Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28615 del 09/06/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 28615 Anno 2016
Presidente: CARCANO DOMENICO
Relatore: CRISCUOLO ANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Marino Giuseppe, nato a Praia a Mare il 08/07/1981

avverso la sentenza del 11/02/2016 della Corte di appello di Catanzaro

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Anna Criscuolo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Felicetta
Marinelli, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

Premesso che con la sentenza impugnata la Corte di appello di Catanzaro ha
confermato la sentenza emessa il 16 gennaio 2013 dal Tribunale di Paola nei
confronti di Marino Giuseppe, dichiarato colpevole del reato di resistenza a
pubblico ufficiale e condannato, previo riconoscimento di attenuanti generiche, a
pena dichiarata estinta per effetto dell’indulto;
che al Marino si contestava di aver usato violenza nei confronti del
maresciallo dei C.C., che, nell’esercizio delle sue funzioni tentava di identificarlo

Data Udienza: 09/06/2016

mentre era in stato di ebbrezza alcolica, sferrandogli un pugno al volto e
colpendolo alla coscia sinistra, procurandogli lesioni guaribili in 3 giorni;
che, pur riconoscendo la fondatezza dell’eccezione difensiva, in quanto la
motivazione della sentenza si riferiva ad altra vicenda di resistenza e ad altro
protagonista, la Corte di appello ha ritenuto di non dover dichiarare,
conformemente all’indirizzo giurisprudenziale citato, la nullità della sentenza, ma
di dover redigere la motivazione mancante, pervenendo alla conferma della
decisione di condanna sulla base delle risultanze istruttorie;

Vitiello era emerso che nel corso della notte del 14 aprile 2006 intorno alle ore
02.50 era stato richiesto l’intervento dei militari presso un bar, la cui titolare
aveva segnalato la presenza di un ragazzo in stato di forte agitazione che stava
ribaltando tavoli e sedie: giunto sul posto aveva trovato il ragazzo, poi
identificato nel Marino, in palese stato di ubriachezza, che veniva esortato ad
allontanarsi insieme al cugino presente, che si faceva carico di accompagnarlo.
Tuttavia, dopo soli 5 minuti, i militari erano stati richiamati dal titolare di altro
esercizio, che segnalava la presenza di un avventore che aveva avuto un
diverbio con altre persone; verificato che si trattava del Marino, il quale
offendeva e minacciava il maresciallo, lo convocavano in caserma per proseguire
gli accertamenti e, stante la sua opposizione, ricorrevano all’uso delle manette,
ma in tale frangente, il Marino colpiva con un pugno al volto il militare, che solo
con l’aiuto del collega, riusciva a bloccare entrambi i polsi del Marino, che a quel
punto sferrava un calcio alla gamba sinistra del maresciallo.
Ritenuta la linearità del racconto, confermato dalle dichiarazioni del collega e
riscontrate dal referto le lesioni subite, la Corte di appello ha disatteso le
dichiarazioni dei testimoni della difesa, smentite dalle fonti orali, dai certificati
medici e da argomenti logici, atteso che la dedotta difficoltà di deambulazione
del Marino, che si muoveva senza stampelle, non gli aveva impedito di uscire e
di ribaltare tavoli e sedie, la sobrietà dello stesso era smentita dalle ripetute
azioni di disturbo segnalate e dalla constatazione del sanitario, le asserite lesioni,
causate dai militari, incompatibili con la dichiarata dolenzia al ginocchio.
Ritenuto, pertanto, integrato il reato contestato ed esclusa la prescrizione,
per effetto del periodo di sospensione pari a due anni e otto mesi, la Corte ha
confermato il trattamento sanzionatorio e l’applicazione dell’indulto;

Rilevato che avverso la sentenza propone ricorso il difensore dell’imputato,
che ne chiede l’annullamento per i seguenti motivi:
– omessa notificazione del decreto di citazione nel giudizio di appello, in
quanto il decreto è stato notificato presso il difensore, ritenendosi,

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che, infatti, la Corte ha dato atto che dalla deposizione del maresciallo

erroneamente, che l’imputato avesse ivi eletto domicilio, mentre invece, è
sempre stato domiciliato presso la sua abitazione e, pertanto, non ha mai
ricevuto la notifica del decreto di citazione;
– nullità della sentenza di primo grado per omessa motivazione: la Corte ha
ritenuto rimediabile l’errore del giudice di primo grado, che aveva copiato il testo
di un’altra sentenza, dunque, senza fornire giustificazione della decisione
assunta;
– illogicità della motivazione: la Corte ha recuperato le testimonianze dei soli

ufficiale, atteso che entrambi i militari lo conoscevano ed aveva ritenuto una
prepotenza la richiesta di documenti;
– erronea applicazione dell’art. 337 cod. pen.: la Corte avrebbe errato nel
ritenere sussistente il reato, in quanto il Marino non intendeva sottrarsi
all’identificazione né darsi alla fuga, cosicché la condotta non può ritenersi
oppositiva ma meramente passiva;
– intervenuta prescrizione del reato: il reato sarebbe già prescritto, stante
anche l’incensuratezza del Marino;

Ritenuto che il ricorso è manifestamente infondato, ne va dichiarata
l’inammissibilità per i motivi di seguito illustrati.
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato, in quanto risulta
dagli atti che in sede di udienza di convalida il Marino aveva eletto domicilio
presso lo studio del difensore di fiducia; risulta altresì, che ha partecipato al
giudizio di primo grado nel corso del quale fu revocata la contumacia,
inizialmente dichiarata.
Manifestamente infondato è anche il secondo motivo, atteso che, come già
affermato da questa Corte la mancanza assoluta di motivazione della sentenza
non rientra tra i casi, tassativamente previsti dall’art. 604 cod. proc. pen., per i
quali il giudice di appello deve dichiarare la nullità della sentenza appellata e
trasmettere gli atti al giudice di primo grado, ben potendo lo stesso provvedere,
in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, a redigere, anche
integralmente, la motivazione mancante (Sez. 6, n. 26075 del 08/06/2011, Rv.
250513 in tema di omessa redazione della motivazione, con la pronuncia del solo
dispositivo di condanna).
Correttamente la Corte di appello si è attenuta a tale principio e ha
provveduto a redigere la motivazione mancante.
Manifestamente infondata è la censura di illogicità della motivazione, avendo
la Corte esaurientemente ed analiticamente esaminato le deposizioni dei testi
della difesa e giustificato con argomentazione approfondita e logica le ragioni per

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testi d’accusa, non riconoscendo la scriminante dell’atto arbitrario del pubblico

le quali le ha ritenute non credibili, escludendo la possibilità di configurare l’atto
arbitrario del pubblico ufficiale, ma con tale motivazione il ricorrente non si
confronta affatto, limitandosi, sterilmente, a contrapporre la propria tesi.
Infondato è anche il motivo relativo all’assenza di collegamento finalistico
del comportamento reattivo dell’imputato all’azione dei militari, stante la
concreta e violenta opposizione, dapprima verbale, poi concretamente lesiva
contrapposta all’azione dei militari.
Destituita di fondamento è infine, la tesi dell’intervenuta prescrizione del

sospensioni verificatesi durante il giudizio di primo grado e calcolato la scadenza
del termine massimo di prescrizione al 13 giugno 2016.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle
ammende, che si stima equo determinare in euro 1.500,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.500 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, il 09/06/2016.

reato, avendo la Corte puntualmente dato atto dei periodi e delle ragioni delle

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