Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28634 del 21/09/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 28634 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CHIARAMONTE ALBERTO N. IL 13/08/1985
avverso la sentenza n. 2306/2014 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 08/10/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/09/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 21/09/2015

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott.Enrico
Delehaye, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore dell’imputato avv. Fabrizio Cipollaro in sostituzione dell’avv. Giuseppe
Botta che ha concluso riportandosi ai motivi;

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 8.10.2014 la Corte di Appello di Palermo, in parziale
riforma della sentenza resa in data 30.01.2014 dal G.U.P. presso il Tribunale di Palermo,
qualificato il reato di cui al capo A) ai sensi dell’art. 73 comma V, D.P.R. 309/90,

ed euro 5.000,00 di multa, confermando nel resto la sentenza impugnata.
1.1 II Chiaramonte era stato ritenuto responsabile dei reati di cui agli artt. 73 D.P.R. n.
309/1990, 624 , 625 nn. 2 e 7 c.p. a lui ascritti ai capi’ A) e B) della rubrica, per avere
coltivato, all’interno dell’abitazione, n. 15 piante di marijuana e per essersi impossessato
della corrente elettrica funzionale all’irrigazione della suddetta coltivazione tramite
allacciamento abusivo di cavi elettrici alla rete ENEL; nonché dei reati di cui agli artt. 2 e
7 L. 895/67, in relazione all’art. 2 legge 110 /1975 (ulteriore capo A) per la detenzione
illegale di più armi comuni da sparo (due fucili a canne mozze, una pistola a tamburo di
colore argento, una pistola a tamburo con scritta Smith e Wesson, nonché di cartucce e
bossoli vari e del reato di cui all’art. 23, comma 3, L. n. 110/75, per avere detenuto armi
clandestine poiché aventi matricola abrasa, presso l’immobile sito alla via Zuppetta in
Palermo, consistenti in un fucile a canne mozze con scritta Choke e B. Bougnet, una
pistola a tamburo Smith e Wesson (ulteriore capo B).
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo del suo difensore,
lamentando:
-con il primo motivo, la ricorrenza dei vizi di cui all’art. 606, primo comma lett. b), c) ed
e) c.p.p., in relazione all’art. 73 D.P.R. 309/90, atteso che la Corte territoriale ha ritenuto
provata la responsabilità penale del ricorrente, per il solo fatto di aver coltivato sostanza
stupefacente, prescindendo dal tipo di coltivazione – tecnico-agraria o ad uso domestico rilevando che ognuna di queste attività è da ritenersi potenzialmente “diffusiva della
droga”; al riguardo, la Corte territoriale non ha considerato che sono intervenute varie
recenti sentenze, sia di merito, che di legittimità, che hanno ribadito il noto principio,
secondo cui costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di
coltivazione di piante, ad esclusione dell’ipotesi di reato impossibile per inidoneità della
condotta ex art. 49 c.p., ravvisabile nel caso, come quello in esame, in cui, anche per
l’esiguo numero delle piante coltivate, non è consentito ricavare sostanza stupefacente
in grado di produrre alcun effetto drogante; dunque, non sono sanzionabili penalmente i
casi di “coltivazione domestica” tutte le volte in cui le poche piante coltivate non
costituiscano pericolo per la sicurezza e la salute; nel caso di specie, il Giudice era tenuto
a valutare l’offensività in concreto della sostanza stupefacente rinvenuta, e soprattutto a
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rideterminava la pena inflitta a Chiaramonte Alberto in anni tre e mesi otto di reclusione

verificare se sussistente l’elemento costitutivo del reato rappresentato dalla destinazione
non esclusivamente personale della sostanza;
-con il secondo motivo, la ricorrenza dei vizi di cui all’art. 606 lett. b), c), ed e) c.p.p. in
relazione all’art. 69 comma 4 c.p., avendo la Corte d’Appello con motivazione meramente
apparente, tramite l’ausilio di mere formule di stile, ritenuto la sussistenza della recidiva
reiterata senza concretamente argomentare in base a quali principi ha ritenuto appunto
di applicarla, limitandosi, invece, ad affermare che la stessa “connota negativamente la
personalità criminale”.

1.11 ricorso è infondato.
Con riferimento al primo motivo, va preliminarmente richiamato il principio più volte
affermato da questa Corte, secondo cui la coltivazione di piante, da cui sono estraibili
sostanze stupefacenti è penalmente rilevante ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 26
e 28, a prescindere dalla distinzione tra coltivazione tecnico-agraria e coltivazione
domestica, anche quando la coltivazione sia realizzata per la destinazione del prodotto ad
uso personale, posto che l’attività in sé, in difetto delle prescritte autorizzazioni, è da
ritenere potenzialmente diffusiva della droga; (Sez. 6 n. 51497 del 4/12/2013; Cfr. Sez.
Un. 24.04.2008, n. 28605); spetta in tal caso al giudice verificare in concreto l’offensività
della condotta ovvero l’idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante
rileva bile.
Tanto precisato, il ricorrente deduce l’inoffensività della condotta da lui stesso posta in
essere (coltivazione di quindici piante di marijuana custodite all’interno della propria
abitazione), richiamando l’indirizzo di questa Corte secondo cui la coltivazione domestica
di piante da cui estrarre sostanza stupefacente costituisce condotta inoffensiva ex art. 49
c.p., che non integra il reato di cui all’art. 73 D.P.R. 309/90, quando il Giudice accerti la
“modestia” dell’attività posta in essere, ossia una condotta del tutto inoffensiva dei beni
giuridici tutelati dalla norma incriminatrice.
Tale richiamo non è confacente al caso di specie, avendo questa Corte precisato che per
attività modesta e, quindi, inoffensiva deve intendersi quell’attività così trascurabile da
rendere sostanzialmente irrilevante l’aumento di disponibilità della droga e non
prospettabile alcun pericolo di ulteriore diffusione di essa come potrebbe essere nel caso
di coltivazione di una piantina di cannabis. In definitiva, la condotta può ritenersi
inoffensiva soltanto se gli interessi tutelati dall’incriminazione penale (la salute, la
sicurezza e l’ordine pubblico, secondo l’insegnamento delle S.U. del 24/06/1998, Kremi)
non sono stati lesi o messi in pericolo, anche in grado minimo.
Nel caso di specie all’imputato è stata ascritta la coltivazione di quindici piantine di
marijuana, dalle quali – secondo gli accertamenti tecnici effettuati sullo stupefacente potevano ricavarsi circa 102,50 grammi di sostanza stupefacente e mediamente 0,810
grammi di THC puro, pari a 32,40 dosi medie singole, sicchè correttamente i giudici di

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CONSIDERATO IN DIRITTO

merito senza incorrere in vizi hanno ritenuto che fosse evidente come la condotta in
esame non si presentasse inoffensiva.
2. Parimenti infondati risultano i rilievi in tema di recidiva che, secondo il ricorrente, la
Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto senza concretamente argomentare in
base a quali principi abbia reputato di applicarla. Ed invero, nella sentenza di primo
grado, condivisa dalla Corte di Appello, il Tribunale ha riconosciuto al Chiaramonte le
circostanze attenuanti generiche in misura equivalente alla contestata recidiva, avuto
riguardo al precedente di concorso in rapina aggravata. Va, in proposito, osservato che in

concreto se la reiterazione dell’illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza della
condotta e di pericolosità del suo autore, escludendo l’aumento di pena, con adeguata
motivazione sul punto, ove non ritenga che dal nuovo delitto possa desumersi una
maggiore capacità delinquenziale (Cass. n. 35526 del 19/08/2013).
Nel caso in esame il Collegio ritiene che la Corte territoriale abbia fornito
adeguata motivazione in merito all’applicazione della recidiva, alla luce del predetto
precedente penale a carico del ricorrente, ritenuto come connotante negativamente la
sua personalità criminale, incidendo sul giudizio della sua maggiore capacità a
delinquere.
3. Il ricorso va, dunque, respinto ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese
processuali.

p.q.m.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 21.9.2015

tema di recidiva facoltativa ritualmente contestata, il giudice è tenuto a verificare in

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