Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28633 del 21/09/2015


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 5 Num. 28633 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VARONE ROBERTO N. IL 27/09/1969
avverso la sentenza n. 710/2012 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
SASSARI, del 03/07/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/09/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile,
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 21/09/2015

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott.
Enrico Delehaye, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 3.7.2014 la Corte di Appello di Cagliari, Sezione
distaccata di Sassari, ha confermato la sentenza del locale Tribunale con la quale
Varone Roberto era stato condannato alla pena di anni due e mesi tre di
reclusione ed euro 600,00 di multa, con le circostanze attenuanti generiche,
stimate equivalenti alla recidiva ed alla aggravante contestata, in relazione ai

all’interno dei box di Riccioni Mario e Carboni Gianfranco attrezzi ed oggetti vari
(capo a); di cui agli artt. 56, 624 bis, 625 n.2 c.p. per aver compiuto atti idonei
diretti in modo non equivoco a sottrarre beni dall’interno del garage di Manca
Natascia, mediante l’utilizzo del mezzo fraudolento costituito dall’uso di una
chiave falsa, non riuscendo nell’intento per cause indipendenti dalla sua volontà
(capo b); di cui all’art. 648 c.p. per avere, al fine di procurarsi un ingiusto
profitto, acquistato, o comunque ricevuto, l’autovettura Opel Corsa tg. AH 216
NF, sottratta a Murru Maurilio il 23.2.2008 (capo c).
1.1.Gli elementi di responsabilità a carico dell’imputato emergevano dal fatto che
nell’autovettura restituita al Murru erano stati rinvenuti oggetti, tra cui un paio
di occhiali da sole, il telecomando di un cancello elettrico e un tubo di
aspirapolvere, e sia gli occhiali da sole che il telecomando erano risultati di
proprietà del Carboni, mentre il tubo di plastica dell’aspirapolvere era di
proprietà di Riccioni Mario; i rilievi dattiloscopici operati sul tubo
dell’aspirapolvere evidenziavano la presenza di impronte papillari che,
sottoposte a comparazione dal tecnico dattiloscopista, permettevano di rinvenire
diciassette punti di corrispondenza con il dito anulare ed il mignolo della mano
destra dell’imputato.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’imputato, lamentando:
-con il primo motivo, la ricorrenza dei vizi di cui all’art. 606, primo comma, lett.
b) ed e) c.p.p., atteso che la Corte territoriale, pur di non dar credito alla
versione dell’imputato (suffragata, peraltro dalla documentazione medica agli
atti), sostenente l’impossibilità, per le precarie condizioni fisiche ed il
quantitativo di refurtiva, di compiere i reati ascrittigli, ha affermato ciò che, poi,
contraddittoriamente nega, talora escludendo categoricamente il concorso di altri
nel reato e talaltra, affermando che egli ha agito “con l’ausilio di un complice”,
mentre, ove un concorso di persone si sostenesse, questo doveva essere
contestato (in imputazione) e anche delineato, descritto e provato;
– con il secondo motivo, la ricorrenza del vizio di cui all’art. 606, primo comma,
lett. e) c.p.p., posto che le testimonianze nulla provano circa l’attribuibilità dei
1

reati: di cui agli artt. 81 cpv., 624 bis, 625 n. 2 c.p., per aver sottratto

fatti all’imputato, giacché limitate a circostanze successive ai furti, consumati e
tentati; talvolta, le stesse dichiarazioni testimoniali collidono con altri riscontri
probatori: ad esempio il teste Riccioni, in denuncia lamenta la sottrazione di “un
aspirapolvere da banco” privo di prolunghe e tubo, mentre successivamente
dichiara in udienza contraddittoriamente che dell’aspirapolvere veniva sottratto
solo il tubo e la spazzola; le relazioni di P.G. non fanno alcun cenno al
rinvenimento di un “tubo di plastica”, parte di un aspirapolvere, ma tale tubo di
plastica, compare solo dopo la restituzione dell’autovettura al Murru, senza,

sollevare quanto meno qualche perplessità;
-con il terzo motivo, la ricorrenza dei vizi di cui all’art. 606, primo comma, lett.
d), e) e c) c.p.p., atteso che, in merito all’ impronta sul “tubo di plastica”, unico
fragile indizio che lega l’imputato ai furti e alla ricettazione – considerato che né
nel veicolo oggetto di ricettazione, né nella refurtiva, né nei box sono state
rinvenute impronte- la Corte territoriale si è accontentata della deposizione
dell’ass.te Spiga; quest’ultimo, tuttavia, non ha documentato l’attività compiuta
ed anche ammesso che i rilievi di P.G. fossero atti urgenti ex art. 354 c.p.p. e
che lo fosse il confronto tra l’impronta sul tubo di aspirapolvere e quelle di
Varone, in ogni caso, l’accertamento, comunque, eseguito, avrebbe dovuto
essere documentato ex art. 357 c.p.p. e manca, agli atti, un documento che
riporti le varie fasi, il percorso tecnico-scientifico seguito dagli agenti, così come
manca qualsiasi elemento di confronto o rappresentativo (fotografie delle
impronte analizzate, di quelle nel data base dell’A.F.I.S.), che possa consentire,
almeno a posteriori, di aiutare l’operato della Scientifica di Cagliari

pena

l’inutilizzabilità del risultato, a nulla valendo che lo Spiga in udienza ne abbia
confermato l’attribuibilità al Varone;
– con il quarto motivo, la ricorrenza dei vizi di cui all’art. 606, primo comma,
lett. b) ed e) c.p.p., atteso che, in tema di mancato rinvenimento di altre
impronte, illogica e contraddittoria appare la relativa motivazione, anche in
relazione all’art. 192/2 c.p.p.; invero, alla valutazione secondo cui
dei luoghi teatro dei fatti e negli oggetti

in nessuno

sono state repertate impronte

dell’imputato, la sentenza di appello ha risposto formulando l’ipotesi secondo cui
l’autore del furto è stato attento a non toccare oggetti diversi da quelli
costituenti la refurtiva, ma illogico è anche l’asserito uso di guanti poi dismessi
in seguito all’impossessamento definiti della refurtiva, in quanto alcuna impronta
è stata rinvenuta sugli occhiali da sole e sul telecomando;
– con il quinto motivo, la ricorrenza dei vizi di cui all’art. 606, primo comma,
lett. b) c.p.p., atteso che, in tema di tentato furto ai danni di Manca Natascia,
illogica si presenta la valutazione, secondo cui si deve presumere che l’autore
2

peraltro, che il Riccioni ne avesse denunciato la sottrazione e ciò avrebbe dovuto

>
non abbia portato a compimento il furto perché interrotto nella sua azione
criminosa da un fattore esterno, atteso che ciò non risulta dal dibattimento e
dunque non può che essere ipotizzata la desistenza volontaria; il tentato furto
sarebbe provato dal ritrovamento, da parte di Manca, del proprio box aperto
circostanza non integrante un tentativo, non palesando gli elementi costitutivi di
esso (univocità e idoneità degli atti);
-con il sesto motivo la ricorrenza del vizio di cui all’art. 606, primo comma,
lett. e) c.p.p., atteso che in tema di ricettazione della Opel Corsa che sarebbe

comprende da dove la Corte d’appello abbia tratto tale circostanza, posto che il
Varone non è stato trovato a bordo di tale veicolo, non sono state trovate le sue
impronte, non è stata trovata la chiave di tale veicolo e non c’è nulla che lega il
Varone al veicolo ricettato;
-con il settimo motivo, la ricorrenza dei vizi di cui all’art. 606, primo comma,
lett. c) ed e) c.p.p., atteso che, in relazione alla ritenuta aggravante di cui
all’art. 625 n. 2 c.p., appare illogica la ricostruzione, secondo cui chi si è
illecitamente introdotto nei box si sarebbe preso la briga di aprire gli stessi con
un mezzo fraudolento e poi richiuderli, mentre la logica porta a ritenere che i
box dei singoli condomini, collocati all’interno di un garage condominiale, siano
stati lasciati aperti, per abitudine o per dimenticanza;
-con l’ottavo motivo, la ricorrenza del vizio di cui all’art. 606, primo comma,
lett. e) c.p.p., atteso che la documentazione medica prodotta attesta l’estrema
difficoltà dell’imputato a deambulare per la frattura del ginocchio e la rottura dei
legamenti a cui va aggiunta la frattura di tre dita della mano destra, sicchè si
presenta illogica la valutazione, secondo cui, all’atto della perpetrazione dei furti,
la patologia fosse del tutto venuta meno o attenuata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato ed in più punti manifestamente infondato, oltre che
generico.
1.Vanno analizzate preliminarmente le doglianze di natura processuale e
segnatamente va respinto il terzo motivo di ricorso, con il quale l’imputato si
duole del fatto che in merito all’attività di individuazione dell’impronta sul tubo
di plastica dell’aspirapolvere costituente parte della refurtiva, come appartenente
all’imputato, la Corte territoriale si sarebbe “accontentata” della deposizione
dell’ass.te Spiga e, comunque, il confronto tra l’impronta sul tubo di
aspirapolvere e quelle del Varone, avrebbero dovuto essere documentate ex art.

357 c.p.p., laddove agli atti manca, un documento che riporti le varie fasi, così
come manca qualsiasi elemento di confronto, con la conseguente inutilizzabilità
del risultato.

integrata dalla “semplice illecita detenzione” da parte dell’imputato, non si

-,

L’infondatezza di tali censure emerge dai principi più volte affermati da questa
Corte che è sufficiente richiamare in questa sede, secondo cui l’obbligo di
redazione degli atti indicati dall’art. 357/2, comma secondo, c.p.p., non è
previsto a pena di nullità od inutilizzabilità (Sez. 1 n. 34022 del 06/10/2006,
rv. 234884), poiché l’inosservanza dell’obbligo di verbalizzazione degli atti di
indagine compiuti dalla polizia giudiziaria non è sanzionata dalla legge. Da ciò si
ricava, pertanto, che non è inammissibile la richiesta di prova testimoniale in
merito a quanto caduto nella diretta percezione della P.G. operante, fatta salva,
ovviamente la verifica dell’attendibilità delle dichiarazioni, non verbalizzate, rese
dagli operanti medesimi (Sez. 1, n. 33821 del 20/06/2014).
2. Nel caso di specie, i giudici di merito hanno dato conto, senza illogicità, degli
elementi che individuano l’imputato come autore dell’impossessamento e
segnatamente

la presenza di impronte papillari sul tubo di aspirapolvere

rinvenuto all’interno dell’auto asportata al Murru insieme ad altra refurtiva – che,
sottoposte a comparazione dal tecnico dattiloscopista permettevano di rinvenire
17 punti di corrispondenza con il dito anulare ed il mignolo della mano destra
dell’odierno imputato- in uno al fatto che la presenza di tali impronte fosse
proprio su un bene oggetto di furto, non ravvisandosi ipotesi alternative
logicamente plausibili, neppure indicate dall’imputato.
3. Con i restanti motivi di ricorso l’imputato si limita a contestare la propria
responsabilità, con argomentazioni del tutto generiche, senza confrontarsi con le
valutazioni operate dalla Corte territoriale,

limitandosi a riproporre temi e

questioni compiutamente e correttamente analizzate nella sentenza impugnata.
4. Ed invero, con il secondo motivo di ricorso l’imputato in sostanza deduce
l’inattendibilità del teste Riccioni, che non avrebbe specificamente riferito in
denuncia di aver subito il furto anche del tubo dell’aspirapolvere sul quale sono
state rinvenute le sue impronte, laddove la Corte territoriale ha dato conto
dell’infondatezza di tale doglianza, laddove ha senza illogicità evidenziato che il
Riccioni ha riferito di aver subito il furto di un’aspirapolvere, sicchè è irrilevante
che non abbia specificamente menzionato il predetto accessorio.
Peraltro, costituisce principio incontroverso nella giurisprudenza di legittimità
l’affermazione che la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato
rappresenta una questione di fatto, che ha una propria chiave di lettura nel
compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede
di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni (cfr.
ex plurimis Sez. 6, n. 27322 del 2008, De Ritis, cit.; Sez. 3, n. 8382 del

22/01/2008, Finazzo, Rv. 239342; Sez. 6, n. 443 del 04/11/2004, dep. 2005,
Zamberlan, Rv. 230899; Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, dep. 2004, Pacca, Rv.

4

A

-›

227493; Sez. 3, n. 22848 del 27/03/2003, Assenza, Rv. 225232), che nella
fattispecie non si ravvisano.
5. Le doglianze di cui al quarto motivo di ricorso, circa il mancato rinvenimento
di ulteriori impronte digitali dell’imputato, si traducono in censure in fatto,
inammissibili in sede di legittimità a fronte di una motivazione non illogica offerta
in proposito dalla Corte territoriale.
6. Con il primo e sesto motivo di ricorso, l’imputato si duole in sostanza della
sua incapacità all’epoca dei fatti a porre in essere i fatti addebitatigli, atteso che
la documentazione medica prodotta, attesta

la sua estrema difficoltà a

deambulare per la frattura del ginocchio, la rottura dei legamenti, nonché la
frattura di tre dita della mano destra. Anche tali censure si traducono in
doglianze in fatto inammissibili in questa sede, posto che la Corte territoriale ha
senza illogicità evidenziato che l’infortunio di cui il prevenuto ha sofferto ha
riguardato un periodo di tempo antecedente di quasi due mesi rispetto ai fatti in
questione, ciò potendosi evincere anche dalla certificazione prodotta (l’incidente
del 19 gennaio ed i furti sono del 2 marzo), sicchè è ragionevole ritenere che
all’atto della perpetrazione dei furti la patologia fosse del tutto venuta meno o
comunque si fosse attenuata al punto tale da consentire l’attività criminosa di cui
si tratta.

La circostanza, poi, che la Corte territoriale non abbia escluso la

presenza di un complice non inficia il dato relativo alla compatibilità delle lesioni
riportate con l’epoca ampiamente antecedente di esse, rispetto ai fatti che
appare assorbente.
7. Infondato si presenta il quinto motivo di ricorso, in merito alla ritenuta
sussistenza della fattispecie di tentato furto ai danni di Manca Natascia, in luogo
dell’ipotesi di desistenza volontaria, non punibile ex art. 56 comma 3 c.p. Ed
invero, come si evince dalla sentenza di primo grado, sia il Riccioni che il Carboni
– proprietari di due box contigui – precisavano che nonostante l’introduzione di
qualcuno all’interno dei propri garage, la mattina successiva al furto le serrande
risultavano chiuse a chiave; la teste Manca Natascia, invece, asseriva di aver
trovato la stessa mattina la serranda del proprio garage sollevata e che,
nonostante le valigie ivi presenti fossero state aperte, non le era stato sottratto
alcunché. Sul punto, il Giudice di secondo grado – previa esclusione dell’ipotesi
in cui la sig.ra Manca abbia inavvertitamente lasciato la serranda del proprio box
sollevata – ha correttamente ritenuto che l’apertura del box e la circostanza per
cui anche le valigie fossero aperte rappresentino elementi idonei e diretti in
modo non equivoco a commettere il reato di furto. Va, in proposito, osservato
che per la configurabilità del tentativo rilevano non solo gli atti esecutivi veri e
propri, ma anche quegli atti che, pur classificabili come preparatori, facciano
fondatamente ritenere che l’agente, avendo definitivamente approntato il piano
5

th,

»
criminoso in ogni dettaglio, abbia iniziato ad attuarlo, che l’azione abbia la
significativa probabilità di conseguire l’obiettivo programmato e che il delitto sarà
commesso, salvo il verificarsi di eventi non prevedibili indipendenti dalla volontà
del reo (Sez. 2 n. 40912 del 24/09/2015). All’uopo, l’idoneità causale degli atti
compiuti per il conseguimento dell’obiettivo delittuoso e la univocità della loro
destinazione devono apprezzarsi con valutazione “ex ante” in rapporto alle
circostanze di fatto ed alle modalità della condotta, al di là del tradizionale e
generico “discrimen” tra atti preparatori e atti esecutivi. Nel caso di specie,
l’apertura del box – peraltro con identica modalità esecutiva del furto già
commesso ai danni di Riccioni e Carboni, ossia mediante l’utilizzo di una chiave
falsa – ed il ritrovamento delle valigie di Manca Natasha aperte, hanno indotto
correttamente i giudici di merito a concludere per la punibilità di un tentativo di
furto, non rinvenendosi, invece, gli estremi della desistenza volontaria. Invero, ai
fini della desistenza volontaria, quel comportamento positivo e virtuoso che è
disciplinato dall’art. 56 c.p., comma 3, in ragione della ridotta capacità criminale
dell’agente, tale da evitare che il tentativo posto in essere determini il risultato
prima voluto. Va, inoltre, evidenziato che il furto rientra nella categoria dei reati
a forma libera, per i quali la desistenza volontaria non è configurabile, allorché il
soggetto attivo abbia comunque compiuto atti che si inseriscano nel
determinismo causale produttivo dell’evento del reato. Sicché nei reati di danno
a forma libera, la desistenza può aver luogo solo nella fase del tentativo
incompiuto e non è configurabile una volta che siano posti in essere gli atti da
cui origina il meccanismo causale capace di produrre l’evento, rispetto ai quali
può al più operare la diminuente per il cd. recesso attivo, qualora il soggetto
tenga una condotta attiva che valga a scongiurare l’evento (Sez. 2, Sentenza n.
24551 del 08/05/2015).
8. Manifestamente infondato è altresì il settimo motivo di ricorso riguardante
l’aggravante di cui all’art. 625 n. 2 c.p., non confrontandosi l’imputato con
quanto non illogicamente rilevato dalla Corte territoriale, secondo cui tutte le
p.o. hanno riferito che i box auto erano chiusi a chiave prima dei furti e sono
stati rinvenuti del pari chiusi dopo i fatti, sicchè l’agente

deve aver

necessariamente utilizzato una chiave falsa.
9. Risulta inammissibile, infine, il settimo motivo di ricorso con il quale
l’imputato si duole della ritenuta sussistenza del delitto di ricettazione dell’Opel
Corsa, pur non essendo stati trovati elementi che lo leghino appunto al veicolo
ricettato. Anche qui, invero, l’imputato non si confronta con quanto evidenziato
dai giudici di merito, secondo cui il rinvenimento all’interno dell’Opel Corsa dei
beni appartenenti al Carboni ed al Riccioni inducono a ritenere senza illogicità
che l’imputato abbia utilizzato la vettura in questione illecitamente, non avendo
6

o,

titolo per utilizzare e disporre di tale veicolo asportata al Murru diversi giorni
prima dei furti nelle autorimesse. Sul punto è sufficiente richiamare i principi
espressi da questa Corte secondo cui ai fini del reato di ricettazione, la mancata
giustificazione del possesso di una cosa proveniente da delitto costituisce prova
della conoscenza della sua illecita provenienza (Sez. 2, n. 2804 del 05/07/1991,
Rv. 189396).
10. Il ricorso va, dunque, respinto e l’imputato va condannato al pagamento
delle spese processuali.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 21.9.2015

p.q.m.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA