Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28630 del 21/09/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 28630 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RISOLE’ ALDO N. IL 01/10/1960
avverso la sentenza n. 7132/2011 CORTE APPELLO di MILANO, del
26/03/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/09/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 21/09/2015

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale, Dott. Enrico Delehaye, che ha concluso per l’inammissibilità
del ricorso;

RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 26.3.2012 la Corte di Appello di Milano
confermava la sentenza del Tribunale di Voghera del 27.4.2011 con la
quale Risolè Aldo era stato condannato, con concessione delle
attenuanti generiche, alla pena di mesi tre di reclusione, interamente

quantificato in C 1000,00, per il reato di lesioni aggravate in danno di
Mussi Giacomo, che colpiva con una violenta bastonata al polso destro.
2. Avverso tale sentenza l’imputato, a mezzo del suo difensore, ha
proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, con

il

quale lamenta la ricorrenza del vizio di cui all’art. 606, primo comma,
lett. b) ed e) c.p.p., per carenza di motivazione, quanto al punto 1,
dell’atto di appello e l’assenza di motivazione quanto al punto 4; in
particolare, la Corte d’Appello di Milano ha ritenuto di convalidare la
sentenza emessa dal Tribunale di Voghera, utilizzando la formula della
motivazione per relationem, ovvero richiamando la parte motiva della
sentenza appellata, laddove l’appellante non si era limitato a riproporre
in appello argomentazioni già dibattute in primo grado, ma aveva
specificamente dedotto che, in assenza di testi, le ferite riscontrate al
Mussi, ben potevano essere anche la conseguenza di un infortunio
lavorativo e di una caduta, posto che svolgeva l’attività di muratore, e
non essere conseguenti ad una aggressione dell’imputato, specie ove si
consideri il fatto che egli era debitore dell’imputato; a fronte di tali
deduzioni, la sentenza impugnata ha omesso, di indicare gli elementi
logici e giuridici per cui ritenere infondata la versione dei fatti fornita
dall’imputato; inoltre, la Corte d’appello ha completamente omesso di
pronunciarsi sulla inammissibilità della costituzione di parte civile,
siccome generica ed indeterminata, confermando anche in punto di
statuizioni civili la sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, siccome generico e manifestamente
infondato.
1. Va premesso che, successivamente alla sentenza impugnata, è
maturata la prescrizione per il reato di lesioni ascritto all’imputato, ma
non può farsi luogo alla relativa declaratoria, risultando il ricorso
inammissibile. Vanno all’uopo richiamati i principi espressi da questa

condonata, ed al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile

4

Corte, secondo i quali, in presenza di una causa estintiva del reato,
quale la prescrizione maturata, dopo la statuizione oggetto di ricorso, è
preclusa l’applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 129
c.p.p., nel caso in cui la impugnazione sia manifestamente infondata
(Sez. un., n. 32 del 22/11/2000), non potendo considerarsi formato un
valido rapporto di impugnazione (Sez. IV, 11/06/2013, n. 31344; Sez.
III, n. 40743 del 02/04/2013).
2. Va innanzitutto evidenziato che la sentenza impugnata ha

primo grado, in quanto condivise, ritenendo che in appello non fossero
stati addotti elementi diversi o idonei a confutare quanto evidenziato in
termini di responsabilità dell’imputato dal primo giudice. Tale
valutazione non merita censure, atteso che, con l’atto di appello, non
sono state sviluppati sostanzialmente diversi da quelli già affrontati dal
primo giudice, tra cui quello della attendibilità delle dichiarazioni della
p.o., e dell’insufficienza di esse a fondare la responsabilità
dell’imputato, del rapporto conflittuale tra l’imputato ed il Mussi per
rapporti debito-credito tra i due e l’inverosimiglianza del fatto che sul
posto non vi fossero testimoni. A tali questioni, il primo giudice aveva
già dato risposte congrue, prive di illogicità, rilevando che la versione
dei fatti del Mussi – secondo cui il Risolè si era presentato presso il
luogo in cui prestava attività lavorativa ed al suo rifiuto di erogargli un
nuovo prestito lo aveva aggredito con un bastone attingendolo al
braccio destro – fosse credibile, convincente oltre ad essere suffragata
dal certificato medico, attestante le lesioni descritte e, quindi, idonea a
supportare il giudizio di responsabilità nei confronti dell’imputato per il
reato ascrittogli, a fronte peraltro dell’insussistenza di serie ricostruzioni
fattuali alternative a quella emersa. La sentenza impugnata, invero, ha
fatto corretta applicazione dei principi più volte enunciati da questa
Corte, secondo cui le regole dettate dall’art. 192, comma 3, cod. proc.
pen. non trovano applicazione relativamente alle dichiarazioni della
parte offesa: queste ultime possono essere legittimamente poste da
sole a base dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato,
previa verifica, corredata da idonea motivazione, della loro credibilità
soggettiva e dell’attendibilità intrinseca del racconto (S.U., n. 41461 del
19.7.2012; Sez. 4, n. 44644 del 18/10/2011, Rv. 251661; Sez. 3,
n.28913 del 03/05/2011, C., Rv. 251075; Sez. 3, n. 1818 del 03/12/
2010, Rv. 249136; Sez. 6, n. 27322 del 14/04/2008, De Ritis,
Rv.240524). Inoltre, costituisce principio incontroverso nella

richiamato in premessa tutte le argomentazioni svolte nella sentenza di

giurisprudenza di legittimità l’affermazione che la valutazione della
credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di
fatto, che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale
fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità,
salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni (cfr. ex

plurimis Sez. 6, n. 27322 del 2008, De Ritis, cit.; Sez. 3, n. 8382 del
22/01/2008, Finazzo, Rv. 239342; Sez. 6, n. 443 del 04/11/2004, dep.
2005, Zamberlan, Rv. 230899; Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, dep.

Rv. 225232), che non si ravvisano nella fattispecie in esame.
3. In merito alla tecnica motivazionale della sentenza d’appello, che in
ampia parte ha richiamato quella del primo giudice- ribadendo la
corretta valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni della p.o.
riscontrate dal certificato medico prodotto- ebbene, tale tecnica non
appare censurabile, risultando soddisfatti i criteri in virtù dei quali al
giudice dell’impugnazione è consentito motivare “per relationem” al
provvedimento gravato, ossia che 1) ogni riferimento risulti ad un atto
legittimo del procedimento, la cui motivazione risulti congrua per
rapporto alla propria “giustificazione” verso il provvedimento finale; 2) il
decidente risulti pienamente a conoscenza delle ragioni del
provvedimento di riferimento e risulti che le ritenga coerenti alla propria
decisione e le condivida; 3) risulti che l’atto di riferimento sia conosciuto
dall’interessato o almeno a lui ostensibile” (Sez. 4, n. 16886 del
20.1.2004, rv 227942).
Peraltro, il vizio di motivazione che denunci la mancata risposta alle
argomentazioni difensive, può essere utilmente dedotto in Cassazione
unicamente quando risulti che tali argomentazioni abbiano un chiaro ed
inequivocabile carattere di decisività, nel senso che una loro adeguata
valutazione avrebbe dovuto necessariamente portare, ad una decisione
più favorevole di quella adottata

(Sez. 2, n. 37709 del 26/09/2012),

aspetto questo che non emerge dalle doglianze del ricorrente .
4. Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al
versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si
ritiene equo e congruo determinare in Euro 1000,00, ai sensi dell’art.
616 c.p.p..

p.q.m.

3

2004, Pacca, Rv. 227493; Sez. 3, n. 22848 del 27/03/2003, Assenza,

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della
Cassa delle Ammende

Così deciso il 21.9.2015

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