Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28635 del 21/09/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 28635 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CIANCIA DINO N. IL 14/02/1977
avverso la sentenza n. 234/2014 CORTE APPELLO di MILANO, del
10/11/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/09/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 21/09/2015

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott.Enrico
Delehaye, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore dell’imputato, avv. Cerchia Angelo, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO
1.

Con sentenza emessa in data 10.11.2014 la Corte di Appello di Milano

rideterminava la pena inflitta a Ciancia Dino dal Tribunale di Lodi con sentenza in

costituita parte civile, Mangolini Claudio, da liquidarsi in separata sede, con il
riconoscimento di una provvisionale pari alla somma di euro 5000,00, per il delitto di
cui agli artt. 582 e 583 c.p., avendo colpito con un pugno il Mangolini nel corso di una
lite, verificatasi in una discoteca, procurandogli una frattura mascellare e l’avulsione
di quattro elementi dentari.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del
proprio difensore di fiducia, lamentando la ricorrenza del vizio di cui all’art. 606, primo
comma, lett. e) c.p.p., per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione, atteso che l’ipotesi accusatoria, secondo cui l’imputato colpì con un
pugno il Mangolini, trattenuto ed immobilizzato da Picchi Alessio, che lo aveva
afferrato per i polsi, non è stata considerata nella sentenza impugnata, in quanto
ritenuta implicitamente non vera, dal momento che Picchi Alessio veniva assolto con
formula piena, perché il fatto non sussiste; tale circostanza è stata, peraltro,
confutata dalla teste Branca Elisa, allora fidanzata di Mangolini Claudio, che
nell’immediato post factum, secondo quanto deposto dal teste Piu Francesco, si
scagliava contro Picchi Alessio, accusandolo di aver colpito il suo fidanzato;

in

particolare, la Corte di Appello di Milano, in contrasto con quanto dichiarato da tutti i
testi presenti in aula, ha ritenuto che Picchi Alessio fosse stato strattonato da
Mangolini Claudio, cadendo a terra, ma tale affermazione non trova alcun riscontro
negli atti processuali, con ciò la Corte territoriale travisando i fatti ed alterando alcune
deposizioni testimoniali; specificamente nella sentenza impugnata non viene
considerato che tutti i testimoni hanno visto Mangolini Claudio attraversare la pista e
dirigersi verso Picchi Alessio, fermo a bordo pista, afferrarlo per la gola ed inchiodarlo
ad una colonna, immobilizzarlo e tenerlo in uno stato di asfissia, e che tutti hanno
visto il ricorrente strappare il Picchi alla furia bestiale del

Mangolini, liberarlo e

scagliarlo sul divano; su tale circostanza il teste Bitussi Alessandro, che si trovava
vicino al Picchi, è stato molto chiaro e puntuale, benchè la Corte territoriale lo avesse
ritenuto teste poco significativo; inoltre, i giudici d’appello non hanno considerato le
deposizioni dei testi Cologni Maurizio e Scarnigella Eleonora, amica di Branca Elisa,
che hanno dichiarato di aver incontrato, nell’immediatezza dei fatti, Mangolini Claudio
che riferiva loro di essere stato colpito da Picchi Alessio; non hanno considerato,

data 2.11.2012 in mesi sei di reclusione, oltre al risarcimento dei danni subiti dalla

infine, quanto riferito da Donnini Sara, che nella sua deposizione alla Polizia
Giudiziaria, ha evidenziato lo stato di alterazione alcolica di Mangolini Claudio, durante
la serata; tali emergenze probatorie consentono di ritenere configurabile nella
fattispecie la scriminante della legittima difesa, ricorrendone tutti i presupposti (offesa
ingiusta, reazione giusta e attualità del percolo, non evitabile), sebbene la velocità del
pugno e dello slancio della testata abbiano reso l’impatto devastante.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, siccome manifestamente infondato.

valutazione ed il travisamento delle prove testimoniali, in violazione della regola
dell’autosufficienza del ricorso, a termini del quale quando si lamenti la omessa o
travisata valutazione di specifici atti del processo penale, è onere del ricorrente
suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale
contenuto degli atti medesimi (ovviamente nei limiti di quanto era già stato dedotto in
precedenza), o la loro allegazione dovendosi ritenere precluso al giudice di legittimità il
loro esame diretto, (Cass., Sez. 1^, 18/03/2008, n. 16706; Cass., Sez. 1^,
22/01/2009, n. 6112; Cass., Sez. 1^, 29/11/2007, n. 47499; Cass., Sez. feriale, Sent.
13/09/2007, n. 37368; Cass., Sez. 1^ (Ord.), 18/05/2006, n. 20344; Se z. I
19/05/2010 n. 24163 ).
2. Tanto premesso, va, comunque, rilevato che l’imputato propone censure di
merito, che si traducono in una alternativa ricostruzione della vicenda implicante una
diversa valutazione (in fatto) delle risultanze processuali e non già in doglianze
riconducibili ad un vizio di motivazione, desumibile dalla lettura del provvedimento
impugnato.
3.In ogni caso, dalla sia pure inammissibile articolazione del ricorso, non emergono
argomentazioni idonee ad inficiare l’iter logico della sentenza impugnata. Ed invero, la
Corte territoriale dopo aver ricostruito i fatti- nel senso che l’imputato è stato
pacificamente l’autore dell’aggressione ai danni di Mangolini Claudio, dopo che questi,
per dissapori legati alla relazione sentimentale con la sua ex fidanzata, Branca Elisa,
reagiva nei confronti di Picchi Alessio, che a sua volta provocatoriamente lo aveva
spintonato sulla pista da ballo, provocando l’intervento appunto del Ciancia (amico del
Picchi), che veniva in contatto fisico diretto con il Mangolini- ha ritenuto senza vizi
motivazionali, non ascrivibile a legittima difesa il contatto fisico tra l’imputato e la p.o..
4.11 Ciancia ha invocato anche in questa sede la scriminante di cui all’art. 52 c.p.
asserendo che il contatto con il Mangolini sarebbe derivato da una obiettiva necessità
di autotutela, poiché a sua volta fatto oggetto del tentativo di essere colpito da una
testata da parte del Mangolini ed al fine di sottrarsi al colpo, avrebbe sollevato il
braccio, e chiuso la mano a pugno, sì da provocare l’impatto con il volto di quest’ultimo,
involontariamente, e, comunque, per difesa personale, cagionare le lesioni subite dalla

1. Va preliminarmente rilevato che il ricorrente adduce in più punti l’omessa

p.o.. Sul punto, la Corte territoriale ha rilevato senza illogicità come tale versione
dell’accaduto non risulti compatibile con l’ubicazione, la natura ed il tipo di lesioni
subite, inconciliabili con un precedente attacco da parte dell’avversario- nella specie una
testata- pe rfettamente compatibili, invece, con l’impatto di un pugno inferto con
particolare violenza, indirizzato non alla testa – come sarebbe dovuto succedere se si
fosse trattato di difesa personale – ma al volto. Anche se il Mangolini avesse cercato di
colpire il rivale con una testata, il pugno sollevato asseritamente per parare il colpo

pacificamente affermarsi in base alle risultanze della documentazione medica, dalla
quale risulta, altresì, la “perdita di quattro elementi dentali”.
5. Sulla base degli elementi indicati non appare, invero, configurabile l’invocata
esimente, atteso che i presupposti essenziali della legittima difesa sono costituiti da
un’aggressione ingiusta e da una reazione legittima; mentre la prima deve concretarsi
nel pericolo attuale di un’offesa che, se non neutralizzata tempestivamente, sfocia nella
lesione di un diritto proprio o altrui (personale o patrimoniale) tutelato dalla legge, la
seconda deve inerire alla necessità di difendersi, alla inevitabilità del pericolo e alla
proporzione tra difesa e offesa. (Cass. n. 3148 del 19/02/2013).
6. Nel caso di specie, non è dato rinvenire l’elemento costitutivo dell’offesa ingiusta
per due ragioni: in primo luogo, i testi presenti alla vicenda, nel ricostruire il dinamismo
dei fatti, non hanno evidenziato un primo attacco deliberato del Mangolini ai danni del
Ciancia, tale da far ritenere sussistente un pericolo attuale di un’offesa ingiustificata
all’incolumità fisica dell’imputato; in secondo luogo, rileva il dato fenomenico indicato,
secondo cui, se anche il Mangolini avesse cercato di colpire il rivale con una testata, il
pugno sollevato per parare il colpo avrebbe dovuto colpire la testa, e non il viso del
primo, come, invece, può pacificamente affermarsi in base alle risultanze della
documentazione medica.
7. Esclusa l’ipotesi della difesa personale, come correttamente rilevato dalla Corte
territoriale, la condotta del Ciancia non può ascriversi neanche ad altra fattispecie,
parimenti scriminante, come la necessità di intervenire per salvaguardare non la propria
incolumità fisica, ma quella dell’amico Picchi. Inv ero, ai fini della legittima difesa,
l’oggetto dell’aggressione può anche essere un diritto personale altrui, ritenendosi,
tuttavia, anche qui imprescindibile la realizzazione dell’evento lesivo, o quanto meno il
pericolo attuale ed imminente della lesione al diritto del terzo. Nel caso in esame, se è
vero che il Picchi veniva strattonato e perdeva l’equilibrio a causa dello spintonamento
del Mangolini, così come rilevato dalla Corte territoriale, non risulta che in conseguenza
di ciò il Picchi abbia corso alcun reale pericolo, essendosi, comunque, l’azione in quel
momento arrestata. Peraltro, anche a voler ritenere sussistente un’offesa ingiustificata,
che avrebbe legittimato l’imputato ad intervenire in difesa dell’amico Picchi, la condotta

avrebbe dovuto colpire la testa, e non il viso del primo, come, invece, deve

del Ciancia si pone alla stregua di una reazione sproporzionata ed esorbitante rispetto
quella che dovrebbe essere l’offesa ingiusta – uno spintonamento – ai danni dell’amico.
8. Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali, nonché, trattandosi di causa di inammissibilità
riconducibile a colpa del ricorrente (Corte Costituzionale n. 186 del 7-13 giugno 2000),
al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e
congruo determinare in Euro 1000,00, ai sensi dell’art. 616 c.p.p..

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso il 21.9.2015

p.q.m.

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