Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28631 del 21/09/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 28631 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CAO MARCELLO N. IL 11/05/1973
avverso la sentenza n. 322/2012 CORTE APPELLO di CAGLIARI, del
12/11/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/09/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 21/09/2015

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale,
Dott.Enrico Delehaye, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente, l’avvocato Fabrizio Cipollaro, in sostituzione
dell’avv. Giuseppe Botta, che ha concluso riportandosi ai motivi;
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 12.11.2014 la Corte di Appello di Cagliari
confermava la sentenza del locale Tribunale del 28.6.2011 con la quale Cao
Marcello era stato ritenuto responsabile del reato di furto in abitazione,

attenuanti generiche, equivalenti all’aggravante e alla recidiva, lo
condannava alla pena di un anno di reclusione ed euro 350 euro di multa.
1.1. L’imputato era stato individuato come l’autore del furto di materiale
informatico ed elettronico, di denaro, di una cassetta di sicurezza, di un
cofanetto porta gioie, di numerosi gioielli d’oro, orologi e di ulteriori oggetti
nell’abitazione di Giovanni Serri, in base al frammento di un’impronta
digitale, rilevato dalla Polizia Scientifica sulla superficie interna dell’anta
destra del mobile del soggiorno, corrispondente alla sua in 17 punti, per
forma e posizione, come dichiarato da Ignazio Serra, operatore
dattiloscopista, il quale riferiva nel corso del suo esame che l’impronta era
stata comparata con quelle dell’imputato, già in possesso della polizia
perché fotosegnalato il 17.6.2008; l’impronta, in particolare era quella
riportata nella fotografia n. 11 dei rilievi tecnici, inserita nel fascicolo del
dibattimento.
2.Avverso tale sentenza l’imputato, a mezzo del suo difensore, ha
proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, con i quali lamenta:
-con il primo motivo, l’inosservanza delle norme processuali stabilite a
pena di nullità, di inutilizzabilità, inammissibilità o di decadenza; violazione
della disposizione di cui all’art. 526 c.p.p. e violazione del diritto di difesa,
non avendo la corte territoriale concesso il richiesto termine; in particolare,
all’udienza del 12.11.2014, la Corte distrettuale ha informato le parti di
avere richiesto copia del cartellino fotosegnaletico relativo al prevenuto e
nel corso della stessa udienza il Procuratore Generale ne chiedeva ex art.
603 c.p.p. l’acquisizione, trattandosi di un documento indispensabile e non
esistente agli atti; la corte d’appello, nonostante l’opposizione della difesa,
non ha formalmente disposto l’acquisizione del citato cartellino, bensì il suo
mero inserimento nel fascicolo del dibattimento, limitandosi ad allegare il
documento senza acquisirlo, né dichiarandolo utilizzabile ai fini del giudizio;
stante la nuova allegazione disposta dalla Corte territoriale, è stata
formulata richiesta di un termine a difesa sia per esaminare il documento,

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aggravato dall’uso della violenza sulle cose e riconosciute in suo favore le

sia per conferire con l’imputato, sia per valutare l’opportunità di nominare
un consulente tecnico, allo scopo di verificare, sulla base della scheda
decadattiloscopica, la riconducibilità o meno al ricorrente dell’impronta
rinvenuta sul luogo del furto, non essendo revocabile in dubbio la natura
tecnica dell’accertamento volto a verificare la corrispondenza tra l’impronta
di cui al cartellino fotosegnaletico e quella rinvenuta sul luogo dei fatti; i
giudici d’appello, non accogliendo la tempestiva e rituale richiesta avanzata
dal difensore, hanno concesso esclusivamente la possibilità di esaminare il

valutare con piena cognizione di causa il contenuto del nuovo documento,
ovvero l’asserita corrispondenza tra le impronte, ovvero ancora la
correttezza degli esiti della comparazione dattiloscopica posti a fondamento
della pronuncia di condanna, non evincendosi dagli atti neppure a quale
delle dieci dita corrispondesse l’impronta digitale rinvenuta sul luogo dei
fatti;
-con il secondo motivo, la mancanza, contraddittorietà, o manifesta
illogicità della motivazione e la violazione del principio dei contraddittorio
nella formazione della prova; in particolare, con l’atto d’appello era stata
dedotta la violazione del principio dell’effettivo contraddittorio e
l’incompletezza degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero e del
dibattimento per non esservi stata inserita la scheda decadattiloscopica,
atteso che l’assenza del cartellino aveva impedito alla difesa di esercitare il
diritto al contraddittorio nella fase della formazione della prova a carico,
all’atto del controesame del testimone Serra Ignazio, che aveva effettuato
le operazioni di comparazione delle impronte, senza peraltro redigere
idoneo verbale; la corte territoriale, nel disporre d’ufficio l’inserimento del
cartellino dattiloscopico nel fascicolo del dibattimento ha ritenuto di poter
sanare il vizio, mettendo a disposizione del difensore il cartellino de quo
“per consentirgli di verificare direttamente che la Polizia disponesse
davvero delle impronte di Marcello Cao all’epoca delle operazioni di
comparazione”; tuttavia, trattandosi di un “inserimento” a posteriori,
evidentemente tardivo, rispetto alla formazione della prova posta a
fondamento della pronuncia di condanna, non è in grado di sanare il vizio
inerente alla violazione del diritto al contraddittorio, tempestivamente
dedotto con l’atto di appello, laddove non può revocarsi in dubbio che, ove
la scheda decadattiloscopica fosse stata inserita nel fascicolo del pubblico
ministero, il difensore avrebbe potuto esercitare tutte le sue facoltà
difensive, quali la nomina di un consulente tecnico, la scelta di un rito
speciale prima dell’apertura del dibattimento e soprattutto, in sede di

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documento nel corso dell’udienza con ciò impedendo di esaminare e

controesame, avrebbe potuto formulare specifiche e pertinenti domande al
testimone in ordine alle modalità degli accertamenti dattiloscopici, circa la
forma, la dimensione e la posizione dei diciassette elementi di identità
(richiamati nella sentenza della corte territoriale) tra l’impronta repertata
sul luogo del fatto e quelle di cui al cartellino dattiloscopico, non presente
tra gli atti a disposizione della difesa; in assenza del cartellino
dattiloscopico, la difesa, in particolare, non era neppure a conoscenza di
quale delle dieci dita fosse stata repertata sul luogo del furto e utilizzata

del testimone circa la dichiarata identità dattiloscopica, così come nel
giudizio d’appello, pur dopo l’inserimento del cartellino dattiloscopico, non
conoscendo a quale delle dieci dita si riferisse l’impronta repertata, la
difesa è stata, comunque, impedita nel diritto al contraddittorio; sulla
dedotta censura di violazione del diritto al contraddittorio la corte, nel
limitarsi a porre a disposizione della difesa il cartellino dattiloscopico, è
incorsa nel vizio di omessa motivazione nella forma della motivazione
meramente apparente ed ha illegittimamente rigettato la richiesta di un
termine a difesa, assumendo che non si trattava dell’acquisizione di una
prova nuova, idonea a modificare il quadro probatorio già solido sul quale
correttamente era stata fondata la pronuncia di condanna.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non merita accoglimento.
1. Con il primo motivo di ricorso il Cao si duole genericamente della
violazione dell’art. 526 c.p.p. e della violazione del diritto di difesa
scaturente dall’acquisizione al processo di appello del cartellino
fotosegnaletico a lui relativo, ma nell’esporre tali doglianze non pare
confrontarsi e specificamente contestare la valutazione operata dalla Corte
territoriale sul punto. In particolare, a fronte delle censure dell’imputato secondo cui all’ (illegittima) acquisizione in questione, ai sensi dell’art. 603
c.p.p., doveva corrispondere quantomeno la concessione di un termine a
difesa trattandosi di “prova nuova”- la Corte territoriale ha evidenziato
come, nella fattispecie, non trattasi di prova nuova, essendo stata già
acquisita in primo grado la prova della corrispondenza tra l’impronta
digitale dell’imputato e quella rilevata sulla parte interna dell’anta di un
mobile del soggiorno di casa Serri, attraverso la testimonianza precisa e
attendibile dell’operatore Ignazio Serra della Polizia Scientifica:
quest’ultimo, infatti, procedette alla comparazione tra l’impronta rinvenuta
con quelle tratte dal cartellino fotosegnaletico di Marcello Cao, risalente al
17.6.2008 e già in possesso della Polizia, trovando una corrispondenza di

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per la comparazione, né ha potuto verificare l’attendibilità delle conclusioni

oltre diciassette punti di identità, riferendo tali esiti in dibattimento e ciò
basta per fornire la certezza che l’impronta del ladro fosse quella di Cao.
1.1.Sul punto correttamente la Corte territoriale richiama i principi più
volte affermati da questa Corte, secondo cui la comparazione delle
impronte prelevate con quelle già in possesso della polizia giudiziaria non
richiede particolari cognizioni tecnico – scientifiche e si risolve in mero
accertamento di dati obiettivi ai sensi dell’art. 354 c.p.p., sicché il suo
svolgimento non postula il rispetto delle formalità previste dall’art. 360

comparazione venga sentito in dibattimento e riferisca in ordine alla
medesima, il giudice non è tenuto a disporre perizia, ben potendosi
attenere alle emergenze di quanto esposto dal dichiarante (Sez. 5, 11
marzo 2004, n. 23319; Sez. 1, 11 giugno 2009, n. 28848; Sez. 5,

n.

16959 del 09/02/2010).
2. In base a quanto è dato evincere dalla sentenza impugnata, pertanto,
la prova relativa alla corrispondenza delle impronte doveva ritenersi già
acquisita in primo grado, sulla base delle dichiarazioni del teste Ignazio
Serra della Polizia Scientifica, sicchè l’ “inserimento nel fascicolo” di tale
cartellino, lungi dal costituire -come rilevato dalla Corte territoriale- una
prova nuova è servito ad attestare,

piuttosto, l’esistenza di esso e

conseguentemente ad ulteriormente attestare l’attendibilità del dichiarante.
Irrilevanti, pertanto, risultano essere le modalità di acquisizione di tale
cartellino non incidendo su quanto già accertato in merito alla coincidenza
delle impronte. Peraltro, i giudici d’appello, proprio a rimarcare l’avvenuta
acquisizione della prova già in primo grado hanno posto in rilievo come, né
l’imputato (comparso alla prima udienza davanti al Tribunale), né il suo
difensore abbiano sollecitato ulteriori accertamenti o almeno l’esibizione del
cartellino fotosegnaletico; al contrario, il difensore, all’udienza del 5.5.2011
rinunciava ad insistere nell’iniziale richiesta di perizia tecnica, mai più
reiterata (come risulta dalla lettura dei verbali d’udienza).
3. Se, dunque, in base alle dichiarazione del teste Ignazio Serra era stata
già raggiunta la prova in primo grado della corrispondenza delle impronte
dell’imputato con quelle rinvenute in casa Serri, alcuna violazione del
contraddittorio, nell’ambito del quale deve formarsi la prova, e del diritto
di difesa dell’imputato risulta configurabile nell’acquisizione della scheda
dattiloscopica. Ed invero, per quanto concerne la formazione della prova
nel contraddittorio tra le parti, questione questa specificamente sviluppata
con il secondo motivo di ricorso, ebbene l’escussione del teste Serra è
avvenuta nel pieno rispetto di tale principio e né in quella sede, né in
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c.p.p.. Di conseguenza, qualora colui che abbia svolto tale attività di

precedenza il ricorrente ha svolto censure avverso le modalità di confronto
delle impronte, come rilevato dalla Corte territoriale, anzi il ricorrente non
ha dedotto in primo grado l’assenza del cartellino fotosegnaletico e della
scheda decadattiloscopica nel fascicolo del pubblico ministero e del
dibattimento, avendo segnalato tale assenza solo con l’atto di appello, né
ha insistito nella richiesta di perizia tecnica.
4.In tale contesto, dunque, la prova dichiarativa posta a fondamento
della condanna dell’imputato, raccolta nel pieno rispetto del contraddittorio

successiva acquisizione del cartellino, che nulla ha aggiunto a quanto
riferito ed appurato dal teste, circa la coincidenza delle impronte in almeno
diciassette punti, senza che tale valutazione sia stata specificamente e
tempestivamente contestata dall’imputato in dibattimento.
5.Per quanto concerne, poi, la violazione del diritto di difesa, non illogica
si presenta la valutazione della Corte territoriale, secondo cui non
trattandosi di prova nuova, non andava accordato il chiesto rinvio posto
che tale cartellino, senz’altro non idoneo a modificare il quadro probatorio
già solido in atti a carico dell’imputato, risulta acquisito in sostanza ad
abundantiam, senza alcuna possibilità di incidere sulla prova già formata.
La concessione di un termine a difesa, normalmente dà agio all’imputato di
interloquire sull’attività di ufficio espletata dal giudice ex art. 603 c.p.p.,
rilevante ai fini della decisione, ma nella fattispecie in esame come già
evidenziato ciò non si è verificato, non trattandosi di una “nuova” prova.
6.Neppure può farsi questione del fatto che, ove la scheda
decadattiloscopica fosse stata inserita nel fascicolo, il ricorrente avrebbe
avuto la possibilità di svolgere molteplici attività, atteso che, come già
evidenziato, la condanna nei confronti del Cao si è fondata sugli esiti della
prova dichiarativa e non sulla scheda predetta, sicchè l’imputato ben
avrebbe potuto per tempo articolare una linea difensiva in risposta a
quanto rilevato dalla P.G.
7.11 ricorso va, dunque,

respinto ed il ricorrente va condannato al

pagamento delle spese processuali
p.q.m.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali
Così deciso il 21.9.2015

non risulta in alcun modo intaccata, o messa in discussione, dalla

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