Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28619 del 05/04/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 28619 Anno 2013
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: CARCANO DOMENICO

Data Udienza: 05/04/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BUZZI ANGELO N. IL 01/07/1953
VIGNALI PIETRO N. IL 22/05/1968
avverso l’ordinanza n. 3/2013 TRIB. L1BERTA’ di PARMA, del
15/02/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. DOMENICO
CARCANO;
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Ritenuto in fatto
1.Pietro Vignali e Angelo Buzzi propongono ricorso contro l’ordinanza del Tribunale di
Parma, in funzione di giudice per il riesame di applicazione di misure cautelari reali, ha
parzialmente confermato il sequestro a fine di confisca disposto nei loro confronti dal giudice
per le indagini preliminare del medesimo tribunale, ritenendo sussistente il fumus commissi
delicti in ordine a ipotesi di peculato e di corruzione formulate dal pubblico ministero e
consistenti.

preventivo in C 1.221.965,00 e per Angelo Buzzi, in complessive, C 150.283,00, di cui C
98.400,00 quale profitto del delitto di peculato e C 51.883,20 quale profitto del delitto di
corruzione riconducibile agli emolumenti percepiti da Buzzi per l’incarico di presidente della
S.p.A. Iren Emilia
1.1.Quanto alle ipotesi di peculato ascritte a Pietro Vignale, all’epoca sindaco del Comune
di Parma, il giudice del riesame condivide l’ipostazione del pubblico ministero poi recepita dal
giudice per le indagini preliminari, secondo cui Pietro Vignale avrebbe organizzato la gestione
dei servizi pubblici da parte del comune di Parma in modo che alla erogazione provvedeva una
costellazione di undici società controllate direttamente dal Comune tramite S.T.T. Holding
S.p.a, a capo della quale vi era Andrea Costa, uomo di fiducia del sindaco Vignale. Tali società
sarebbero state utilizzate per molteplici appropriazioni di danaro pubblico, realizzata attraverso
erogazioni delle risorse finanziarie provenienti dalle casse comunali, erogazione per la quale la
società S.T.T. Holding costituiva uno strumento strategico per controllare i flussi di danaro
dalle Casse comunali alle società private allo scopo di utilizzare il danaro pubblico per finalità
illecite e rafforzare legami clientelari con i privati.
Nell’ordinanza impugnata, si precisa che, quanto al fumus per le ipotesi di peculato in tal
modo realizzate non vi è stata contestazione da parte della difesa di Pietro Vignale.

1.2. A Pietro Vignale e Angelo Buzzi, oltre che ad altri soggetti a loro collegati, è stato
ascritto un ipotesi di peculato di corruzione propria consistita in sintesi nell’appropriazione di
danaro pubblico, trasferito mediate fittizi passaggi intermedi ad altre società che a loro volta
trasferivano periodicamente il danaro alla s.r.l. Publitime per pagare i dipendenti del
Quotidiano Polis, del quale Emilio Piervicenzi era stato nominato direttore, affinché fosse
fedele alla linea editoriale tracciata da Vignale.
Inoltre, in tale contesto si inserisce l’incarico apicale a Buzzi nella società Iren S.p.a,
partecipata dal Comune di Parma per il quale ha percepito un compenso del tutto illecito, come
si ipotizza nell’ordinanza impugnata, poiché riconosciutogli esclusivamente a completamento
del pactum sceleris

concernente la linea editoriale favorevole al Sindaco Vignale e

all’amministrazione da lui guidata. Angelo Buzzi, secondo la ricostruzione riportata
nell’ordinanza impugnata circa articolati collegamenti societari, controllava la società editoriale

Il giudice del riesame ha rideterminato per Vignali le somme da sottoporre a sequestro

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Publimedia s.r.l.

e tramite essa, il cui amministratore unico era Alfonso Bove, altro

coindagato.
L’utilità data al sindaco Vignale, per gli atti contrari compiuti in favore di Angelo Buzzi, è
stata quella di una radicale mutamento della linee precedente ostile seguita dal quotidiano, che
diveniva uno strumento per la promozione dell’immagine della giunta comunale e per attaccare
gli avversari politici. Utilità che ha costituito l’elemento richiesto per la configurazione della
corruzione propria.

conversazioni intercettate tra i co-indagati; conversazioni in cui sono emerse le modalità
dell’erogazione del danaro pubblico per i finanziamenti illeciti e vi è il fumus che Angelo Buzzi
abbia percepito la somma C 96.400,00 proveniente dalle Casse delle società partecipate dal
Comune di Parma.
2. Per gli ipotizzati delitti di peculato ascritti a Pietro Vignale e Angelo Buzzi, il Tribunale premesso che non è applicabile l’attuale disposizione introdotta dalla legge n.190 del 2012 che
ha esteso la confisca per equivalente anche al profitto e non solo al prezzo del reato – ha
ritenuto in ogni caso legittimo il sequestro, poiché volto ad assicurare la confisca diretta e non
per equivalente del profitto del peculato, in tal modo integrando e modificando il titolo del
sequestro operato dal giudice per le indagini preliminari, intervento consentito dalla
giurisprudenza di legittimità.
La ricostruzione in fatto contenuta nel provvedimento genetico consente di ritenere che
entrambi i ricorrenti abbiano ottenuto, mediante le condotte delittuose, un beneficio aggiunto
di tipo patrimoniale, altrimenti avrebbero dovuto con proprie risorse provvedere ai
finanziamenti e compensi da corrispondere.
Operata, dunque, la ricostruzione della somma complessiva da sottoporre a sequestro in C
1.221.965, 78 ha individuato i beni mobili e immobili da sottoporre alla misura cautelare reale,
comprendendo anche beni costituenti un fondo patrimoniale famigliare ex art.167 c.c., poiché
dalle conversazioni sarebbe emerso che tale operazione sarebbe stata realizzata proprio al fine
di sottrarre beni al fine di un eventuale sequestro.

3. Con il ricorso, la difesa di Angelo Buzzi, descritta la vicenda processuale, deduce:
-violazione di legge processuale in relazione all’art.321 c.p.
Ad avviso del ricorrente, l’ipotesi d’accusa secondo cui Buzzi avrebbe corrotto il Sindaco
Vignali con la promessa in cambio di una linea del giornale Polis quotidiano, in tal modo
ottenendo la nomina a Presidente della Iren Emilia s.p.a., non corrisponde alla fattispecie
prevista dall’art.321 c.p., né vi è alcun elemento che possano avvalorare il fumus posto a base
del provvedimento.
Per il ricorrente, oggetto della promessa corruttiva di Buzzi, come rappresentato dagli
inquirenti, sarebbe stato quello delle cessione delle sue quote a un potenziale acquirente per il

Ad avviso del giudice del riesame, le vicende descritte nelle imputazioni sono emerse da

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controllo della società Publitime s.r.I.- Polis Quotidiano. Peraltro, negli atti non vi è prova di un
accordo corruttivo.
Le conversazioni intercettate smentiscono la ricostruzione effettuata e non danno
consistenza all’ipotesi d’accusa, perché dalle stesse emerge altro. Si rileva che il cambio di
direttore, che avrebbe modificato la linea editoriale, avvenne il 1 marzo 2010, circostanza che
dimostra che se ci fosse stato accordo, Buzzi, avrebbe dato non promesso.
Anche la nomina di Buzzi a Presidente della società Iren Emilia, nonostante il cambio di

non cambiato, tanto che Vignali ebbe a lamentarsi di questo con Buzzi.
Ciò dimostra che non vi fu accordo.
– Violazione di legge in relazione all’art.314 c.p.
Ad avviso del ricorrente, non vi alcun elemento in atti che confermi la sussistenza del
peculato ipotizzato dall’accusa realizzatosi mediante il trasferimento della somma di C
98.400,00 distratta dalle casse delle società partecipate per pagare gli stipendi dei giornalisti di
Polis Quotidiano. Si tratta di un ipotesi non provata, poiché dai documenti risulta che tale
somma in tre momenti diversi è stata trasferita dalla società SU s.p.a. alla società GDM s.r.l.
facente capo a tale Bove.
Anche dalle conversazioni intercettate non risulta la prova del versamento della somma
indicata, bensì di C 20-25.000,00.
Secondo gli inquirente la somma C 50.000, sarebbe stata trasferita SU s.p.a. alla società
GDM s.r.l. per prestazioni e l’eccedenza risultava giustificata da atre imprecisate maggiori
attività svolte.
In ogni caso, l’ipotesi accusatoria . sarebbe stata articolata in relazione agli stipendi di
giugno e luglio 2010, e non è lecito il sequestro per ulteriori somme
– Violazione di legge in relazione all’art.323 ter c.p.
Ad avviso del ricorrente, per quanto riguarda la somma di C 64.854,00 – nonostante la
riduzione operata dal tribunale nella misura del 20% perché non sequestrabile per intero il
corrispettivo ricevuto da Buzzi per la presidenza della società ken – il calcolo non appare
corretto poiché, trattandosi di emulementi al lordo delle ritenute fiscali, Buzzi restituirebbe allo
Stato una somma maggiore rispetto a quella ricevuta.
Per quanto riguarda la somma di C 98.400,00, non vi sono elementi che consentano di
ritenere che sia stata per intero percepita da Buzzi e per tal motivo non potrebbe essere
oggetto di sequestro non risultando tra l’altro la percezione di un profitto.
Il Tribunale sarebbe incorso in una evidente violazione di legge considerando la somma C
98.400,00 sequestrabile in via diretta anziché per equivalente, come stabilito con il
provvedimento genetico, in tal modo violando gli art.324, comma 7 , e 309 comma 9, c.p.p,
adottando un diverso sequestro.
Affinché si possa procedere al sequestro diretto occorre che il provvedimento cada sulla
somma “specificamente” percepita e non su somma di importo “analogo”.

direttore del giornale, avvenne dopo molti mesi e quando ancora risulta che la linea editoriale

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Per il tribunale, allorché si è in presenza di un bene fungibile quale è il danaro, ovvero di
beni acquistati con il danaro illecitamente percepito o risparmiato grazie a quello ricevuto quale
profitto del reato, si è in presenza di confisca e sequestro che operano direttamente su beni
costituenti il profitto del reato.
Su tale presupposto il Tribunale ha illegittimamente confermato il sequestro su tutti i conti
correnti bancari e tutti i conti di deposito titoli intestati a Angelo Bozzi o a lui cointestati,
nonché sui beni acquistati e contenuti nelle cassette di sicurezza.

bene, e di ciò deve esserci prova negli atti processuali. Per tale motivo, non sarebbe legittimo il
sequestro di quanto contenuto nelle cassette di sicurezza.
Peraltro, non è stato considerato che la somma di € 98.400,00 non è stata ricevuta da
Angelo Bozzi, bensì da Publitime s.r.l. tenuta al pagamento degli stipendi dei giornalisti di Polis
Quotidiano e, pertanto, sarebbe stata tale società a ottenere il risparmi di tale somma.

3.1. La difesa di Pietro Vignali, deduce
-violazione di legge in relazione agli artt.324 commi 3 e 7 c.p.p. per la conferma del
sequestro nonostante il tradivo deposito degli atti da parte del pubblico ministero.
Il Tribunale erroneamente non dichiarato la caducazione del sequestro per effetto del
mancato rispetto, da parte del pubblico ministero, del termine previsto per il deposito degli
atti. Il Pubblico ministero ha provveduto a depositare gli atti tredici giorni il deposito della
richiesta di riesame, in tal modo comportando un ritardo dell’intero procedimento di riesame.
-violazione di legge in relazione agli artt.321 c.p.p. e 322 ter c.p., rispetto al sequestro
preventivo disposto su beni che non costituiscono il profitto dei reati contestati.
Il giudice del riesame, nonostante ‘abbia rilevato l’illegittimità del provvedimento genetico
di sequestro per equivalente del profitto del delitto di peculato, ha corretto la motivazione,
ritenendo trattarsi di sequestro diretto.
Al Tribunale in sede si riesame non consentito integrare o modificare il provvedimento
genetico su punti che lo renderebbero inesistente.
L’argomentazione del giudice del riesame non supera i vizi di legittimità dedotti, in quanto
recepisce la nozione talmente ampia di profitto del reato da comportare in realtà una
sostanziale adesione al sequestro per equivalente solo formalmente non accolto.
La identificazione del profitto con il risparmio introduce

una frattura nel nesso di

derivazione diretta e immediata che deve sussistere con il reato, tenuto conto che la
giurisprudenza di legittimità considera che il profitto corrisponda al vantaggio patrimoniale di
diretta derivazione causale dell’attività del reo, escludendone una estensione indiscriminata.
Solo per i reati tributari vi è uni equiparazione tra profitto e risparmio perché nella
dinamica del delitto il profitto è diretto e immediato e coincidono con il risparmio d’imposta.
Nella fattispecie concreta, per la quale non potrebbero applicarsi i principi affermati dalle
decisioni indicate, gran parte delle condotte descritte l’utilità qualificabile come profitto diretto

Per disporre tale tipo di sequestro è necessario un vincolo pertinenziale tra danaro e il

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ed immediato del reato può essere individuata come ritorno di immagine ottenuta mediante
l’impiego di campagne di promozione finanziate con fondi pubblici distratti.
Il Tribunale, nonostante abbia riconosciuto l’irretroattività della disposizione che introduce
il sequestro per equivalente ex lege n.190 del 2012, in realtà opera un sequestro per
equivalente in relazione a una utilità immateriale, anche se valutabile economicamente.
Ulteriore violazione, ad avviso del ricorrente, non può che costituire il sequestro del
risparmio individuato nel danaro presente sui conti correnti intestato o cointestati all’indagato,

giurisprudenza nel sequestro per equivalente.
Per la giurisprudenza, in ragione della fungibilità del danaro, il sequestro diretto del
profitto può essere esteso là dove vi sia stata una effettiva confluenza nel patrimonio di
somme provenienti dal reato.
Il giudice del riesame ha esteso il sequestro a un immobile e un’autovettura, in quanto
acquistati in epoca successiva alle condotte illecite come tali trasformazione del profitto
ottenuto, in tal modo violando gli stessi principi richiamati secondo cui al profitto possono
essere ricondotte i beni dei quali il reo ottiene la disponibilità per effetto diretto e immediato
dell’illecito.
-Violazione di legge rispetto al sequestro preventivo disposto su di un bene appartenente a
persona estranea al reato, come rappresentato in sede di riesame con riferimento all’auto
Audi intestata a Franca Rossi, ritenendo tale intestazione fittizia. Una soluzione, priva di
motivazione.
Considerato in diritto
I ricorsi sono fondati nei limiti di seguito indicati.
Anzitutto, per quanto attiene alla .caducazione dell’efficacia del sequestro per il mancato
deposito degli atti da parte del pubblico ministero nei termini stabiliti dall’art.324 c.p.p., il
Collegio condivide e fa propria la regula juris enunciata dalle Sezioni uniteoeeozio 0.1.4 ■1
Come più volte ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte, anche a Sezioni unite e del
resto in linea con la lettera della legge, il ricorso per cessazione contro ordinanze emesse in
materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale
nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi
della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del
provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e
ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice
(Sez. un., 29 maggio 2008, dep. 26 giugno 2008, n.25932), orientamento confermato,
sebbene sotto altri profili, da Sez. un. 28 marzo 2013.
Sotto altro profilo, legittimamente il giudice del riesame ha integrato e dato diversa
qualificazione giuridica alla giustificazione del sequestro preventivo, poiché, come in sede di
riesame del sequestro preventivo, è legittima la decisione con la quale il tribunale conferma il
relativo decreto per ragioni non coincidenti con quelle che lo sorreggono, in quanto, data la

in tal modo si estende il sequestro al valore corrispondente. Ciò avviene, come affermato dalla

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natura interamente devolutiva del citato mezzo di gravame, il Tribunale, da un lato, ha il
potere di sottoporre a nuovo scrutinio l’atto di impulso del P.M. e, dall’altro, pur non potendo
supplire con argomentazioni proprie a carenze motivazionali del provvedimento impugnato di
portata tale da renderlo giuridicamente inesistente, è tuttavia abilitato a modificarne e
integrarne la struttura logica nei termini ritenuti meglio rispondenti allo scopo legittimamente
perseguito in concreto dall’organo di accusa( in tal senso Sez.un. 29 maggio 2008, cit.).
2.Quanto alla configurabilità dei reati di peculato e corruzione e al

fumus posto a

ne’ l’altra, di apparenza della motivazione, i motivi di ricorso sono volti ha ottenere una
rivalutazione delle ragioni poste a fondamento del sequestro e, per tal motivo, a incidere su
scelte di merito espresse con il provvedimento genetico e poi chiarite dal giudice del riesame
sul profilo della sussistenza del fumus.
La condotta di peculato e quella . corruttiva sono state oggetto di ampia e articolata
motivazione nell’ordinanza impugnata. Altrettanto giustificata, con ampiezza di argomenti, è il
sequestro di somme relative al delitto di corruzione, anche in relazione al loro ammontare.
3.La questione che impone l’annullamento e il rinvio per ulteriore esame riguarda la
sussistenza dei presupposti richiesti per disporre il sequestro e l’ambito entro il quale esso è
applicabile alle cose oggetto di diretta apprensione per i delitti di peculato
Appare corretta l’impostazione seguita dal giudice del riesame circa la riconducibilità del
sequestro effettuato a quello “diretto” e non “per equivalente”, trattandosi, come
adeguatamente e logicamente giustificato nell’ordinanza di riesame, di danaro proveniente
dalle casse delle società partecipate dal Comune di Parma, mediante una condotta riconducibile
al delitto di peculato, realizzata in concorso tra Angelo Buzzi ha ricevuto somme prelevate da
Pietro Vignali e Andrea Costa, l’uno pubblico ufficiale e l’altro incaricato di un pubblico servizio,
mediante artifici contabili.
Se per un verso è corretto l’astratto inquadramento giuridico del sequestro effettuato sul
provento “diretto del delitto di peculato”, per altro aspetto, non è stato però dal giudice del
riesame giustificato il percorso argomentativo mediante il quale il danaro sequestrato possa
essere considerato il “profitto” diretto del delitto di peculato ascritto agli imputati.
Il provvedimento è giustificato dall’assertiva affermazione secondo cui “non possono che
costituire oggetto diretto della misura cautelare …denaro, azioni obbligazioni, mobili e
immobili, quote societarie o titoli laddove si tratti di beni provenienti da reato e che si è
cercato di occultare”. Altrettanto assertiva e generica l’affermazione per la quale si può
ritenere che “il danaro risparmiato mediante lo sfruttamento delle risorse pubbliche abbia
costituito il profitto derivato in via diretta dai delitti di peculato”.
Su tale presupposto il Tribunale ha confermato il sequestro su tutti i conti correnti bancari
e tutti i conti di deposito titoli intestati a Angelo Bozzi o a lui cointestati, nonché sui beni
acquistati e contenuti nelle cassette di sicurezza.

fondamento del provvedimento di sequestro non ricorre ne’ una ipotesi di violazione di legge

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Per disporre tale tipo di sequestro sarebbe stato necessario – sul presupposto che si tratti
un sequestro “diretto” e non per equivalente – ricercare e dimostrare un vincolo pertinenziale,
quantomeno sotto il profilo del reimpiego, tra il danaro e i beni sottoposti a sequestro.
E’ ben vero che questa Corte si è pronunciata nel senso che il sequestro diretto è
legittimo là dove finalizzato alla confisca di somme di denaro che costituiscono profitto di reato
sia nel caso in cui la somma si identifichi proprio in quella che è stata acquisita attraverso
l’attività criminosa, sia quando sussistono indizi per i quali il denaro di provenienza illecita

dal reato e che si è cercato di occultare (Sez. Un., 24 maggio 2004, dep. 9 luglio 2004,
n.29951) e, ancora in termini più specifici che per il sequestro preventivo finalizzato alla
confisca prevista dall’art. 322 ter c. p., costituisce “profitto” del reato anche il bene immobile
acquistato con somme di danaro illecitamente conseguite, quando l’impiego del denaro sia
causalmente collegabile al reato e sia- soggettivamente attribuibile all’autore di quest’ultimo
( Sez. Un, 5 ottobre 2007, dep. 6 marzo 2008, n. 10280).
Affinché, però, tale regula juris possa operare è necessario accertare, con specificie
accurate verifiche, che il danaro o altri beni siano anch’essi da considerare di diretta
provenienza delittuosa, per essere nient’altro che occultamento o reimpiego del profitto del
reato.
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Ne discende cheVil sequestro

da,

somme di danaro o altri benìEostituiscono il profitto del

reato non solo allorché la somma o altra utilità si identifichi in quella acquisita, ma anche là
dove risulti il suo “diretto reimpiego”, a titolo di investimento o di acquisizione di utilità.
L’ordinanza impugnata va, dunque, annullata sul punto affinché il giudice del rinvio
riesamini le proprie conclusioni non solo sotto il profilo giuridico, ma anche con riferimento
all’ampiezza delle somme e dei beni sequestrati per i delitti di peculato, in applicazione dei
principio di ritto enunciato.
Ogni altra questione, quale quella dell’appartenenza a terzi di alcuni dei beni sequestrati,
resta assorbita in quella della legittimità del sequestro del profitto del delitto di peculato nella
concreta fattispecie.
L’ordinanza impugnata va, dunque, annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di
Parma
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Parma.
Così deciso in Roma, il 5 aprile 2013

Il Consi a Here e ensor

DEPOSITATO IN CANCELLE.RIA

Il Presidente

risulti depositato in banca ovvero investito in titoli, trattandosi di assicurare ciò che proviene

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