricorrente non segnala alcuna caduta di
consequenzialità, che emerga ictu ocull dal testo stesso del provvedimento,
tentando di enfatizzare aspetti marginali di contraddizione tra le singole deposizioni,
che non sono in grado di scalfire il nucleo centrale dell’episodio storico, fatto
motivatamente proprio dal giudice di merito.
3. Il terzo motivo, con il quale il ricorrente contesta il mancato riconoscimento delle
scriminanti previste dall’art. 599 c.p., è infondato.
Quanto alla reciprocità delle offese II riferimento è all’espressione “guappo” che il
Lanzetta avrebbe pronunciato nel corso dell’udienza civile e la sentenza chiarisce in
maniera articolata e logica perché debba escludersi la scriminante: per un verso,
infatti, mancava la contestualità temporale, essendo ormai superata la fase
dell’udienza; per altro verso lo stesso imputato ha spiegato di aver reagito
all’intervento del Lanzetta per evitare il confronto dialettico tra l’Agricola ed il Russi
e non in relazione a quanto accaduto in udienza; il tenore delle parole pronunciate
(“Zitto tu, chi cazzo sei; vaffanculo”) conferma tale assunto.
Né sono emersi gli elementi del fatto ingiusto, perché l’intervento del Lanzetta volto
ad evitare e contenere il confronto dialettico tra il Russi e l’Agricola, rappresenta un
fatto pienamente legittimo, per cui non ricorrono nemmeno i presupposti per
l’esimente di cui all’art. 599, comma 2, c.p..
3.1 Quanto infine al carattere offensivo dell’espressione “vaffanculo”, non può
dubitarsi della portata offensiva delle frasi pronunciate dal ricorrente. Ed, infatti,
pur dovendosi prendere atto del degrado del linguaggio e della inciviltà che oramai
non di rado contraddistingue il rapporto tra i cittadini, l’epiteto
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“vaffanculo”,

congruità della motivazione (cfr. Sez. 2, n. 5606 del 10/01/2007, Conversa, Rv.

accompagnato dalle espressioni “Zitto tu, chi cazzo sei”, non è soltanto indice di
cattiva educazione e di uno sfogo dovuto ad una pretesa invadenza dell’offeso, ma
anche del disprezzo che si nutre nei confronti dell’interlocutore.
Del resto è opportuno ricordare che la valutazione circa la portata offensiva delle
frasi pronunciate spetta ai giudici di merito, che doverosamente debbono tenere
conto del contesto nel quale si è verificato il fatto; la motivazione che sorregge tale
valutazione è nel caso di specie congrua ed immune da manifeste illogicità e,
quindi, non censurabile in sede di legittimità.
civili di primo grado e la condanna alle spese in favore delle parti civili, in
riferimento agli articoli 538 e 576 c.p.p., non avendo la parte civile mai proposto
appello contro la prima decisione di assoluzione del giudice di pace, è Infondato.
4.1 Sul punto va registrato un Importante arresto delle Sezioni Unite di questa
Corte, in base al quale il giudice di appello, che su gravame del solo pubblico
ministero condanni l’Imputato assolto nel giudizio di primo grado, deve provvedere
anche sulla domanda della parte civile, che non abbia impugnato la decisione
assolutoria (Sez. U, n. 30327 del 10/07/2002, Guadalupl, Rv. 222001).
Con tale decisione le Sezioni Unite hanno rovesciato la diversa decisione, assunta
nella medesima composizione (Sez. U, n. 5 del 25/11/1998, Loparco, Rv. 212575)
che aveva affermato il principio per il quale alla parte civile costituita non può
riconoscersi il risarcimento del danno, se, assolto l’imputato nel giudizio di primo
grado, vi sia condanna dello stesso su appello del solo pubblico ministero.
4.2 La più recente giurisprudenza di questa Corte si è ormai consolidata nel senso
che la parte civile, una volta ammessa, quand’anche non impugni la sentenza di
proscioglimento di primo grado, ha il diritto non solo di partecipare alle fasi
successive alla prima, ma anche quello di vedersi riconosciuto (senza che ciò
costituisca violazione del principio del divieto della reformatio in peius) il diritto al
risarcimento del danno ed il Collegio condivide tale orientamento.
Sul punto sarà sufficiente osservare che in primo grado gli aspetti civilistici, in caso
di assoluzione penale, non vengono per nulla esaminati per essere venuto meno il
presupposto per la condanna al risarcimento del danno.
L’impugnazione del P.G. sulla responsabilità penale, ovvero sul presupposto per la
condanna anche al risarcimento del danno, rimette alla valutazione ed alla
decisione della Corte di Appello la intera situazione processuale dell’imputato.
In una situazione siffatta un’autonoma impugnazione della parte civile sarebbe, in
verità, superflua, mancando aspetti specifici della decisione che investano le
problematiche civilistiche. Siffatta impostazione è legittimata dalla disposizione
prevista dall’art. 76 c.p.p. che ha stabilito il principio della immanenza della
costituzione di parte civile per tutta la durata del processo; detta immanenza fa sì
9

4. Il quarto motivo, con il quale il ricorrente censura la conferma delle statuizioni

che quando si verifichi il presupposto – la condanna penale – il giudice deve
esaminare anche la domanda al risarcimento ed alle restituzioni della parte civile.
Sotto tale profilo vi è una sorta di accessorietà dell’azione proposta dalla parte civile
al giudizio penale.
Infine, se così non fosse, non si comprenderebbe la disposizione dell’art. 601,
comma 4, c.p.p., che prevede che la parte civile debba essere sempre citata a
comparire nel processo penale nel quale si è costituita e, quindi, anche se non
abbia proposto una autonoma impugnazione.
parte civile, nel caso di mancata autonoma impugnazione, non potesse interloquire
sugli aspetti civili della questione e reiterare la sua domanda di risarcimento la sua
presenza sarebbe superflua, non potendo essa parte civile interloquire sugli aspetti
penali, se non strettamente connessi alla domanda civile.
4.3 Correttamente quindi il giudice di pace di Rodi Garganico ha deciso anche sugli
aspetti civili ed il Tribunale di Lucera ha confermato le statuizioni civili di primo
grado, pronunciando altresì la condanna alle spese in favore delle parti civili.
4.4 Nessun rilievo assume, nel senso invocato dal ricorrente, l’ordinanza di questa
Sezione, pronunciata su Istanza di correzione proposta dal Russi, con la quale si
chiedeva appunto di statuire, con ordinanza “l’autorità di cosa giudicata alla parte
della predetta sentenza non impugnata, ovvero agli effetti civili, ai sensi e per
l’effetto dell’art. 624 c.p.p., comma 2″.
Ciò perché l’Istanza è stata rigettata, sicché la motivazione del provvedimento non
può essere utilizzata in senso contrario al suo dispositivo.
L’affermazione contenuta nell’ordinanza n. 4960 del 9 febbraio 2011 di questa
Sezione, secondo cui ‘anche se si volesse aderire al principio cui si rifà l’istante,
comporterebbe esclusivamente che nel giudizio di rinvio potrebbe discutersi
unicamente della responsabilità penale dell’Imputato, essendo preclusa a detti
querelanti – giusto appunto il menzionato principio – la possibilità di far valere, in
quella sede penale, propri diritti al risarcimento del danno. Ma non comporterebbe
affatto che, all’esito del giudizio penale, se sfavorevole all’imputato, agli stessi
querelanti sarebbe impedito di esercitare la domanda risarcitoria in sede civile,
avvalendosi del giudicato penale di condanna” è una argomentazione ipotetica,
formulata al solo scopo di motivare il rigetto dell’istanza e non certo per sostenere
che nel processo penale era precluso il tema della responsabilità civile.
5. Da ultimo vanno prese in esame le questioni proposte dal difensore dell’imputato
con la memoria difensiva dell’il. aprile 2013, in relazione alla inammissibilità
dell’appello proposto originariamente dal Procuratore di Lucera, perché proposto
con modalità diverse da quelle consentite, e cioè a mezzo fax indirizzato la
cancelleria del giudice di pace di Rodi Garganico, e per difetto di interesse ad
10

Si tratta ovviamente di una conseguenza del principio della Immanenza, ma se la

impugnare, oltre che l’errore commesso dal Tribunale di trasmettere gli atti alla
Corte di cassazione, anziché dichiarare inammissibile l’appello.
5.1 Ebbene, tutte le censure sono inammissibili, atteso il chiaro disposto dell’art.
627 comma 4 c.p.p., per il quale “non possono rilevarsi nel giudizio di rinvio nullità,
anche assolute, o inammissibilità, verificatesi nei precedenti giudizi o nel corso delle
indagini preliminari”, disposizione che riguarda anche l’ipotesi in cui nel giudizio di
rinvio si eccepisca l’inammissibilità, per intempestiva proposizione, del ricorso in
sede di legittimità, a seguito del quale sia stato disposto l’annullamento con rinvio
La regola preclusiva è una conseguenza della inoppugnabilità delle sentenze della
Corte di cassazione, che coprono il dedotto ed il deducibile e, quindi, dell’implicita
decisione negativa sulla sussistenza della nullità o dell’inammissibilità. A dire il vero
il principio della inoppugnabilità non è stato consacrato espressamente in una
disposizione ‘ad hoc’ del tipo di quella dell’art. 552 c.p.p. abr.; ma ciò è accaduto in
quanto esso si ricava comunque dal sistema. Ha perspicuamente rilevato In
proposito il giudice delle leggi che “è connaturale al sistema delle impugnazioni
ordinarie che vi sia una pronuncia terminale – identificabile positivamente in quella
della Cassazione per il ruolo di supremo giudice di legittimità ad essa affidato dalla
stessa Costituzione (art. III, c.7) – la quale definisca, nei limiti del giudicato, ogni
questione dedotta o deducibile al fine di dare certezza alle situazioni giuridiche
controverse e che, quindi, non sia suscettibile di ulteriore sindacato ad opera di un
giudice diverso” (C. cost., ord. 17 novembre 2000, n. 501).
6. In conclusione il ricorso dell’imputato va rigettato.
6.1 AI sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte
privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del
procedimento. Al rigetto consegue la condanna alle spese sostenute dalle parti
civili, liquidate in C 1.800,00 oltre accessori di legge per Agricola Eustachio e in
complessivi C 2.500,00 per le altre parti civili, oltre accessori di legge.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali,
nonché alla rifusione delle spese liquidata per ciascuna delle parti civili, liquidate in
C1.800,00 oltre accessori di legge per Agricola Eustachio e in C 2.500,00 per le
altre parti civili, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 7 maggio 2013
Il President

(Sez. 5, n. 48265 del 21/10/2003, Vetrano, Rv. 227574).

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